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Sergio Giuntini

Lo sport ebraico in Italia e in Europa dall’800 alla Shoah


PREMESSA

Proporre una riflessione sul tema Sport e Shoah significa misurarsi con un argomento oltremodo delicato e pressoché inesplorato nel nostro Paese. Estremamente esigue e disperse sono le fonti utili a questo approfondimento. Rileggere la Shoah attraverso lo sport può inoltre sembrare poco pertinente. Quasi irrispettoso. Eppure, superate simili remore, una tale chiave interpretativa si dimostra tutt’altro che bizzarra. A fare scuola è stata la biografia dell’allenatore Arpad Weisz scritta da Matteo Marani (2007). Nel solco di questi studio si tratta dunque di andare alla ricerca dei tanti Weisz scomparsi nei campi concentrazionari nazionalsocialisti. Un numero impressionante e  in continuo, terribile aggiornamento. Queste dolorose riscoperte (fra cui spicca quella di Gino Ravenna: il solo olimpionico ebreo-italiano, del quale si abbia notizia certa, evaporato nel “buco nero” della Shoah) inducono a proseguire pazientemente nello scavo. Impongono di non condannarle a una colpevole damnatio memoriae,  valorizzando nel contempo ciò che lo sport ebraico fu in Europa prima che la “tempesta devastante” si abbattesse sulle sue fiorenti stutture organizzative (l’Hakoah di Vienna su tutte) e sui suoi grandi campioni. Da Béla Guttmann (calcio) ad Attila Petschauer (scherma), da Victor Perez (boxe) a Judith Deutsch (nuoto), da Gretel Bergmann (atletica leggera) a Daniel Prenn (tennis) ecc. Un ulteriore significativo aspetto, quest’ultimo, in genere trascurato dalla storiografia italiana, disattenta altresì alle ricadute sortite nel campo dello sport dalla solerte applicazione delle leggi razziali  fasciste  del 1938. Insomma, senza la pretesa di esaurire una materia così vasta e in costruzione, che per poter esprimere dei livelli sufficientemente scientifici necessiterebbe di  studi comparati di profilo europeo, l’auspicio è di concorrere a un processo di conoscenza storica assolutamente indifferibile.     

    

Indice

LA STORIA 

1.1 Primo Levi e Umberto Saba

1.2 Gli stereotipi sull’ebreo fiacco e debole

1.3 Il Musckelijudentum e lo sport ebraico in Europa

1.4 Le origini dello sport ebraico in Italia

1.5 Le leggi del 1938 applicate allo sport  

1.6 Dallo stadio di Berlino al campo di Auschwitz


LE STORIE

 I “sommersi”

I “Salvati”


BERLINO 1936: 14 “BOCCONI AMARI” PER ADOLF HITLER  

HAKOAH VIENNA: 

UNA GRANDE STORIA PER NON DIMENTICARE 


LE MACCABIADI EUROPEE E MONDIALI 

TRA LE DUE GUERRE    

CONCLUSIONI


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LA STORIA  

                                                

1.1 Primo Levi e Umberto Saba

Primo Levi praticava lo sport,  l’alpinismo e  lo sci in particolare  , e scrisse una poesia (apparsa su “La Stampa” il 7 settembre 1984) dedicata alla massacrante fatica del decathlon per farne una metafora dell’umano sopravvivere, del suo calvario concentrazionario. L’omaggio alla più massacrante gara dell’atletica leggera da parte di chi, sulla propria pelle, aveva provato tutte le possibili sofferenze fisiche e psicologiche: <<Il giavellotto, poi, è un mio segreto;/ non bisogna scagliarlo contro il cielo/ il cielo è vuoto perché vorreste trafiggerlo?/ Basta che immaginiate, in fondo al prato,/ l’uomo o la donna che vorreste morti/ e il giavellotto diverrà una zagaglia,/ fiuterà il sangue, volerà più lontano./Dei millecinquecento non vi saprei dire;/ li ho corsi pieno di vertigine/ e di crampi, testardo e disperato, terrificato>>.  Da grande amante della montagna, l’autore di Se questo è un uomo rese invece così il suo anarchico “alpinismo ebreo” venato di sottile “Muschelijudentum”:

Ho cominciato ad andare in montagna a 13, 14 anni. Nella mia famiglia c’era la tradizione della montagna che fortifica, un po’ l’ambiente che Natalia Ginzburg descrive in Lessico famigliare. Non alpinismo propriamente detto, non le scalate […]. Si andava in montagna così, per il contatto con la natura […]. Era una forma assurda di ribellione. Tu, fascista, mi isoli, dici che sono uno che vale di meno, inferiore, unterer; ebbene, io ti dimostro che non è così. Mi ero subito promosso capocordata, senza esperienza, senza scuola: devo dire che l’imprudenza faceva parte del gioco. La prima volta, da solo, sull’Herbetet, per la cresta est. Neppure col Club alpino italiano (Cai) avevamo rapporti, nel nostro gruppo. Era un’istituzione fascista e noi eravamo antistituzionali: la montagna rappresentava proprio la libertà, una finestrella di libertà. Forse c’era anche, oscuramente, un bisogno di prepararsi ad eventuali futuri […]. Al Sestriere non s’andava mai, perché c’erano le funivie, e le funivie erano peggio del demonio! Niente giacche imbottite, niente scarpe nuove, la guida del Cai serviva per fare l’opposto di quanto consigliava. Anche l’attrezzatura era minima: mia sorella mi aveva regalato un martello, un paio di moschettoni e tre chiodi. Questa era tutta la mia attrezzatura. Bisognava invece arrivare sempre al limite delle nostre forze, sia fisiche che tecniche. Ricordo una Pasqua quando Daladier aveva risposto jamais a Mussolini. Voleva dire la guerra, ma noi non ci pensavamo. Partii con Delmastro e con Alberto Salmoni, a piedi di notte da Bard a Champorcher: il giorno dopo, con gli sci, e con 30 chili a testa negli zaini, si doveva traversare fino alla cosiddetta Finestra di Champorcher, poi scendere, risalire a Valleille, raggiungere Piantonetto, puntare sul Gran Paradiso […], era un’idea di Dalmastro, il quale più si affaticava più era soddisfatto.     

Anche Umberto Saba, un altro grande ebreo d’Italia, ci ha lasciato dei celeberrimi versi di sport.  Quelle “Cinque poesie per il gioco del calcio”, con le quali nel 1948 avrebbe voluto concorrere alle Olimpiadi dell’Arte di Londra, che ancora talvolta s’incontrano nelle pagine dei testi scolastici: <<Presso alla rete inviolata il portiere,/- l’altro - è rimasto; non la sua anima,/ con la persona vi è rimasto sola./ La sua gioia si fa una capriola,/ si fa baci che manda di lontano./ Della festa - egli dice - anch’io son parte”.  Delle poesie calcistiche di Saba scrisse già nel febbraio 1934 - sui Quaderni di “Giustizia e Libertà” - Carlo Levi,  e Giovanni Titta Rosa e Francesco Ciampitti le ospitarono nella Prima antologia degli scrittori sportivi (1934) osservando:

Egli ha cominciato a occuparsi di sport recentemente e per caso; fa nuoto e yoga, ma preferisce il gioco del calcio. Quasi tutto quello che si scrive sullo sport - compresi i semplici resoconti dei giornali - gli piace e lo diverte; quasi tutto (ma specialmente le descrizioni delle partite di calcio) porta - egli dice - l’impronta calda della vita.   

Saba - padre “ariano” e madre ebrea - era meno coraggioso di Primo Levi, partigiano in val d’Ayas,   e cercò di sfuggire alle leggi razziali ricorrendo a ogni mezzo. Anche con le suppliche al tiranno. Lo si evince dalla lettera inviata a Benito Mussolini il 23 dicembre 1938, qualche mese dopo quel 18 settembre (prima giornata del campionato di calcio) in cui giusto da Trieste il duce aveva lanciato la propria violenta campagna antisemita. Una missiva che si sforzava di blandirlo, ricordandogli pure quei suoi componimenti calcistici: <<In Parole si leggono le poesie sportive sul giuoco del calcio, riprodotte nell’Antologia degli scrittori sportivi e un po’ dappertutto>>,  rimarcava invocando clemenza. Sperava, forse, che il capo del fascismo cogliesse favorevolmente il fatto che esse erano apparse nell’anno del mondiale di football vinto a Roma dall’Italia di Vittorio Pozzo. Un clamoroso successo, anche politico, per un regime che nello sport aveva investito tanto facendone uno strumento di consenso interno e di prestigio internazionale. 


1.2 Gli stereotipi sull’ebreo fiacco e debole

Due esempi, quelli di Levi e Saba, molto diversi e lontani fra loro. Frutto di due caratteri assolutamente distanti. A legarli in questo caso è, oltre all’ebraismo, il comune interesse, più solido e autentico nel primo, per lo sport. Un interesse su cui vale soffermarsi per due ragioni. Da un lato per rovesciare l’idea largamente diffusa circa lo scarso peso rivestito dallo sport ebraico. D’altro per cogliere gli enormi vuoti prodotti dalla Shoah anche nelle fila degli atleti ebrei, famosi o meno che fossero. Una strage inaudita per la quale, a buona ragione, è corretto parlare di Shoah dello Sport.  Partiamo da qui, dunque, dal primo dei due aspetti. L’immagine dell’ebreo fiacco e debole, portatore di malattie, d’aspetto fisico repellente, sporco, macilento, soggetto a precoce invecchiamento, insieme a tutti gli altri pregiudizi con cui si è vilipeso questo popolo ha contribuito ad alimentare e trasformare in senso comune il viscerale antisemitismo da sempre diffuso in Europa e riesploso a fine Ottocento. La stessa avanzata Francia, patria dei tre diritti rivoluzionari, farà da spartiacque epocale di questo fenomeno col  divampare dell’affaire Dreyfus (1894). Il clamoroso processo che fece comprendere al “padre” del sionismo Theodor Herzl il significato d’”essere ebreo”, mentre non portò ad alcun cambiamento nelle posizioni espresse sull’ebraismo da Pierre De Coubertin. Il restauratore delle Olimpiadi moderne per il quale l’alta finanza israelita aveva assunto a Parigi, anche in ragione della sua assenza di scrupoli, una influenza molto, troppo forte per non risultare pericolosa, determinando un abbassamento del senso morale e una diffusione della corruzione (L’évolution française sous la Troisième République, 1896). Il caso Dreyfus, un capitano ebreo dell’esercito francese accusato di essere una spia tedesca, fu persino all’origine del Tour de France.  “Le Vélo”, un giornale specializzato in ciclismo diretto da Pierre Giffard, sostenne l’innocenza di Alfred Dreyfus, e per questo motivo molti inserzionisti antisemiti (Dion-Buton, Chasseloup-Labat, Michelin) se ne distaccarono e vollero creare una nuova testata antidreyfusarda. Dal 16 ottobre 1900, con direttori Henrì Desgrange e Victor Goddet, due ex giornalisti di “Le Vélo” che non condividevano la linea Giffard, uscì pertanto il concorrente “L’Auto-Vélo” che, su proposta di Geo Lefevre, il 17 gennaio 1902 lanciò l’idea di lanciare un Tour de France ciclistico. Nel clima di parossistico razzismo scatenato tra XIX e XX secolo dal processo a Dreyfus, lo stereotipo fisico del giudeo nacque in contrapposizione all’ideale di bellezza su cui si fondava la moderna mascolinità. Mascolinità che in Germania si assimilò sempre più al modello apollineo dell’antica Grecia e di cui l’arianesimo nazista si autoproclamò discendente diretto.  Basti pensare ad Alfred Rosenberg, uno dei principali esponenti del pensiero nazionalsocialista, che paragonava le saghe nibelungiche all’Iliade di Omero. L’esaltazione del corpo dell’atleta greco, nella sua perfezione estetica e nella nudità a contatto con la natura, fungerà altresì da ouverture (di ben sette minuti) al monumentale lungometraggio “Olympia”  girato da Leni Riefensthal sui Giochi hitleriani del 1936. Una sorta di prosecuzione naturale al suo precedente “Trionfo della volontà” con cui aveva glorificato il congresso nazista di Norimberga (4-10 settembre 1934).  E sempre in Francia, la mostra allestita a Parigi nel 1941 nel corso dell’occupazione tedesca sul tema degli ebrei, aveva il focus simbolico in una grande statua d’uomo nudo, raffigurazione dell’”atleta perfetto”, con la quale si intendeva far emergere la netta, inconciliabile diversità/alterità tra la virilità e forza ariana e l’inferiorità corporale dei semiti. Nell’immaginario popolare erano i tratti fisici a qualificare plasticamentel’ebreo: il naso adunco come il becco d’un rapace, i piedi piatti, il colorito bruno della pelle, costituivano dei prerequisiti su cui fondare un pregiudizio anche etico. Oltreché mancanti di virilità, gli ebrei venivano accusati di omosessualità e di effemminatezza. In un suo saggio del 1903, Sesso e carattere, Otto Weininger rappresentò donne ed ebrei come creature fragili, sottomesse, dominate dalle emozioni e dalle passioni. Teorie che, per delegittimarli, nel primo dopoguerra portarono ad esempio a tacciare di omosessualità Walter Rathenau e Leon Blum, leader politici di Germania e Francia ambedue ebrei. Come ha notato George L. Mosse <<il corpo dell’ebreo,  vecchio,  debole o effemminato diventava uno stereotipo non distinguibile, nella sostanza, da quello dell’omosessuale. Per dimostrare la loro differenza dalla norma, agli ebrei venivano attribuiti tratti e dimensioni fisiche specifiche; gli omosessuali erano in genere magri e fiacchi, uomini nei quali più che la bruttezza dei lineamenti prevaleva una posa poco virile. Alla fine, comunque, entrambi venivano giudicati e condannati sulla base del modello della bellezza mascolina>>. 


1.3 Il Musckelijudentum e lo sport ebraico in Europa

Se l’idea di mascolinità assurse a criterio di profonda distinzione tra le razze, rafforzando le correnti antisemite, è evidente come affacciandosi in Europa le prime forme di sionismo esse cominciarono a porsi concretamente il problema di una rigenerazione fisica dell’ebraismo quale presupposto di una sua rinascita morale. Fu in specie Max Nordau- al secolo l’ebreo ungherese Simon Maximilian Sudfeld (1849-1923) - ad avanzare queste necessità. Nordau era un medico che in un’opera sulla degenerazione fisica e psichica (Entartung 1892-1893) per primo contrappose polemicamente all’ebreo tradizionale “da ghetto” e da “caffè” l’’”ebreo nuovo”: più dinamico,  vigoroso nell’aspetto e nelle carni. L’antisemitismo aveva prodotto una peculiare malattia che egli definì “Judendot” o angoscia ebraica, e nel suo pensiero per una rinascita ebraica occorrevano uomini che <<si svegliano presto, e non si stancano prima del calar del sole, mente chiara, stomaco solido, muscoli di ferro>>.  Un prototipo che, teorizzando degli stili di vita maggiormente moderni e sportivi, poneva le basi per l’affermarsi di un‘orgogliosa mascolinità semita.  Queste sue concezioni, appoggiate pure da Max Mandell, le riportò nell’ambito del secondo Congresso sionista di Basilea del 28-31 agosto 1898, laddove iniziò a delineare il cosiddetto “Muskeljudentum”. Un “giudaismo muscolare” che si mostrò in tutta la sua espressività simbolica nel corso del sesto congresso del sionismo internazionale. Tenuto nuovamente a Basilea, affianco delle discussioni  vi ebbe luogo un grande saggio ginnastico. <<Per troppo lungo tempo  - sosteneva Nordau -  abbiamo praticato la mortificazione della carne. Sarebbe stato molto meglio, se avessimo pensato ai nostri corpi invece di averli trascurati e di averne abusato. Ora dovremo riprendere alcune delle nostre antiche tradizioni. Allora potremo essere nuovamente tutti degli uomini dal torace possente, dagli arti diritti, dalla vista acuta. Non vi è popolo al mondo per il quale la ginnastica potrebbe avere dei risultati altrettanto splendidi che per noi.  La ginnastica è destinata a fortificarci nel corpo e nello spirito. Ci darà sicurezza in noi stessi>>.  <<Vogliamo  restituire al flaccido corpo degli ebrei - incalzava - il tono perduto, renderlo forte e vigoroso, agile e potente>>.  Il“giudasimo muscolare” di Nordau e Mandell conobbe uno sviluppo tutt’altro che trascurabile dando vita a delle significative esperienze soprattutto in Germania,  Austria, Olanda, Polonia, Cecoslovacchia, e Ungheria,  mentre in Palestina le prime società ginniche composte da ebrei videro la luce nel 1906 a Gerusalemme e Jaffa. Sempre in Palestina, la prima importante manifestazione sportiva ebraica, il “Rehovot Festival”, si svolse nel 1908. In Europa, a Berlino, per sfuggire all’antisemitismo di cui era intriso l’associazionismo sportivo tedesco    il 22 agosto 1898  fu creata da 48 giovani raccolti attorno al rabbino Wilhelm Lewy un’associazione sportiva che prese il nome di Bar Kochba (dall’eroe della rivolta contro Adriano nel 132-135 d.C.), ed essa costituì l’embrione della Lega delle società ginniche ebraiche sorta nell’agosto 1903 e dotata d’un proprio organo d’informazione: il “Juditsche Turnzeitung”. A Plovid, nel 1897, venne fondata una società ginnica ebraica chiamata Maccabi, traendo spunto da Maccabeo che aveva condotto la resistenza all’invasione siriana della Palestinanel 168 a.C. Presenti in molti territori dell’Europa centrale (a Prejov ne nacque una nel 1903 seguita da altre a Praga, Brno, Bratislava) e orientale, nel 1921 le società Maccabi - di netta ispirazione sionista - si riunirono in un ente mondiale, e anche il Bar Kochba berlinese, che ai tempi della Repubblica di Weimar toccava le 1300 unità, confluì in quello tedesco presieduto centralmente da Herman Lelewer. Nel 1925 in Germania gli iscritti al Maccabi, tra cui anche molte donne,  risultavano 8000 circa, e la loro crescita fu costante. Tanto che nel 1929 nella sola Prussia orientale le società sportive entrate a farne parte raggiunsero il numero di 53 con 7375 iscritti. Sempre in Germania prese piede un aggregato di club sportivi ebraici col nome di Vintus, e un altro organismo più diffuso, emanazione del Reichsbund Judischer Frontsoldaten (Rjf), fu istituito nel febbraio 1919 da Leo Lowenstein (1879-1956).  Il Rjf eraun movimento non sionista (anzi, con delle propensioni nazionaliste che non evitatono comunque a Lowenstein la deportazione a Terezin) in cui si raccoglievano i reduci ebrei della Grande Guerra sperando così nell’integrazione nella società tedesca. Giunto a reclutare oltre 30.000 ex soldati raccolti in 500 sezioni, a partire dal 1924, dopo gli attacchi antisemiti e i saccheggi avvenuti nello “Scheunenviertel” di Berlino del novembre 1923, favorì la formazione di proprie associazioni sportive (Schild, scudo) con scopi di autodifesa e protezione. Dal 1933, con l’avvento del nazismo, del Rjf sopravvisse in pratica solo l’apparato sportivo Schild (dato da 83 società per 7000 aderenti) coordinato da Paul Yogi Mayer,  e i suoi associati, in questa temperie così delicata, crebbero notevolmente al pari di quelli del Maccabi. Una crescita per forza di cose, poiché fu la diretta conseguenza dell’espulsione di massa degli ebrei tedeschi dai sodalizi, ormai per soli ariani, di cui erano stati sino ad allora membri.  Già prima del 28 aprile 1933, quando fu nominato commissario sportivo del Reich Hans Von Tschammer und Osten, diverse società sportive tedesche seguirono l’esempio della “Legge sul servizio sociale” e bandirono gli ebrei dalle proprie fila, e accodandosi al boicottaggio delle imprese ebraiche lanciato il 1° aprile 1933 le federazioni di ginnastica, atletica leggera, pugilato, canottaggio, canoa, tennis, nuoto, sci ecc. adottarono immediatamente dei più severi protocolli antisemiti. Per reagire a questa situazione, il 29 marzo 1933 la comunità ebraica berlinese presentò una protesta formale contro il divieto di ammettere bambini e scuole ebraiche nelle piscine pubbliche e, il 13 maggio 1933, lo Schild lanciò un appello alle sue basi affinchè incorporassero gli sportivi ebrei oggetto di tali discriminazioni. Da qui, se nel 1933 Maccabi e Schild contavano insieme 15.000 iscritti, nel giro di pochi anni li moltiplicarono.Nel 1934 lo Schild giunse ad avere 17.000 associati (1800 a Berlino, 1400 a Francoforte, 1000 a Breslau) e nel 1936 diventarono 21.000 inseriti in 216 nuclei. Il Maccabi nel 1934 raggruppava invece 134 sodalizi per un totale di 21.500 aderenti, e a tutto il 9 novembre 1938 i soli club calcistici ebraici tedeschi, censiti in un loro studio da Lorenz Peiffer e Henry Wahlig, toccavano i 216.  Berlino, il 22 luglio 1905, aveva visto anche la nascita d’una società sportiva chiamata Hakoah (Forza): denominazione che venne utilizzata da numerose altre realtà ebraiche specie in Austria: a Vienna, Innsbruck, Graz, Leoben, Eisenstader. E l’Hakoah viennese - come vedremo - divenne un’autentica potenza con atleti olimpionici e squadre che vinsero campionati nazionali anche nel football. D’altro canto chi, se non l’ebreo Hugo Meisl, creò il celeberrimo “Wuderteam”. Nato a Vienna il 16 novembre 1881, Meisl sarà definito una specie di <<Pitt, Disraeli, Bismarck e Napoleone del calcio austriaco>>. Un calcio che, dalla panchina di Commissario tecnico della nazionale, guidò dal 1912 al ’14 e dal 1919 al ’37 in 155 partite (78 vittorie, 48 sconfitte, 33 pareggi) portandolo ad affermarsi nella Coppa Internazionale del 1932, a classificarsi secondo nelle Olimpiadi del 1936 e quarto nel mondiale del 1934. Inventò, ispirato dallo stile scozzese di Jimmy Hogan, il calcio danubiano basato sui fraseggi e sullo schema “a turbine”, consistente nell’intercambiabilità tra tutti giocatori scesi in campo. Fu inoltre un eccellente organizzatore,  ideando la “Coppa Internazionale” (per nazionali) e la “Mitropa Cup” (per club),  da dirigente ricoprì a lungo la carica di segretario della Federazione calcistica austriaca (Ofb) e, solo la morte giunta improvvisa il 17 marzo 1937, gli risparmiò l’Anschluss. La fine del suo “Wunderteam” (fuso d’imperio nella nazionale tedesca con poche eccezioni: il refrattario Mathias Sindelar che preferì lasciare il calcio per non sottostare a un simile diktat),  e soprattutto i drammi della Shoah. Nello sport ungherese, a venir strettamente associati alla comunità ebraica furono innanzitutto la scherma, fonte inesauribile di medaglie olimpiche, e il football professionistico.  A comprovarlo è sufficiente rilevare che nell’incontro calcistico disputato a Budapest, il 5 giugno 1921, tra Ungheria e Germania (3-0), 6 degli 11 magiari schierati erano ebrei.  Il Magyar testgyarkorlok kore (Mtk), cioè il “Circolo dei promotori ungheresi della forma fisica”, venne immediatamente identificato e fu in effetti (con oltre la metà dei soci nei primi anni ’30) la squadra degli ebrei della capitale ungherese. Fondato il 16 novembre 1888 e presieduto durante il suo ciclo d’oro dall’imprenditore ebreo Alfréd Brull, esso vinse il primo campionato d’Ungheria nel 1914 e, senza soluzioni di continuità, lo riportò dal 1917 al ’25. Nel corso della sua striscia di successi nel primo dopoguerra la formazione plurivittoriosa si basava in massima parte su calciatori ebrei: Béla Guttmann, Gyula Feldmann, Jozsef Braun, i fratelli Jeno e Kalman Konrad e Adolf e Vilmos Kertész. L’etichetta di squadra degli ebrei, con relativi pregiudizi, rimase sempre attaccata al Mtk. Tanto che David Bolchover - autore di una eccellente biografia di Béla Guttmann - citando Miklos Hadas ha notato come mentre il Ferencvaros, l’altro forte club di Budapest, era percepito quale espressione di <<una piccola borghesia generosa, compassionevole ed entusiasta, che si sentiva ungherese>>, il Mtk appariva il simbolo della <<grande borghesia calcolatrice, pragmatica e alienata di origini straniere>>.  In Polonia, a fianco dei sodalizi Bar Kochba (Debica), Hakoah (Cracovia, Wilno), Maccabi (Cracovia, Kielce, Konin, Lomza, Sacz, Wilno), lungo i primi decenni del XX secolo fiorirono quelli che ebbero l’intitolazione di Hosmonea (Luck, Lwow, Rowne, Wilno, ecc.), dalla dinastia che stabilì nel 140 a.C. il regno di Giudea,  e nel 1933 110 società ebraiche con 4369 soci aderivano pure all’Internazionale sportiva socialista di Lucerna.   La presenza di questo sport è segnalata altresì in Ucraina, a Cernauti, laddove Mario Pagotto, prigioniero di guerra ed ex terzino del Bologna calcistico, venne ospitato in un campo di raccolta ricavato all’interno dello stadio Maccabi,  e in Cecoslovacchia fiorendo specialmente a Brno. Il Maccabi Brno divenne un club di valore, attingendo al football ebraico magiaro (Arpad Weisz, Gyula Feldmann, Reszo Nikolsburger, Erno Schwarz), e nel 1923 fece una tournée di 18 partite in Spagna battendo 3-1 il Real Madrid. Altrettanto prestigioso fu il successo che in quel ’23 riportò in Austria sul Rapid Vienna regolato 4-1, e nel medesimo anno giocò in Italia disputando una serie di incontri a La Spezia, Genova, Legnano, Alessandria e Torino. La città della Mole nella quale, il 1° gennaio 1924, superò (con Weisz in campo) la Juventus col punteggio di 2-1. Un risultato di prestigio come quello ottenuto a Bologna, il 5 maggio 1924, quando pareggiò 1-1 con la nazionale di Pozzo in preparazione alle Olimpiadi di Parigi. Un altro importante polo dello sport ebraico europeo  fu l’Olanda. Basti rilevare che nel 1940 ad Amsterdam, prima che con la direttiva nazista del 23 ottobre 1941 venisse imposto il bando degli ebrei da tutte le società del Paese,  si avevano 5 loro squadre di calcio (Hortus - Eendracht Doet Winnen; Be Quick Pollux Combinatie; Owerwinning  Door Eenheid; Alleneén Doel; Wilhelmina Vooruit), e che nel 1939 l’Hakoah di Groningen - per il suo 10° anniversario - organizzò un torneo di football per soli club composti da giocatori ebrei cui presero parte 9 formazioni. Due della medesima Hakoah, il De Ooievaars di l’Aja con due rappresentative, il Maccabi Amsterdam, l’Achdoeth di Leeuwarden e tre “11” di Enschede, Hengelo, Assen.


1.4 Le origini dello sport ebraico in Italia

Una minore diffusione il “Meskeljudentum” fece registrare nell’Europa latina. La qualcosa si evince emblematicamente analizzando la realtà italiana.  Nel nostro paese il primo a cogliere le sollecitazioni di Nordau fu il medico sionista della Clinica di malattie nervose dell’università di Padova Edgardo Morpurgo (1872-1942). Egli - ha rimarcato Marco Bencich - partecipò al terzo Convegno sionistico italiano, tenuto a Ferrara il 7 dicembre 1902 sotto la presidenza di Felice Ravenna, con una relazione sull’”Educazione fisica degli ebrei”. Nella sua analisi evidenziò la <<notevole e progressiva degenerazione fisica e mentale degli israeliti, la quale costituiva un pericolo per la razza Semita, più grave forse dello stesso antisemitismo>>,  e pertanto suggerì di agire in due direzioni:

    A)    Con mezzi diretti, promuovendo conferenze, pubblicazioni con lo scopo di educare e persuadere specialmente le madri israelite, sulla necessità di provvedere ad una razionale educazione fisica dei bambini, coadiuvate da opportuni sussidi terapeutici.

    B)    Con mezzi indiretti, favorendo ed aiutando l’insorgenza di asili infantili israelitici (dove vengano svolti programmi didattici consoni alla speciale individualità psichica dei fanciulli israelitici), promuovendo la formazione di ospizi marini, di colonie alpine ecc. 

Pienamente recepite le sue proposte, l’assemblea diede mandato a Morpurgo di riferirne ulteriormente anche nel successivo Convegno. Assise che si svolse a Milano, presso l’asilo infantile israelitico di via Caminadella, il 20-21 marzo 1904, e nella quale al punto VII dell’ordine del giorno venne posto ufficialmente il tema “Educazione fisica degli ebrei in Italia”. Anche in tale occasione Morpurgo concentrò la maggiore attenzione sull’alta percentuale di nevrastenie presenti in seno alla popolazione ebraica: un vizio che, a suo dire, poteva essere combattuto incrementando l’esercizio fisico sin dalla più tenera infanzia. Premesso ciò, concluse la sua perorazione illustrando una coppia di interventi approvati all’unanimità:

    1)    Che venga istituita una Commissione speciale di medici incaricata di studiare il problema dell’educazione fisica degli Israeliti e promuovere, all’interno delle famiglie, un’opera di propaganda intesa a migliorare fisicamente la gioventù. Tale Commissione dovrebbe avere la sede centrale a Milano e riferire ogni anno nei convegni sionistici del proprio operato.

    2)    Che venga dato incarico ad una delle tante opere di beneficienza israelitiche di far pratiche verso le varie comunità israelitiche, che hanno già stanziate nel loro bilancio somme annue per il miglioramento fisico dei bambini, di addivenire alla formazione di un’unica istituzione ebrea incaricata di inviare al mare ed al monte i bambini ebrei malati e malaticci, che per ragioni varie non possono altrimenti godere del beneficio delle cure marine e climatiche. 

L’azione proselitistica di Morpurgo continuò sugli organi a stampa ebraici. In specie su l’”Idea sionista”, un mensile nato a Modena nel 1900 ad opera di Carlo Conigliani, che nel gennaio 1903 ospitò un suo intervento dal titolo “Per la rigenerazione degli israeliti”. Nel medesimo anno l’”Idea sionista” diede spazio a un pezzo sull’educazione fisica di Nordau,  e a un primo contributo di Morpurgo intitolato “Delle condizioni somatiche e psichiche degli israeliti in Europa” che proseguì nei numeri successivi.  Sembrava così esser stata avviata pure in Italia la promettente crescita d’un movimento ebraico di educazione fisico-sportiva, ma queste aspettative andarono presto deluse. Infatti, per oltre un decennio, non si ha traccia di alcun sodalizio sportivo d’ispirazione sionista. Solo nel 1914 a Trieste, ancora sotto la dominazione austrio-ungarica, sorse una società Maccabi, emanazione di quel Circolo sionistico triestino che - con presidente Dante Lattes - era stato fondato il 13 aprile 1904.  Il Maccabi della città giuliana, che organizzò la sua festa d’inaugurazione il 14 marzo 1914, limitò la propria attività alla ginnastica e creò un “Comitato divertimenti” che, tra gli altri compiti, si proponeva di favorire gli incontri con sodalizi analoghi e fornire ospitalità a quelli che s’imbarcavano per recarsi in Palestina. Più dinamico e versatile, secondo Bencich, si dimostrò il Fascio giovanile ebraico triestino costituito il 29 marzo 1919 e presieduto da Daniele Windspach.  Quel Fascio, essendosi subito dato dei fini essenzialmente sportivi, non stava a indicare alcuna impronta politica mussoliana, e a un anno dalla sua istituzione giunse già a contare 240 aderenti. Oltre alla ginnastica, affidata alle cure del maestro Emilio Marcheria, promosse canottaggio, ciclismo, football, tennis e, come il Maccabi concittadino, s’incaricò di stringere amicizia con le società sportive ebraiche di passaggio a Trieste. In questo senso nell’ottobre 1923 venne offerto un banchetto all’Hakoah di Graz, giunta nel capoluogo giuliano per affrontare in una partita di football la formazione locale “Edera” di tendenze repubblicane,  e nel 1925 fu accolta la più prestigiosa squadra di calcio dell’Hakoah di Vienna transitante in città.  Un’esperienza, quella del Fascio giovanile ebraico, chiusasi nel dicembre 1927. Su un altro piano, il primo grande atleta ebreo nella storia dello sport italiano - seguito a breve dal tennista triestino Uberto Luigi Morpurgo - risponde al nome di Giuseppe Sinigaglia.  Nato a Como il 28 gennaio 1884, la sua famiglia dalle Marche si era dapprima trasferita a Vo’ Euganeo, nel padovano, dove nacque suo padre Antonio per poi approdare sulle rive del Lario al fine d’intraprendervi un’attività nel settorealberghiero gestendo il ristorante Caprera”. Sinigaglia, detto “Sina”, iniziò a fare sport nella Società ginnastica Comense e, dal 1903, a remare per la Canottieri Lario. Campione d’Europa di singolo e di doppio (con Teodoro Mariani) nel 1911 a Como, il 4 luglio 1914, a Henley, sul Tamigi, s’impose nello skiff delle “Diamond’s Sculls”. Regate equivalenti a un campionato mondiale. Durante la Grande Guerra fu un sottotenente del II Reggimento granatieri di Sardegna, cadendo nella conquista di cima 4 del Monte San Michele il 10 agosto 1916. “Il più glorioso atleta italiano è morto per la Patria. Giuseppe Sinigaglia della “Lario” di Como campione del mondo di canottaggio” campeggiava sulla prima pagina “La Gazzetta dello Sport” del 18 agosto 1916, e la sua fama d’eroe fece sì che una delle quattro squadre d’azione costituite nel 1921 dai fasci di combattimento di Como gli fosse intitolata.  Quello stesso fascismo che nel 1938, con l’approvazione delle leggi razziali, l’avrebbe in pratica ripudiato. Tra i dirigenti sportivi emergono invece le figure di Edward Nathan Berra e Pacifico Levi. Vicepresidente del Milan football and cricket club dalla fondazione - nel dicembre 1899 - alla sua morte il 25 settembre 1908, Nathan Berra nacque a Londra il 19 luglio 1871 e suoi nonni erano Moses Nathan, un commerciante e agente di cambio ebreo-tedesco di Francoforte sul Meno, e l’abrea italiana Sara Levi nata a Pesaro il 7 dicembre 1919.   Lo zio paterno, Ernesto, fu apprezzato sindaco radical-massone di Roma dal 1907 al 1913 e Gran maestro dell’Oriente d’Italia dal 1896 al 1904, e la nonna era figlia di Enrichetta Rosselli, grande amica di Giuseppe Mazzini. Cosicchè quando Mazzini visse in esilio a Londra divenne un abituale frequentatore di casa Nathan. Un altro fratello del padre Adolph, lo zio Joseph, aderì all’Alleanza universale mazziniana partecipando nel 1869 a un moto repubblicano a Milano, e l’altra zia Enrichetta Nathan, sposando Sebastiano Rosselli, avrebbe invece avuto per nipoti dal figlio Joe i due martiri dell’antifascismo Nello e Carlo Rosselli. Pacifico Levi, avvocato del foro modenese, fu presidente della Società Ginnastica del “Panaro” di Modena dal 21 dicembre 1905 al 19 novembre 1925.  Nella stagione di massimo splendore del sodalizio, che vide il suo ginnasta Alberto Braglia laurearsi campione olimpico nel concorso completo individuale nel 1908 (Londra) e 1912 (Stoccolma) e a squadre nell’edizione svedese.  Fuori dalle due esperienze triestine del Maccabi e del Fascio giovanile non si hanno evidenze di altre associazioni sportive ebraiche, mentre si ha notizia d’una più intensa attività nelle colonie. In particolare in Libia, dove, il 20 agosto 1920, l’Autorità Affari civili del governo italiano autorizzò la creazione di un circolo sportivo-culturale ebraico, il “Benein Son”, con sede in una vecchia scuola talmudica di Tripoli. Presieduto da Roberto Arbib, a distanza di dodici mesi dal suo riconoscimento arrivò a sommare 60 soci, spostò i propri uffici e le sale ricreative affianco del teatro Politeama e cambiò il nome in Maccabi, dando luogo a una polisportiva che praticava atletica leggera, calcio, nuoto, pallanuoto, tennis tavolo.  Nel 1926 i suoi iscritti salirono a 260, nel 1931 si affiliò all’Unione Mondiale Maccabi e nel 1935 il club libico prese parte alla seconda Maccabiade - le Olimpiadi dello sport ebraico - disputata a Tel Aviv. Da Tripoli partirono per le gare in Palestina una squadra di calcio, una di pallanuoto, tre nuotatori, tre podisti e due pongisti accompagnati da Arbib e dai consiglieri Roberto Nunes-Vais e Alfonso Braha. Si trattò d’una presenza alle Maccabiadi di valore anche politico, poiché dal 1929, col governatorato di Pietro Badoglio, erano state imposte delle pesanti restrizioni alla libera espressione sportiva ebraica in Libia. Nel 1930 il Giro podistico di Tripoli e la Traversata a nuoto del porto esclusero sia gli atleti ebrei che arabi venendo riservate <<ai soli nazionali e cittadini stranieri>>.  Nel 1932 - quando a Tripoli risiedevano 5.117 ebrei libici - fu indetto un campionato di calcio separato per soli “sudditi”, e questi limiti divennero ancora più oppressivi con le leggi razziali del 1938 che costrinsero il Maccabi tripolino a sospendere ogni sua iniziativa.  Addirittura, come rilevato da Renzo De Felice in Ebrei in un paese arabo, nel 1941 il Maccabi libico fu dichiarato fuorilegge con l’accusa di attività sovversiva.  Dopo l’occupazione militare inglese del 1943, la società di Arbib poté riorganizzarsi e, l’8 settembre 1944, inaugurò un suo nuovo campo sportivo con un incontro di calcio contro il Tripoli vinto per 1-0.


1.5 Le leggi del 1938 applicate allo sport  

Come accaduto al Maccabi in Libia, la legislazione razzista antisemita introdotta dal fascismo (il censimento compiuto nel 1938 per renderla operativa registrò 58.412 ebrei, tra italiani e stranieri, la maggior parte dei quali concentrati a Roma,  Milano, Livorno, Torino, Firenze, Genova, Venezia e Trieste: la città in cui la loro presenza risultava più alta, essendo pari a un 25 per 1000 mentre nel resto del paese si attestava sull’uno per 1000) colpì immediatamente lo stesso sport, in cui serpeggiava da tempo un razzismo latente ed esplicito.  Già in occasione dell’incontro tenuto a New York, il 14 giugno 1934, tra Max Baer (solito salire sul ring ostentando sui pantaloncini una stella di David, anche se in realtà non era affatto ebreo) e Primo Carnera, che costò al pugile italiano la corona mondiale dei massimi, se ne era avuto un chiaro attestato. Questi i toni usati in Italia dai commentatori: <<Baer ha dietro di sé i milioni di Hollywood e del giudaismo americano. Buon prò gli facciano. Carnera aveva ed ha ancora le simpatie del nostro popolo umile, laborioso e onesto. Popolo che per purezza di sentimenti e di aspirazioni è infinitamente superiore al mercantilismo ebraico>>.  E nel gennaio 1938, su “Il Littoriale”, Nino Cantalamessa non mostrava alcun ritegno nell’ostentare il profondo razzismo che stava ormai pervadendo anche la società italiana:

C’è una Nazione europea che sta per fare concorrenza agli americani nell’affidare a uomini di colore la difesa della propria bandiera sportiva. Si tratta, manco a dirlo, di una Nazione ultrademocratica: la Francia […]. E’ dunque chiaro che i dirigenti sportivi d’Oltralpe contravvengono a un preciso dovere verso la nostra razza e la nostra civiltà permettendo che il Paese venga ufficialmente rappresentato da uomini di razza diversa […]. Nell’affannosa ricerca dei campioni di colore è facile scorgere una confessione e un’offesa: una confessione di decadenza. 

Con questo retroterra, che aveva avuto nel pugile italo-congolese Leone Jacovacci (il “Nero di Roma”, campione europeo dei medi nel 1928-‘29) il primo bersaglio di un razzismo a malapena trattenuto,  non sorprende la celerità e rigorosità con cui le istituzioni sportive, le singole società, la stampa, un universo profondamente fascistizzato e sottoposto a uno stretto controllo da parte del regime, recepirono e applicarono i dispositivi del ’38  compiendo, ha notato Enrico Landoni, <<atti ignominiosi e fatali per la vita di atleti e professionisti di origine ebraica, italiani e non>>, così da scrivere <<la pagina di storia più buia dello sport nazionale>>.  Il segnale di come il sistema sportivo si stesse allineando/attrezzando in vista delle imminenti direttive si evince da un articolo, apparso mercoledì 7 settembre 1938, su “Il Calcio Illustrato”. Una sorta di Manifesto dell’antisemitismo declinato in sport:

La vigorosa e decisa opera di difesa della razza intrapresa dal Regime, avrà naturalmente le sue conseguenze benefiche anche nel campo sportivo, per quanto, in fatto di atleti militanti, non debbano essere molti gli ebrei. Riguardo al mondo calcistico, che è quello che ci interessa più da vicino, vi è una zona in cui si è trapiantata, crediamo, una discreta rappresentanza israelita straniera, ed è quella degli allenatori. Non riteniamo di dover far nomi, ma è certo che fra moltissimi allenatori danubiani non mancano gli israeliti. Ebbene, che costoro - venuti tutti fra noi dopo il 1919 -  debbano far le valigie entro sei mesi non ci rincresce davvero, poiché così finiranno di vendere fumo con quell’arte imbonitoria propria della razza, e lasceranno i posti a tanti ex giocatori di razza italiana, che sono benissimo in grado di tenerli, e che al confronto con gli stranieri di cui sopra non sono inferiori che sotto una voce: la faccia tosta! La bonifica della razza è pertanto destinata ad avere più che salutari conseguenze calcistiche.   

Toni in tutto simili a quelli utilizzati a Bologna da “Il Resto del Carlino”, che evidenziava come gli allenatori ebrei in attività fossero comunque <<pochi, qua e là, al servizio di qualche squadra calcistica>> e costituisse <<motivo di orgoglio affidare da oggi, subito, le nostre forze giovanili a maestri della nostra razza>>.  La bonfica radicale invocata dal “Calcio Illustrato”, concomitante col regio decreto relativo ai “Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri” emanato nel medesimo giorno e facente seguito a quello “Per la difesa della razza nella scuola” del  5 settembre, si abbattè su Arpad Weisz (Bologna), Gyula Feldmann, Erno Erbstein  (Torino), Jeno Konrad (Triestina), Vilmos Wilheilm (Padova), Imre Hermann (Treviso) e Gyorgy Orth (Savona), che preferì dileguarsi temendo per la moglie che di religione ebraica. Tutti allenatori ebrei magiari (tranne appunto Orth) che furono costretti a lasciare l’Italia entro il 6 marzo. Ma con la massima sollecitudine l’intero spettro delle istituzioni sportive fece a gara nell’applicazione dei provvedimenti razziali. A spiegarne l’assoluta necessità s i impegnò “La Difesa della Razza”. L’organo ufficiale del razzismo italiano diretto da Telesio Interlandi, che poneva in rapporto lo sport con le politiche demografiche. Ovvero con la salute e purezza della razza che non potevano essere indebolite o inquinate da sangue non ariano:

L’italiano - vi si asseriva - sa oggi anche in questo campo che pensare, e guarda con simpatia alle schiere di giovinette, che sviluppando negli esercizi armonicamente il loro corpo, lo preparano alla maternità […]. Nelle palestre, negli agonali, là dove c’è aria pura, luce, sole non c’è posto per la guidaica falsità, per i malanni del corpo e dell’anima.  

In quest’ottica le leggi razziali apparivano la risorsa eugenetica con cui, finalmente, arrivare all’”uomo nuovo”. L’utopia vagheggiata  lungo la sua ventennale esperienza dal fascismo, che per perseguirla attribuiva allo sport un fondamentale valore fisico e morale.  All’interno d’una tale cornice venne perciò a collocarsi il solerte razzismo del movimento sportivo italiano. Un antisemistmo, per intanto burocratico, la cui macchina iniziò a funzionare a pieno regime dal novembre 1938. Da quando cioè, il 17 di quel mese, fu promulgato il pacchetto integrale dei decreti razziali. La stampa, sportiva e non, iniziò così a tenere una minuziosa contabilità delle espulsioni adottate dai sodalizi sportivi italiani nei riguardi dei soci ebrei. Un computo nel quale si distinse particolarmente “Il Piccolo” di Trieste che, fin dal 15 novembre 1938, lo introduceva servendosi di argomenti sostanzialmente analoghi a quelli della rivista di Interlandi: << E’ incompatibile - proclamava - la presenza di elementi di razza diversa dalla nostra in settori tanto delicati come le grandi società sportive ove si forgiano le membra ma anche lo spirito della giovinezza mussoliniana. Le nostre società sportive sono scuole per gli italiani e tali devono rimanere>>. Inoltre, soggiungeva, <<gli ebrei sono refrattari agli sport e frequentano le associazioni sportive per curare gli affari loro>>.  Dal 16 novembre il giornale cominciò quindi a fornire i dati puntuali della “disinfestazione” in corso: << Triestina Nuoto: ancora due o tre ebrei sportivi praticanti, parecchi abbonati alle esibizioni. Triestina Calcio: nessun calciatore ebreo, viceversa oltre una dozzina di ebrei ancora abbonati allo stadio; diciamo ancora. Nelle società di vela molti sono stati già allontanati, mentre una quindicina aspetta proprio di essere mandata via. Nelle nostre società alpinistiche non restano più di quindici soci ebrei>>.  E proseguendo nel suo aggiornamento quotidiano, il 17 novembre “Il Piccolo” informava che <<per decisione del comitato direttivo della Ginnastica Triestina sono stati eliminati gli ebrei praticanti sportivi che non erano più di settanta […]. Epurato il gruppo sciatori Monte Tricorno. Veniamo informati che rapidamente e radicalmente anche la Sezione di Trieste del Centro Alpino italiano ha epurato le proprie file dagli elementi di razza ebraica>>.  Tra questi ultimi compariva anche Rita Rosani, un’ebrea di origini cecoslovacche (il cognome originario italianizzato dal fascismo era Rosennzwig) nata a Trieste il 20 novembre 1920 e Medaglia d’oro della Resistenza. Maestra elementare delle scuole israelitiche fu partigiana col grado di tenente, morendo in combattimento sul Monte Comun, nel veronese, il 17 settembre 1944.  Dal novembre 1938 le notizie di ebrei allontanati dalle società sportive si rincorreranno sulle diverse testate locali e nazionali. Il 20 “La Stampa” di Torino rendeva noto l’esonero, per motivi razziali, dell’allenatore Konrad sostituito da Janos Nehadoma.  Esonero su cui, il 21 novembre, ritornò anche “Il Littoriale”,  che, il 17 dicembre 1938, si premurò altresì di comunicare che la Società sportiva “Lazio” di Roma stava provvedendo alla radiazione dei suoi membri ebrei. Il 3 dicembre 1938 “La Stampa”, con telegrafica sinteticità, annunciava che <<in seguito ai provvedimenti razziali l’allenatore Erbstein ha lasciato la direzione tecnica della squadra granata>>:  una cacciata che era stata largamente preceduta da quella di Weisz. In proposito, già nell’edizione del 27 ottobre 1938 scriveva “Il Littoriale”: <<Si apprende da fonte autorizzata che le superiori Gerarchie sportive hanno concesso il nulla osta nella giornata di oggi per il mutamento nella direzione tecnica del Bologna. A sostituire Arpad Veisz la cui permanenza nella nostra città, datava da tre anni e mezzo, è stato chiamato il dottor Ermanno Felsner>>.  Su “La Gazzetta dello Sport”, il 29 dicembre 1938, si poteva invece leggere: <<La Società Rari Nantes “Florentia”, mentre sta provvedendo alla compilazione della scheda personale di tutti i soci, ha aggiunto all’Art. 13 dello Statuto sociale il seguente comma: Non possono far parte della Società coloro che non sono di razza ariana>>.  Non bastasse, “Il Calcio Illistrato” si spingeva a segnalare ciò che avveniva contemporaneamente all’estero. Al riguardo, nel riportare l’arresto a Budapest dei calciatori Imre Schlosser e Jozsef Braun per aver cercato di falsificare le carte d’identità di cittadini ebrei facendosi risultare di religione cattolica, si compiaceva che il tentativo <<combinato in un momento per lo meno… fuori stagione>> fosse stato prontamente sventato.  Per quanto concerne gli organismi sportivi nazionali, la Federazione italiana giuoco calcio (Figc) si attivò subito convocando, il 30 novembre 1938, il proprio Direttorio. Un incontro nel corso del quale il presidente Giorgio Vaccaro diede <<notizia delle disposizioni inviate ai dipendenti Direttori in materia razziale, ricordando che le direttive del Partito debbono costituire per tutti gli iscritti norme fondamentali e impegnative>>.  Sulla falsariga della Federcalcio, il 7 dicembre si adeguarono quelle del tennis (Fit) e del ciclismo (Fci), l’11 dicembre le federazioni pugilato (Fpi) e canottaggio (Rfic), e il 17 dicembre, riunendo i suoi vertici alla presenza di Vaccaro anche segretario generale del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), la Federazione italiana di atletica leggera (Fidal), che, al punto 8 dell’ordine del giorno, inserì la questione della “razza”.   Di propria iniziativa il  Coni, per non perder tempo e ancor prima che le diverse federazioni assicurassero lo specifico supporto alle politiche razziali,  con la circolare n. 221 del 2 dicembre 1938 impartì questo diktat alla rete periferica dei sodalizi affiliati: <<Pregasi dare disposizioni perché le Società sportive apportino al loro Statuto sociale l’aggiunta del seguente articolo: Condizione indispensabile per poter essere soci della Società è l’appartenenza alla razza ariana>>. Un imperativo a cui a Milano, il 16 dicembre 1938, si uniformò prontamente la Società ginnastica “Forza e Coraggio” che, attraverso il suo segretario Cesare Gallieni, ne intese dare conferma al capo dell’Ufficio sportivo della federazione provinciale fascista Angelo Galbusera: <<Si rende noto che il Comitato direttivo della nostra Società nella seduta di ieri, giorno 15, ha apportato allo Statuto sociale l’aggiunta…>>.  E sempre a Milano la sezione locale del Centro alpinistico italiano (così, in ossequio alle campagne linguistiche anglofobiche, il Club alpino italiano aveva dovuto chiamarsi dal 17 maggio 1938) espulse il conte ebreo Ugo Ottolenghi di Vallepiana. Un combattente della Grande Guerra, alpinista di vaglia, che aveva arrampicato anche con Paul Preuss, l’alpinista austriaco ebreo per parte di padre, il quale era stato fra gli antesignani nelle tecniche di salita senza l’ausilio di mezzi artificiali.  Con l’emanazione delle leggi razziali il Cai si adoperò  pure nella ridenominazione dei rifugi e, ad esempio, quello della sezione veronese dedicato ad Achille Forti venne debitamente arianizzato intitolando a un non ebreo.  A Trieste, un trattamento simile a quello subito da Ottolenghi di Villapana venne riservato a Giuseppe Luzzatto Fegiz: il presidente, dal 1900 al 1910, della Società Alpina delle Giulie.  Luzzatto Fegiz contro il quale, ormai morto, insisteva nello scagliarsi l’antisemita tutto d’un pezzo don Giovanni Preziosi: <<Come vi è sfuggito il necrologio che “Il Piccolo” del 17 dicembre 1941 dedicava al defunto Luzzatto Fegiz ebreo al 100%. Non vi sembra perlomeno esagerato dedicare tanto spazio e tante parole ad un ebreo che faceva un po’ di alpinismo?>>.  Un repulisti davvero esemplare, il triestino, che si poneva a modello per il resto d’Italia. I Gruppi universitari fascisti (Guf), al cui interno lo sport rivestiva grande importanza,  furono preallertati del varo della legislazione razziale il 30 luglio 1938. In un promemoria di Fernando Mezzasoma ad Achille Starace si invitavano le sezioni a dedicare la loro attività allo studio del problema della razza, anche in vista dei Littoriali della Cultura che dovevano tenersi quell’anno.  Invito subitamente raccolto dal Guf fiorentino , che istituì un <<laboratorio di valutazione fisica e sportiva>> incaricato di rivedere <<su basi razziali le caratteristiche medico antropologiche degli universitari>>.  Da par suo, il Coni si mobilitò nell’identica direzione. Il verbale d’una seduta del suo Consiglio generale riunito il 23 febbraio 1939, nella parte relativa a “Completamento della epurazione razziale nei quadri del Coni”, recitava testualmente: <<In ottemperanza alle direttive che la politica del regime ha stabilito in ogni attività della Nazione, per la salvaguardia della purezza della razza, il Coni ha provveduto alla esclusione di ogni elemento ebreo dai suoi quadri. Tale epurazione razziale è oggi completa>>. E al punto successivo, “Rapporti con l’Istituto di bonifica umana e ortogenesi della razza”, specificava: <<Il Coni attraverso la Federazione medici degli sportivi ha offerto la sua collaborazione all’Istituto di bonifica umana ed ortogenesi della razza di recente costituzione. Le modalità di tale collaborazione non sono state ancora precisate, ma si impernieranno nel reciproco scambio ed utilizzazione di tutto quel materiale di consultazione, di statistica, di valutazione che è possibile tra i due enti, nel superiore intento di collaborare profondamente alla politica razziale del Regime>>.  Un Istituto, quello di bonifica e ortogenesi, il cui artefice era stato Nicola Pende, rappresentando un ampliamento del “biotipologico-ortogenetico” da lui creato a Roma nel 1935. Pende che, non si deve scordarlo, fu uno dei dieci firmatari del “Manifesto della razza” (14 luglio 1938),  ed era prossimo a dirigere, dall’ottobre 1940, l’Accademia fascista d’educazione fisica della Farnesina a Roma.  Per quanto gli competeva, quella femminile di Orvieto provvide senza indugi nella sua pulizia razziale. A conferma, Nicla Poli, aiutante della comandante Elisa Lombardi, si incaricò d’inviare la seguente comunicazione al padre  dell’accademista Grazia Del Bianco: <<Non professando al 1° ottobre 1938 alcuna religione: la vostra figliola Grazia è da ritenersi come appartenente a razza ebraica. Pertanto essa viene dimessa da questa Accademia. Si rimane in attesa di Vostra disposizione per il suo rientro in famiglia>>.  


1.6 Dallo stadio di Berlino al campo di Auschwitz

Anche l’Italia ha quindi conosciuto, benche ancora poco studiata, una Shoah dello Sport. Ha avuto le sue vittime innocenti. Essa, nelle dimensioni quantitative, non è naturalmente comparabile con quella perpetrata dal nazionalsocialismo tedesco, tuttavia ciò non ne cancella la gravità, mostrando le responsabilità d’un sistema come quello sportivo che, a cascata dal Comitato internazionale olimpico (Cio) ai vari comitati olimpici nazionali fino alle singole federazioni, ha sempre teso a esaltare la propria autonomia e indipendenza dalla politica. Che si autoproclamava e si autoproclama a ogni piè sospinto affratellatore e universalista. Che, da Pierre De Coubertin in avanti, è andato rivendicando una neutralità falsa e spesso ipocrita.  Un’ipocrisia emersa in modo eclatante giusto con le Olimpiadi naziste di Berlino.  Olimpiadi, in un paese totalitario e razzista nel quale dal 1933 si calpestavano sistematicamente i diritti di ebrei, rom e oppositori politici, che avrebbero potuto/dovuto essergli revocate o perlomeno boicottate. Un’opzione, quest’ultima, che in effetti venne sollecitata (Oltreoceano soprattutto dalla comunità ebraica statunitense e dal presidente dell’Amateur athletic union (Aau) Jeremiah Mahoney;  in Europa dalle sinistre e da alcuni ambienti democratico-liberali), ma rispetto a cui prevalsero dei calcoli di corto respiro e una realpolitik rivelatasi alla lunga debole e perdente. Come ha evidenziato Paul Dietschy in un suo saggio: <<Quando i sindacati britannici, le associazioni ebraiche e una parte della sinistra inglese, in base alla testimonianza di un articolo del “New York Times” che affermava che un giocatore ebreo polacco era stato ucciso da uno dei suoi avversari tedeschi in un campo del III Reich, vollero far vietare la partita che doveva opporre l’Inghilterra alla Germania, il 4 dicembre 1935, il Foreign Office, come l’Home Office, fecero orecchie da mercante davanti a tutte le petizioni che chiedevano l’annullamento del match>>.  Finsero tutti di non vedere e non sentire. Le identiche logiche che recentemente, in ordine ai Giochi di Berlino, sono state avvalorate da un testo di John R. Webb apparso nel 2019 anche in Italia, che si può senz’altro ascrivere al filone negazionista. Tant’è, la nota dell’editore veronese chesi è assunto la responsabilità di diffonderlo recita testualmente: <<Con la pubblicazione di questo libro non vogliamo giustificare l’ingiustificabile. Pensiamo, però, che per mettere in luce gli errori commessi da un popolo bastino i fatti, non basta ripetere vecchie menzogne, perché, come scrisse l’Apostolo Giovanni: “Solo la verità rende liberi”>>.  Una libertà ricercata con un ambiguo richiamo alle sacre scritture, tanto somigliante a quell’”Arbeit mach frei” (“Il lavoro ti rende libero”) che s’incontrava all’ingresso dei campi di sterminio. In realtà, sull’opportunità di un eventuale boicottaggio ha concordato anche il più autorevole studioso  - con Richard D. Mandell -   dei Giochi hitleriani. Ossia lo storico americano David Clay Large, che in proposito si è espresso in questi termini:

Dovremmo ricordare che nel 1933-36 la dittatura nazista era ancora in fase di formazione, nonostante la legge del 23 marzo 1933 che conferiva poteri dittatoriali a Hitler e le purghe degli oppositori politici. Nelle ultime elezioni parlamentari permesse da Hitler in Germania, quelle del 5 marzo 1933, i nazisti non erano riusciti, anche con tutte le intimidazioni nei confronti dei votanti, a ottenere la maggioranza assoluta, e la percentuale con la quale avevano vinto era stata del 49,6 per cento su tutto il paese, e a Berlino solo del 34,6. Gli effetti della Grande depressione erano tuttora evidenti, e la disoccupazione si manteneva ancora su livelli alti. I rapporti segreti compilati dal partito nazista e dalla polizia regionale documentavano una notevole insoddisfazione tra la popolazione a causa della disoccupazione e della carenza di beni di consumo. Molta gente comune temeva anche che il programma di riarmo di Hitler avrebbe trascinato il paese in una nuova guerra. I Giochi olimpici erano importanti per i nazisti perché, se avesse avuto successo nell’organizzare la manifestazione, il Reich avrebbe dimostrato di essere una nazione pacifica, sulla strada del progresso economico in patria e degna del rispetto delle altre nazioni. Decidendo di intervenire a Berlino, nonostante tutte le riserve sulle decisioni politiche di Hitler, le democrazie del mondo persero una preziosa occasione per minare il prestigio del regime non solo agli occhi del mondo, ma anche - e fatto in ultima analisi assai importante - agli occhi degli stessi tedeschi. 

La grandiosità della manifestazione berlinese (cui si tentò di contrapporre un’Olimpiade democratica e antifascista a Barcellona con una partecipazione superiore alle aspettative, tra cui anche quella di antifascisti italiani in un numero imprecisato ma che comprendeva sicuramente l’accompagnatore Vincent Jaccod, i podisti Annibale Caneparo e un altro soprannominato “Giano” e il ciclista Bergamini)  e il suo indubbio successo organizzativo rafforzarono enormemente Hitler. Riuscirono uno spettacolo di grande effetto ingannando l’opinione pubblica internazionale, che avrebbe invece dovuto tener bene a mente il razzismo già manifestato nel 1932 dall’organo del partito nazionalsocialista tedesco (“Volkischer Beoblatter”) stigmatizzando la presenza di atleti di colore alle Olimpiadi di los Angeles:

Non è affar da negri - proclamava - partecipare alle Olimpiadi. Oggi siamo testimoni che l’uomo libero bianco si trova a competere con lo schiavo negro. Questa è una degradazione dello spirito olimpico senza pari. La prossima Olimpiade si terrà a Berlino nel 1936. Speriamo che gli uomini responsabili sappiano quale sarà il loro compito. I negri devono essere espulsi noi lo pretendiamo.   

E ancor più ciò  che in un suo libro del 1933, Die leiberserzienhung in der nazionalsozialistischen idee, aveva esplicitamente espresso Bruno Malitz, tra i massimi ideologi dello sport nazista:

Sport ed educazione fisica stanno creando valori fisici e spirituali. L’ebreo sta mettendo le mani su tutto ciò che crea valori, visto che è distruttivo. Quindi ha tentato di assumere il controllo dello sport tedesco per poterlo sminuire  L’insegnamento ebraico distrugge il vigore di un popolo […]. I capi dello sport ebrei e quelli infettati da essi, i pacifisti, i pan-europei non hanno più una collocazione nello sport tedesco. Sono peggio del colera, della tubercolosi e della sifilide […] poiché queste ultime distruggono solo certi tedeschi mentre gli ebrei distruggono la Germania stessa.   

Nondimeno le Olimpiadi del ’36 persuasero il Fuhrer della mancanza di fermezza da parte di   Stati Uniti, Francia e Inghilterra che, colpevolmente, lo lasciarono fare. Superato quel difficile esame politico prima che sportivo, il nazismo da lì in avanti alzò sempre più l’”asticella” delle sue provocazioni. Si prese gioco dell’Europa e liberò, selvaggiamente, i propri freni inibitori. L’ossessione del giudaismo interno ed estero, divenne parossistica, colpendo trasversalmente in alto e in basso, ovunque le armate del III Reich avanzassero all’apparenza invincibili. Lo sport ebraico, i suoi campioni, non godettero di alcun tipo di “extraterritorialità”. Il divismo sportivo che già allora esisteva, e oggi tende a fare dei suoi protagonisti delle figure privilegiate e quasi “intoccabili”, non assicurò alcun salvacondotto.Il fatto che molti fra loro avessero qualche anno prima vinto Olimpiadi, campionati del mondo o europei, stabilito fantastici record, non servì a nulla.  Tutt’altro.  <<In passato ero stato un calciatore della nazionale? Ero un allenatore di successo? Ero un uomo? Non importava più a nessuno. Finito nel dimenticatoio!>>  ebbe a testimoniare amaramente Béla Guttmann. Un sopravvissuto alla Shoah, che non riusciva a dare un senso alla sua improvvisa e incomprensibile condizione di reietto. Un’intera generazione di “eroi” dello sport ebraico di Germania, Austria, Ungheria, Polonia, Olanda  venne falciata senza pietà. Soprattutto la grande scuola schermistica ungherese fu pressoché  cancellata. Calciatori, ginnasti, pugili, atleti, nuotatori, pesisti lottatori di valore internazionale, se ebrei finirono deportati e uccisi negli “inferni” concentrazionari (Konzentrationslager, Kl). Campi programmati per la morte in cui, paradossalmente, si faceva anche sport.  La struttura concentrazionaria mirava anzitutto all’annullamento del corpo e dello spirito, all’inabissare verso il fondo annullando la personalità. Obiettivi perseguiti indebolendo all’estremo le forze fisiche per depotenziare le morali. In quest’ottica lo sport, seppur sia difficile crederlo, nei Kl interessò sia le vittime che i carnefici, i quali desideravano preservare la propria forma fisica quale garanzia della loro superiorità. Uno sport per lo più sadico, ma nello stesso tempo perfettamente lucido e funzionale ai meccanismi perversi che regolavano le logiche concentrazionarie. Talvolta punitivo, come quando si costringevano i deportati a inutili esercitazioni ginniche, spesso nudi, senza altro scopo se non l’umiliazione e la tortura di chi vi era costretto. In questo senso l“Arbeiter-Illustrierte-Zeitung”, la rivista degli esiliati politici tedeschi a Praga, il 27 luglio 1936 proponeva un provocatorio itinerario turistico agli stranieri giunti a Berlino per le Olimpiadi segnalandogli come a Sachsenhausen avrebbero potuto visitare <<un campo di lavoro modello, in cui prigionieri cinquanta-sessantenni sono obbligati a svolgere quattro ore di esercizi fisici quotidiani, come scalare muri alti quattro metri, saltare fossati colmi d’acqua ecc. Un modello di internamento per una nuova era, a detta di Himmler>>.  In seno al terrore dei KL lo sport rappresentò perciò essenzialmente uno strumento di dominio, ricreazione e piacere per i persecutori, che scommettevano su tutto: massimamente sui bestiali incontri di pugilato tra prigionieri assai frequenti a Auschwitz, Dachau, Buchenwald, Neuengamme ecc. Match, filtrati anche nel cinema e nelle pagine della narrativa,  con in gioco la vita e la sopravvivenza. Al riguardo, riferendosi ad Auschwitz, ha documentato Hermann Langbein:

Le SS sostenevano in particolar modo lo sport della boxe. Teddy Pietrzykovski, un dilettante polacco, divenne il boxeur più conosciuto nel Lager principale. Nella primavera del 1941, in una domenica in cui non si lavorava, i Kapos tedeschi organizzarono incontri di boxe fra di loro e le SS fecero da spettatori. Il Kapo Walter, che era un boxeur professionista, sconfisse il suo avversario e a questo punto se ne cercò un altro. “Chi tira di boxe con Walter riceverà del pane” fu l’allettante invito. Teddy accettò la sfida e mandò Walter k.o. Walter diede a Teddy non solo pane, ma anche margarina e salsiccia e fece in modo che Teddy venisse assegnato a un Kommando“ben nutrito”, cioè nella stalla delle vacche. Le SS si erano entusiasmate, avevano “organizzato” guantoni da boxe adeguati, il comandante del Kommando addetto alla cucina, spettatore entusiasta, dopo ogni match ricompensava Teddy con una ciotola di zuppa […]. Gli uomini delle SS facevano regolarmente da spettatori e decretavano la fine degli incontri. Quando Teddy, nella primavera del 1943, fu trasferito a Neuengamme, il comandante del Kommando addetto alla cucina gli diede da portare con sé i guantoni da boxe. Effettivamente Teddy partecipò a diversi incontri anche a Neuengamme […]. Il Rapportfuhrer Wilhelm Classen che era responsabile delle attività sportive per le truppe, durante la prigionia sotto gli americani si vantò di aver incentivato, nel 1944, l’attività boxistica degli internati. Cercò anche di farsi bello dicendo: “Io presenziavo a quasi tutti gli incontri stando accanto a loro. Non era forse un sollievo, come se io stesso fossi salito sul ring?”.     

A confermare quanto riportato da Langbein fu lo stesso Primo Levi in un passo di Se questo è un uomo: <<Dice - riferendosi a un internato con cui era entrato in contatto - che tutte le domeniche ci sono concerti e partite di calcio. Dice che chi tira bene di boxe può diventare cuoco>>.   E sul calcio, un calcio totalmente disumanizzato, infernale, Levi rirornerà pure ne I sommersi e i salvati:

Nyszli racconta dunque di aver assistito, durante una pausa dal “lavoro”, ad un incontro tra SS e SK (Sonderkommando), vale a dire fra una rappresentanza delle SS di guardia al crematorio e una rappresentanza delle “Squadre Speciali”; all’incontro assistono altri militi delle SS e il resto della “Squadra”, partecipano, scommettono, incoraggiano i giocatori, come se, invece che davanti alle porte dell’inferno, la partita si svolgesse sul campo di un villaggio. Niente di simile è mai avvenuto, né sarebbe stato concepibile, con altre categorie di prigionieri, ma con loro, con i “corvi” del crematorio, le SS potevano scendere in campo, alla pari o quasi. Dietro questo armistizio si legge un riso satanico: è consumato, ci siamo riusciti, non siete più l’altra razza, l’anti-razza, il nemico primo del Reich millenario: non siete più il popolo che rifiuta gli idoli. Vi abbiamo abbracciati, corrotti, trascinati sul fondo con noi. Siete come noi, voi orgogliosi: sporchi del vostro sangue come noi. Anche voi, come noi e come Caino, avete ucciso il fratello. Venite, possiamo giocare insieme.  

Rispetto al calcio ad Auschwitz, sempre Langbein ha reso questi ulteriori particolari:

Già nella primavera del 1941 furono disputate partite di calcio nel Lager principale. Tadeusz Borowski descrive un campo di calcio in una sezione di Birkenau che era immediatamente confinante con i crematori. Anche Jehuda Bacon, che era allora poco più di un bambino, vi giocò e una volta persino con il temuto comandante di blocco Baretzki. Siegfried Halbreich racconta di alcune partite di calcio giocate nel Lager di rieducazione di Monowitz. Naturalmente solo gli internati meglio nutriti potevano fare sport. Marc Klein ricorda tornei di calcio per pezzi grossi che godevano di una buona alimentazione. Spesso le SS assistevano a queste partite. Si giocava perfino nel cortile del crematorio […]. Gli spettatori si eccitavano, ridevano e gridavano come in qualsiasi stadio del mondo.  

Tra i giocatori ebrei di Auschwitz, nel ruolo di portiere, vi fu anche l’ungherese Dezso Steinberg. Una figura per certi versi ambigua, che s’incaricava di reclutare calciatori tra i prigionieri, i quali, prima di essere accettati e poter partecipare ai tornei tenuti nel Kl, dovevano sottostare a un “provino” innanzi alle SS.   Così Steinberg ebbe salva la vita divenendo anche una specie di tuttofare di Joseph Mengele. Questa posizione gli permise di evitare la camera a gas a un certo numero di deportati, tra cui una sua nipote, e.dopo la liberazione del campo venne prosciolto dagli americani dall’accusa di collaborazionismo. La sua fama di personaggio opaco proseguì tuttavia anche nel dopoguerra, e, nel 1949, in Italia organizzò una rete di prostituzione. Infine riprese a gravitare attorno al calcio, collaborando con Inter e Juventus e occupandosi dei delicati rapporti con gli arbitri.  Nel Kl di Dachau, nel 1943, vennero persino organizzate delle competizioni che raggruppavano squadre “nazionali”. Erano disputate da “politici” mentre gli ebrei ne erano esclusi fin dall’inizio. A Terezin - funzionante dal 24 novembre 1941 al 9 maggio 1945 - lo sport servì a coprire gli orrori e a fornire una visione edulcorata della vita nei campi. Vi si disputarono dei campionati stagionali di calcio, sette contro sette sulla durata dei 30-35’ per tempo, vinti nel 1942 dalla Jugendfursorge, la squadra dei giovani deportati, e nel 1943 da quella dei Kleiderkammer, gli addetti alla vestizione. Il 23 giugno 1944, su insistenza del governo della Danimarca, che voleva conoscere le condizioni dei suoi connazionali ebrei, tre membri della Croce rossa internazionale (Cri) poterono visitarlo venendo intrattenuti proprio con una una gara di football. E il football compare pure nel filmato propagandistico “Theresienstadt. Ein dockumentarfilm aus judischen siedlungsebiet” girato nel settembre 1944 dall’ebreo berlinese Kurt Gerson. Regista, che finì i suoi giorni ad Auschwitz il 15 novembre 1944, il quale nella parte del “mago Kiepert”aveva recitato al fianco di Marlene Dietrich ne “L’angelo azzurro” (1930). Questo “sport concentrazionario”, di cui s’inizia ad avere un quadro sempre più ampio e dettagliato, aiuta a chiarire ulteriormente il rapporto padrone-schiavo, vittima-carnefice che regnava nei KL. Arricchisce di altri elementi bestiali l’essenza della Shoah dello Sport. Delle sue caratteristiche e del suo bilancio drammatico in questo volume cercheremo di salvaguardare la memoria ripercorrendo, come in un agile Dizionario biografico, le vicende di quanti - utilizzando le categorie di Levi - per la sola colpa d’essere ebrei finirono nella lista dei “sommersi” o dei “salvati”. Brevi schede, come un punto di partenza che possa stimolare nei lettori la voglia di saperne di più. Allo sport ebraico, vittima della “tempesta devastante” del nazismo, dedicheremo inoltre degli altri specifici approfondimenti soffermandoci sulla gloriosa stagione di successi dell’Hakoah viennese, sulle 14 medaglie ebraiche (schiaffi, e che schiaffi per il razzismo antisemita hitleriano!) delle Olimpiadi di Berlino, e sulle Maccabiadi tenute in Europa e in Palestina tra le due guerre. Le Olimpiadi dell’orgogliosa identità sionista. Tutti esempi dell’eccellenza di questo sport che, vale ribadirlo, nel calcio, nel pugilato, nella scherma, nel tennis tavolo  (dal 1930 al 1939 sette campionati del mondo di singolo furono vinti da pongisti ebrei)  e in numerosi altre discipline rivestiva allora dei ruoli di vera e propria preminenza mondiale.  Nella scherma la scuola ebraico-ungherese riportò nei Giochi olimpici svolti dal 1908 al 1936 ben 18 medaglie. E altre, in questa disciplina, vennero dagli ebrei di Austria e Germania. Un predominio le cui origini affondavano nella tradizione europea del duello. Per Mosse <<il duello rafforzava il senso dell’autonomia, della personalità, ma anche quello di appartenenza a una classe, a una casta, e dunque nell’Ottocento divenne parte integrante della vita degli ufficiali e degli studenti, degli uomini politici e d’affari, ma anche degli ebrei, che vi facevano spesso ricorso per confutare lo stereotipo che li voleva vili e poco virili. Theodor Herzl, a Vienna, per esempio, sognava di sbaragliare in duello gli antisemiti austriaci>>.  Una teoria condivisa da Large, per il quale  <<Tra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo gli ebrei austroungarici si erano dati con zelo alla scherma per difendersi nelle sfide al loro “onore” lanciate dagli antisemiti. Ma non appena iniziarono a dimostrare un’eccezionale abilità nella disciplina i loro antagonisti presero a sostenere che non avevano alcun “onore” da difendere, risparmiandosi così l’umiliazione di venire affettati per bene da un ebreo>>.  In Italia il massimo esponente ebraico in materia di duello fu il barone Giorgio Enrico Levi. Nato ad Alessandria d’Egitto il 10 luglio 1849 dal banchiere Angelo Levi e da Anna Vivante, una volta che la famiglia nel 1860 si trasferì a Firenze egli assurse con Jacopo Gelli un’autorità indiscussa nell’ambito delle vertenze cavalleresche.  Nel 1888 fondò nella città toscana la rivista “Cappa e Spada” e raccolse una vastissima biblioteca sulla duellistica comprendente 1104 opuscoli e 1004 volumi di autori italiani e stranieri. Parimenti, anche per il pugilato si può pensare che la peculiare predisposizione mostrata in questo sport dagli ebrei (da 1901 al 1939 ben 28 di loro divennero campioni del mondo tra i professionisti)  sia derivata dalla necessità di difendersi nella vita civile dagli atteggiamenti e dalle violenze antisemite.  Boxe ebraica che annoverò il suo primo campione in Daniel Mendoza (Londra 5 luglio 1764 - 3 settembre 1836): l’inventore del “pugilato scientifico” a cui, nel 1896, Arthur Conan Doyle dedicherà alcuni brani del suo romanzo Il fantasma del castello. Detto l’”ebreo”, Mendoza - ha rilevato Kasia Boddy - nel 1788 <<intraprese una serie di sfide di grande risonanza contro Richard Humphries. Il “pugile gentiluomo”. Complici le ansie dell’Inghilterra del tardo XVII secolo per l’espansione della comunità ebraica, questi incontri attrassero un gran numero di spettatori. Mendoza e Humphries furono i primi pugili a costruire le loro carriere con successo sfruttando l’odio razziale>>.  Ritenere che dalle tante - spesso struggenti - storie proposte nelle prossime pagine si potranno trarre moniti per il futuro appare forse troppo ottimistico. L’immutabilità della natura umana e la sua coazione a ripetere inducono a una certa cautela. La memoria, tuttavia, non si può rimuovere, e lo sport, il cui fascino si sedimenta proprio sul filo della stessa, ha il dovere di ricordare anche queste tragedie. L’ennesimo lato oscuro della Shoah, che sarebbe colpevole dimenticare in nome della vulgata con cui si continua a rappresentare lo sport come un’ improbabile, incontaminata oasi di fratellanza e pace. 


LE STORIE

 I “SOMMERSI”                                                                                       

Se il nazismo portò alle estreme conseguenze l’antisemitismo anche nello sport,  è pur vero che una tale tendenza gli preesisteva ed era diffusa in tutta Europa. A proposito di Harold Abrahams, il vincitore inglese dei 100 metri nelle Olimpiadi di Parigi (1924) celebrato da Hugh Hudson nella pellicola premio-Oscar “Momenti di Gloria” (1981), ha scritto Duncan Hamilton:

Da ebreo, l’antisemitismo che aveva incontrato ripetutamente, sia nella scuola privata di Repton sia all’università di Cambridge, era scioccante. Abrahams si ostinava a raccontare che a Repton una pensione non lo aveva accettato proprio per via della sua religione […]. Anche se era un prefetto di Repton, non gli era permesso di leggere la lezione durante le assemblee, perché siccome la sua fede non riconosceva Gesù come figlio di Dio, non era considerato idoneo a leggere la frase “Per Gesù Cristo nostro Signore, amen”. Abrahams offrì un compromesso al preside: avrebbe detto “Per Gesù Cristo vostro Signore, amen”, ma il preside non accettò. Questi furono colpi duri, che lasciarono segni indelebili, e Abrahams ammise che furono alla base del suo “atteggiamento negativo”. Le mancanze di rispetto che aveva sofferto lo spinsero verso “qualcosa in cui potevo battere gli altri” e “rendere giustizia a me stesso” disse. Quel “qualcosa” era l’atletica. 

Questo antisemitismo, specie in Austria e Germania, in campo alpinistico era già emerso in tutta la sua virulenza nell’immediato primo dopoguerra.  Già nel 1920 diverse sezioni del del Club alpino (Deutscher alpenverein, Dav) e della federazione sciistica presero a collaborare con esponenti del nascente nazismo quali Anton Baum e Walter Riehl. Nel medesimo anno l’Osterreichischer turiste club (Otk) annunciò che non avrebbe più accettato soci ebrei, seguita nell’agosto 1920 dall’Osterreichischer gebirgs verein (Ogv) e nel gennaio 1921 dall’Akademische sektion Wein dell’Orresterichischer alpen klub (Oak). Fritz Rigele, nell’ottobre 1921, riuscì a costituire in seno all’Orresteichischer ski verband (Osv) un dipartimento interamente tedesco (Deutsch-volkisch) e, con il 98% dei voti, fece adottare dalla sezione di Vienna un paragrafo ariano che determino l’esclusione di 150 associati ebrei. Nel 1922 45 club del Deutscher und osterreichischer alpenverein (Doav), per la maggioranza austriaci, fondarono il Deutsch volkischer bund (Dvb) che, tra le sue prime azioni, cominciò ad applicare nei propri rifugi i famigerati “Judenplatke”,  sottoponendo gli alpinisti ebrei a delle intollerabili umiliazioni. Per reagire a questi soprusi nel 1921 la componente ebraica del Doav creò una sua sezione con il nome di Donalaund. Vi aderirono subito 2000 membri, aumentati sino a 3400 nel 1923, ma il 14 dicembre 1924, nel Congresso generale straordinario del Doav tenuto a Monaco di Baviera, ne venne decretata l’espulsione con 1663 voti a favore contro 190. Le politiche sportive antisemite diffuse in numerosi stati europei  - l’alpinismo ne rappresenta solo un esempio fra i tanti possibili - costituiscono dunque un fenomeno di lunga durata, che potremmo dire giunse alla sua “soluzione finale” con la salita al potere del nazionalsocialismo in Germania. Covando da decenni, ciò ne spiega sia l’immane portata che la brutalità. Si è trattato di numeri enormi, e in tal senso questa ricognizione necessita d’una doverosa premessa: essa è di certo largamente incompleta, ma nondimeno pensiamo risulti sufficientemente indicativa. Le ragioni per cui è arduo il compito di chi studia la Shoah dello Sport sono duplici: d’un verso, l’esilità della campionatura proposta va ricondotta alle obiettive difficoltà che presenta un simile campo di ricerca. Le fonti e i repertori attendibili sono ancora in costruzione, e quindi si è costretti a procedere piuttosto empiricamente per intuizioni e tentativi. Dall’altro, l’incompletezza denunciata è anche però, senza dubbio, la spia dell’estensione e della profondità della Shoah degli sportivi. Uno sterminio di massa talmente capillare e scientifico che si fatica a quantificare nelle sue reali proporzioni. Nonostante questi limiti, le informazioni raccolte sulle vittime, e le altre che seguono su coloro che riuscironoa scampare alla Shoah, crediamo possano essere utilizzate con efficacia a fini eminentemente didattici ed educativi. Guardando soprattutto ai giovani, così sensibili ai temi dello sport, e nel senso della filosofia dello Yad Vashem di Gerusalemme. Ovvero, rifacendosi alpensiero di Raul Hilberg,  applicando un esperimento su se stessi e mettendosi alla prova. Calandosi emotivamente nei ruoli delle vittime e dei carnefici, o in quella via di mezzo che viene definita “zona grigia”. Ogni essere umano si ritrova sempre nelle circostanze di compiere scelte radicali, assumersi gravi responsabilità, risolvere dicotomie morali: accettare l’esistente od opporvisi, combattere o arrendersi, approvare o criticare, stare a guardare o impegnarsi, “sommergere” o “salvare”. Deve, in definitiva, scegliere se stare di qui o di là, dalla parte del bene o del male, oppure rifugiarsi nell’opzione, di minor compromissione ma più ambigua, del non schierarsi. Riflettere su queste dimensioni dell’esistenza muovendo dallo sport, da ciò che fu la sua Shoah, non è detto non possa dare risultati altrettanto validi quanto quelli ottenuti da punti di partenza diversi e solo all’apparenza più alti e seri.  

Lazzaro Anticoli (1917-1944) Nato a Roma il 7 agosto 1917 da Settimio e Fortunata Efrati, sposato con Emma Di Castro, Lazzaro Anticoli - venditore ambulante -  praticò il pugilato a livello dilettantistico venendo soprannominato “Bucefalo”.  Egli fu uno dei 79 ebrei uccisi il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine, e il suo arresto, avvenuto il 23 marzo, si dovette all’ebrea romana Celeste Di Porto, detta “Stella” per la bellezza e “Pantera nera” per la crudele avidità.  L’identica sorte toccata ad Anna Frank, tradita dal notaio ebreo Arnold Van den Bergh.  Una delatrice, la Di Porto, al soldo dei nazisti oltreché amante di Vincenzo Antonelli: un membro della banda fascista di Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini. Due criminali comuni autori di torture, taglieggiamenti, furti, estorsioni. Anticoli finì nella lista degli arrestati solo all’ultimo in sostituzione di Angelo Di Porto, fratello di Celeste, e prima di morire sui muri della cella 306 di “Regina Coeli” incise la seguente scritta: <<Sono Anticoli Lazzaro, detto “Bucefalo”, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa di quella venduta de Celeste di Porto. Rivendicatemi>>. 

Nelly Bamberger (1891-1933) Nata a Francoforte sul Meno il 16 settembre 1891, a 18 anni Nelly Bamberger, tennista, vinse il suo primo importante torneo e, dal 1919, abitò a Berlino giocando per il Tennis Club Borussia. Nel 1925 si laureò ad Amburgo campionessa di Germania nel singolo, battendo in tre set la sua grande rivale Ilse Weihermann da cui era sempre stata sconfitta nelle precedenti quattro finali. L’anno seguente, destando grande scandalo, accettò l’invito di Suzanne Lenglen per partecipare al torneo di Mentone in Costa Azzurra. Per tale motivo la Federazione tennistica (Dtb) l’accusò di tradire la patria piegandosi alle lusinghe di un paese nemico e, l’11 marzo 1926, fu minacciata di radiazione dal tennis tedesco. Minacce accompagnate da un larvato antisemitismo. La Bamberger comunque non cedette a questi ricatti, prese parte ad altri incontri in Francia e si misurò con la stessa Lenglen e l’americana Helen Willis Moody. Nel 1926 disputò la sua ultima finale nei campionati di Germania, e nel 1932 figurava ancora al 9° posto del ranking nazionale. Col nazionalsocialismo al potere, già dall’aprile 1933 il Tennis Club Borussia espulse soci e giocatori ebrei dalle sue fila e, nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1933, Nelly si tolse la vita a Berlino. Il suo suicidio, cui la stampa dedicò pochissimo spazio, venne imputato a uno stato depressivo e si ipotizzò potesse essere anche dipeso dal non voler danneggiare il marito ariano Robert Neppach, famoso produttore cinematografico.  In realtà esso, in modo diretto o indiretto, è riconducibile alle brutali persecuzioni naziste di cui la popolazione ebraica fu vittima in Germania a datare da quel periodo. 

Julius Baruch (1892-1945) Nato a Gemunden il 7 settembre 1892, Julius Baruch fu vice-campione europeo di lotta greco-romana nel 1924 (categoria pesi medi) a Neuenkirchen e campione tedesco a squadre di lotta, con l’Asv 03 di Bad Kreuznach, nel 1925. Praticò la professione di tipografo a Francoforte sul Meno e poi gestì una compagnia di taxi e noleggio-auto. Grazie a una sua autovettura, nel 1933 il sindacalista comunista Hugo Salzmann riuscì a fuggire nella Saar sottraendosi ai nazisti.  Con la salita al potere di Hitler,a Julius venne impedito di allenare nel suo club di Bad Kreuznach, e nel novembre 1938 venne arrestato e condannato a 9 mesi di carcere. L’accusa era di complicità, col fratello Hermann, nella fabbricazione di mobili con doppiofondo che servivano ai cittadini ebrei per cercar di nascondere i loro averi dalle razzie naziste. Nuovamente imprigionato nel settembre 1944, a febbraio del 1945 venne deportato a Buchenwald e morì nell’aprile 1945 durante una “marcia della morte” poco prima della liberazione del campo. 

Hermann Baruch (1894-1942) Nato a Kreuznac il 3 novembre 1894 da una coppia di fruttivendoli ebrei, Hermann Baruch fu campione europeo di lotta nei pesi leggeri nel 1924 a Neuenkirchen, nonché campione nazionale di lotta a squadre con l’Asv 03 Bad Kreuznach nel 1925 e 1928. Accusato di produrre mobili con doppio fondo per salvare i beni delle famiglie ebree razziate dai nazisti, Hermann nel 1937 fuggì in Belgio. Ma nel 1940, con l’occupazione tedesca,  venne arrestato ad Anversa e internato a Gurs, nel sud della Francia. Successivamente deportato ad Aushwitz, vi morì nel 1942. Degli altri fratelli di Hermann, scampò alla Shoah solo il maggiore, Adolf, che nel 1938 riuscì a raggiungere l’Argentina, mentre le sorelle Johanna ed Emma finirono i loro giorni rispettivamente a Minsk e Auschwitz. La madre dei Baruch, Karoline, non sopravisse al campo di Terezin.

Laszlo Bloum (1878-1939) Nato a Farmos, in Ungheria, il 6 settembre 1878 da Sam Pfeffer e Rosa Fuchs, Laszlo Bloum fu un militare ed eccelso maestro di scherma che quando entrò nelle file dell’esercito assunse il cognome, col quale è più noto, di Borsodi. Egli trasmise le sue efficaci tecniche schemistiche, dette per l’appunto “sistema Borsodi”, a ben 18 campioni olimpici e mondiali, 15 europei e 103 ungheresi. Nel 1898-’99 esercitò il suo magistero all’Accademia militare di Vienna, dal 1900 al 1925 all’Accademia Ludovika e dal 1926 al ’36 presso la Magyar Kirali Toldi Miklos Honved. Richard Cohen ebbe a descriverlo così: <<Un uomo dal pugno di ferro che nascondeva parte dei lineamenti del volto dietro un paio di baffi alla prussiana. Dalla scuola emerse il Mac, probabilmente il club più forte del paese. Dal momento che tutti i suoi membri erano militari, vi regnavano l’ordine e la disciplina più rigorosi […]. Una volta l’anno faceva combattere gli aspiranti maestri fra loro nudi fino alla vita, a eccezione dei guanti e delle maschere di protezione; in questo modo, pensava, gli apprendisti potevano sperimentare le stesse sensazioni fisiche e psicologiche di un duellante>>.  Quando l’antisemitismo montò anche in Ungheria, Bloum-Borsodi si tolse la vita a Budapest, con la sua arma di servizio, il 25 gennaio 1939.

Jozsef Braun (1901-1943) Nato a Potnok il 26 febbraio 1901, Jozsef Braun fu un’ala destra del Mtk Budapest nel quale giocò dal 1916 al 1928 vincendo nove campionati consecutivi. Durante questo periodo collezionò anche 18 gare nella nazionale ungherese con 11 gol. Nel 1929 militò nell’Hakoah All Stars statunitense e nel 1929-30 chiuse la carriera con i Brooklin Wanderers. Da allenatore guidò in panchina Lucenec (1932-’33), Slovan Bratislava (1934-‘37) e MTK (1937-’39). A seguito delle leggi antiebraiche ungheresi (la prima, dell’aprile 1938, stabiliva che erano ebrei tutti coloro che professavano tale religione o erano nati da genitori ebrei dopo il 1919, anche se fossero stati battezzati, e limitava al 20% la loro presenza in svariate attività economiche; la seconda, del maggio 1939, distingueva tra quanti avevano antenati in Ungheria prima del 1869 e gli altri, vietò l’acquisizione o la riacquisizione della cittadinanza e autorizzò l’esproprio di imprese economiche con indennizzi ridotti; la terza, del 1941, si ispirava alle norme emanate dai nazisti a Norimberga nel 1935) Braun fuggi in Slovacchia, ma ciò non lo salvò. Deportato nel campo di Lorotec, in Ucraina, vi morì il 20 febbraio 1943.

Alfred Brull (1876-1944) Nato a Budapest il 10 dicembre 1876, Alfred Brull,dopo avere praticato in gioventù la lotta a un eccellente livello, divenne un mecenate e alto dirigente dello sport ungherese. Nel 1904 fu eletto vicepresidente nazionale della federazione di atletica leggera, nel 1906 presidente di quella del nuoto, nel 1908 vicepresidente della federazione ginnastica e, dal 1924 al ’28, ricoprì la presidenza della federazione mondiale della lotta. Inoltre presiedette la federazione del football, e dal 1905 fu il presidente del Magyar testgya korlokkore (Mtk) di Budapest (la cui sezione calcistica era stata fondata il 19 gennaio 1901) che durante il suo mandato conquistò 15 scudetti. A seguito della seconda legge antisemita del maggio 1939, Brull, Lajos Preiszmann ed Henrik Fodor furono costretti a lasciare la direzione del Mtk, già costretto a modificare il proprio nome in Hungaria, poiché malgrado questo escamotage il club continuava ad essere considerato “zsidocsapatat”: la squadra degli ebrei. Brull riuscì a fuggire in Svizzera, ma nel 1943 ritornò in Ungheria essendo stato mal informato sulla fine delle persecuzioni antisemite. Secondo alcuni venne ucciso a Kecskemet, ma è più probabile che si sia spento ad Auschwitz nel 1944.

Cornelius Hendrik Compter (1894-1945) Nato a L’Aja il 16 luglio 1894, di professione camionista, Cornelius Endrik Compter partecipò alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 classificandosi 20° nel sollevamento pesi con kg. 237,50 (categoria piuma). Ebreo e comunista, aderì alla Resistenza diffondendo a L’Aja l’organo clandestino “De Vonk”.  Tradito dall’infiltrato Johannes Hubertus Van Soolingen, venne arrestato il il 4 agosto 1941. Nel marzo 1942 fu trasferito a Camp Amersfoort e nello stesso mese deportato a Buchenwald. Passato anche per il KL di Natzweiller-Struthof, il 9 giugno 1944 giunse a Dachau e, il 14 settembre 1944, a Mauthausen (n. 101.217). Il 23 settembre 1945 si spense nel suo sottocampo di Gusen.  

Jacob De Pauuw (1897-1944) Nato ad Amsterdam il 1° settembre 1897 da Samuel e Keetje Soubice, Jacob De Pauuw, sposato con Daniella Meij, lavorò nel settore dei diamanti e nel 1913 fu tra i fondatori del club Eendracht Doet Winnen che, fondensi in seguito con l’Hortus, diede vita a una delle più importanti società calcistiche ebraiche di Amsterdam. Società che De Pauuw presiedette sino al 1931, e di cui venne poi nominato presidente onorario. Vale notare al riguardo che ben 63 membri ebrei (dirigenti, calciatori, allenatori, sostenitori ecc.) dell’Hortus - Eendracht Doet Winnen (Hedv) scomparvero con la Shoah. Attivo nella Resistenza, De Pauuw  s’impegnò nella diffusione della stampa clandestina e nel fornire rifugio agli ebrei e, una volta arrestato, fu detenuto per alcuni mesi nella prigione di Amstelveenseweg prima di essere trasferito a Westerbork. Morì a Midden - Eierland il 31 luglio 1944.

Juda Heijman De Vries (1900-1943) Nato ad Harlem, in Olanda, il 12 settembre 1900, Juda Heijman De Vries fu un calciatore che ricoprì a lungo e con notevole successo il ruolo di portiere dell’Harlem Football Club. Di professione sarto, durante l’occupazione si nascose in Wilsonplein, di fronte al teatro cittadino, ma venne tradito da dei delatori. Deportato a Sobibor (il Kl che il 14 ottobre 1943 vide un tentativo di fuga di massa dei prigionieri ebrei) vi morì il 12 maggio 1943. Sua moglie e suo figlio Abraham - nato nel 1938 - sopravvissero alla Shoah. 

Leone Efrati (1915-1945) Nato a Roma il 23 aprile 1915, figlio di Aronne e Allegra De Segni, andato in sposo a Ester Zarfati da cui ebbe Romolo, Letizia ed Elio, Leone Efrati - detto “Lelletto” - fu un boxeur di livello internazionale che nel corso della sua carriera professionistica sostenne 49 incontri: 28 vinti, 10 persi, 11 pareggiati.   Si avvicinò alla boxe attorno ai quattordici anni, iniziando a frequentare la palestra romana dell’”Audace” allenato dal maestro Cesare De Sanctis. Un connubio scioltosi col trasferimento di De Sanctis a Parigi ,cosicchè Efrati transitò alla sezione boxe dell’Associazione sportiva “Monti”. Sodalizio col quale, superando il perugino Giuseppe Farfanelli (poi qualificatosi per le Olimpiadi di Berlino), nel 1935 vinse il titolo italiano dilettanti fra i pesi piuma. Da professionista esordì il 14 settembre 1935, a Roma, con una vittoria su Amleto Alberio, e a questa affermazione seguirono quelle su Leone Blasi (Roma, 26 marzo 1936), Sem Malvich (Roma, 19 settembre 1936), Alfredo Magnolfi (Roma, 3 settembre 1937; 2 volte campione nazionale dei gallo), Giulio Macciocchu (Roma, 5 marzo 1937 e un pari a Sassari, il 2 gennaio 1937). Per tre volte incrociò i guantoni, a Roma, con Oberdan “Kid” Romeo (prossimo campione italiano dei leggeri: una vittoria il 27 gennaio 1935, un pari il 19 febbraio 1936, una sconfitta il 1° febbraio 1937), viceversa con Mario Gualandri riportò tre successi (Roma, 13 febbraio 1936; Roma, 7 agosto 1937; Roma, 11 ottobre 1937) e un pareggio (Roma, 11 luglio 1937), e solo col fortissimo Gino Bondavalli (campione d’Europa di piuma e gallo) dovette arrendersi in due occasioni (Milano, 21 luglio 1937; Roma, 11 novembre 1937). Nel 1937 e ‘38 Efrati combatté in Francia sconfiggendo Alf Piette (Parigi, 4 dicembre 1937), Auguste Carrio (Parigi, 11 gennaio 1938), Henri Barras (Parigi, 19 gennaio 1938), Gaston Maton (Parigi, 30 gennaio 1938), e a questa trasferta fece seguire una ben più impegnativa tournée americana. Negli Stati Uniti regolò Sonny Batson (Chicago, 7 ottobre 1938), Joe Law (Peoria, 17 ottobre 1938), Johnny Balmer (Chicago, 26 ottobre 1938), Eddy Dempsey (Chicago, 29 novembre 1938); con Frankie “Kid” Covelli vinse (Chicago, 2 novembre 1939), perse (Chicago, 7 dicembre 1938) e pareggiò (Chicago, 23 novembre 1938), e poi si giocò una grande chance a Chicago, il 29 dicembre 1938, uscendone battutto, con Leo Radek. Il detentore della cintura mondiale Nba. Nell’estate 1939 Abel Lotti - un italo-americano originario di Civitavecchia, in ottimi rapporti col manager Bobby Gleason - gli propose una fitta serie d’incontri, tuttavia Efrati, dopo aver incontrato e superato a Milwaukee, il 16 novembre 1939, Jackie Callura nel suo ultimo match negli Stati Uniti, preferì far rientro a Roma per riunirsi alla famiglia. Tornato in Italia e nonostante l’introduzione delle leggi razziali fasciste, secondo Marco Impiglia Efrati continuò saltuariamente a battersi sul ring.  In tal senso, ancora nella primavera del 1942, allo “Jovinelli” romano avrebbe preso parte (con Perticaroli, Tersigni, Fausto Rossi) a un Torneo nazionale riservato ai professionisti.  Durante l’occupazione nazista della capitale “Lelletto”  trovò per qualche tempo scampo in un convento e, con spavalda incoscienza, s’inventò pure venditore di souvenir ai soldati tedeschi. Ma il 7 maggio 1944 fu arrestato a Roma e tradotto a Fossoli col fratello Marco (Roma, 27 settembre 1913), che era già stato catturato il 13 aprile 1944. Da Fossoli i due Efrati partirono con il convoglio numero 13 del 26 giugno 1944, giungendo ad Auschwitz il 30 giugno 1944. Nel Kl polacco “Lelletto”, per sopravvivere e svagare i suoi aguzzini, si vide costretto a continuare a boxare e, in proposito, vale questa testimonianza di Alberto Sed: <<I tedeschi davano a chi combatteva un premio, spesso un pezzo di pane. Efrati si faceva onore, ma poi un giorno finì tutto. C’era anche suo fratello al campo e lui tornando nel block seppe che era stato picchiato a sangue da alcuni kapo. Chi è stato? Chi te le ha date? Si rifece e loro dopo aver preso tutte ste’ botte avvertirono un soldato tedesco. Qualche ora dopo lo tramortirono, lo ridussero a un moribondo. Ogni sera le SS, davanti al block, ti strattonavano per vedere se stavi in piedi: chi cadeva per terra non aveva scampo e lui non riusciva neanche ad alzarsi. Fu così che “Lelletto” finì nei forni crematori>>.  La fine di Efrati, secondo la ricercatrice Laura Fontana, potrebbe essere invece avvenuta durante una delle “marce della morte” dei primi mesi del 1945, mentre Liliana Picciotto Fargion ne indica il decesso a Ebensee-Mauthausen il 17 aprile 1945. Tre dati non collimanti che attestano le difficoltà insite nello studio e nella ricostruzione di questa materia. Anche Marco, il 15 aprile 1945, fu vittima della Shoah, e a questa sorte non sfuggì neppure la sorella dei fratelli Efrati, Costanza (Roma, 12 aprile 1900), partita da Fossoli per Auschwitz il 16 maggio 1944.

Jozsef Eisenhoffer (1900-1945) Nato a Budapest l’8 novembre 1900, Jozsef Heisenhoffer (anche noto quale Jozsef Aczel) fu un calciatore (attaccante) del Kispest (1917-‘22), del Maccabi Brno (1922-‘23), del Ferenvaros (1923-‘24, 19 presenze e 8 gol) e dell’Hahoak Vienna (1924-‘26 e 1931-’33, 103 presenze e 36 gol) concorrendo alla conquista del titolo nazionale austriaco nel 1925. In nazionale, dal 1920 al ’24, disputò 8 incontri realizzando 7 reti e partecipando alle Olimpiadi di Parigi (1924). Nel periodo in cui fu esperito il tentativo di dare una forte impronta ebraica al soccer  americano, si trasferì negli Stati Uniti giocando con i BrooklinWandereres (1926-’28 e 1929-‘31, 157 presenze e 53 gol), il New York Hakoah (1928-‘29) e il Brooklin Hakoah (1929). Chiuse la carriera nell’Olympique Marsiglia, di cui fu allenatore-giocatore. Sfuggito alle deportazioni, mori in un bombardamento aereo su Budapest nel 1945.

Alfred Flatow (1869-1942) Nato a Danzica il 3 ottobre 1869, Alfred Flatow iniziò a fare ginnastica all’età di 8 anni nel Danziger e una volta trasferitosi a Berlino, a partire dai 18, gareggiò per il Berliner Turnershaft, provandosi anche nell’atletica leggera e nella pesistica. Alle Olimpiadi di Atene del 1896 Alfred s’impose individualmente nelle parallele davanti allo svizzero Louis Zutter, giunse 2°, dietro l’altro tedesco Hermann Weingartner, alla sbarra, e vinse due ori di squadra nelle parallele e sempre alla sbarra. Colse la sua ultima importante affermazione al Festival ginnico di Berlino del 1898, aggiudicandosi ben 6 prove. Dopo il ritirò dallo sport  gestì un suo magazzino di rivendita di biciclette, ma con le persecuzioni razziali naziste, il 3 ottobre 1942, venne arrestato e deportato a Terezin dove si spense il 28 dicembre 1942.

Gustav Felix Flatow (1875-1945) Nato a Berent, nella Prussia orientale, il 7 gennaio 1875, Gustav FelixFlatow  (cugino di Alfred Flatow)  fu un ginnasta - ma praticò con buoni risultati anche l’atletica leggera e il ciclismo - in gara alle Olimpiadi di Atene del 1896, dove vinse due medaglie d’oro alle parallele e alla sbarra a squadre. Lasciato l’agonismo nel 1904, prese a dedicarsi alla sua impresa tessile fondata nel 1899 e seguì l’attività sportiva del figlio, pugile del Mabbabi di Berlino. Con la salita al potere del nazismo, nel 1933 riparò a Rotterdam avviando con un socio un’azienda specializzata in vestiario per l’infanzia, e nel 1936 rifiutò l’invito rivoltogli da Carl Diem a presenziare come ospite d’onore alle Olimpiadi di Berlino. Deportato a Terezin, vi morì il 29 gennaio 1945.

Aldo Finzi (1891-1944) Nato a Legnago il 20 aprile 1891, Aldo Finzi, uno dei ras col fratello Gino dello squadrismo in polesine, vantava in gioventù degli eccellenti trascorsi sportivi: 3° nel campionato italiano di motociclismo della classe oltre 500 cc. nel 1912, e 2° nella 500 nel 1913. Volontario della Grande Guerra, il 9 agosto 1918 volò su Vienna con Gabriele D’Annunzio e, iscrittosi nel 1920 ai fasci di combattimento mussoliniani, fu uno dei principali organizzatori della Marcia su Roma. Il 31 ottobre 1922 entrò nel primo governo Mussolini in qualità di sottosegretario agli Interni. Un ruolo d’importanza nevralgica (ministro agli Interni era lo stesso Mussolini), a cui, fra le altre cariche ricoperte, aggiunse pure dal 12 aprile 1923 al 18 giugno 1924 la presidenza del Coni. Non bastasse in quegli anni diede anche l’assalto alla proprietà de “La Gazzetta dello Sport” di cui detenne la presidenza dall’aprile 1923 all’ottobre 1924. La sfolgorante carriera politico-affaristica di Finzi s’interruppe bruscamente con l’uccisione di Giacomo Matteotti di cui fu considerato uno degli organizzatori. Uscito politicamente di scena, Finzi vi ritornò nel 1938 riscoprendo in qualche maniera le proprie origini ebraiche, sebbene, come è stato sottolineato da Domizia Carafoli e Gustavo Bocchini Padiglione, <<su un vero e proprio riavvicinamenti di Finzi alla religione ebraica>> non vi siano prove.   I nonni paterni, Abramo e Rosina, educarono infatti suo padre Emanuele all’ebraismo, ma poi questi se ne allontanò e sposò la cattolica Rosina Roggia che fece battezzare i suoi due figli (Aldo il 30 giugno 1891) con tale rito. In un’esistenza tanto contraddittoria le uniche certezze sono date dal fatto che, divenuto personaggio assai scomodo, da un lato in quanto depositario dei segreti sul delitto Matteotti e dall’altro per le sue critiche all’antisemitismo, il fascismo pensò bene d’espellerlo dal partito (1941) e d’inviarlo al confino (1942-’43). Il 28 febbraio 1944 Finzi fu arrestato dai nazisti e, portando con sé molte verità nascoste, venne ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. 

Otto Fischer (1901-1941) Nato a Vienna il 1° gennaio 1901, Otto Fischer fu un calciatore, sino al 1921 dell’Hertha Berlino, e successivamente del Karlsbader (1921-’23), del First Vienna (1923-’26) e dell’Hakoah Vienna (1926-’28) con cui partecipò alla sua prima tournée americana. Collezionò pure 10 presenze con la nazionale austriaca e, da allenatore, nel 1928-‘29 fu chiamato a Napoli dal presidente ebreo della società partenopea Giorgio Ascarelli. Trasferitosi in Lettonia nel 1936, conquistò tre campionati nazionali alla guida dell’Olympia Liepaja. La citta lettone in cui venne ucciso nel massacro nazista del 1° luglio 1941.  

Stefan Fryc (1894- 1943) Nato a Nowa Wies Szlachecka il 10 agosto 1984, Stefan Fryc fu per 16 stagioni un calciatore, nel ruolo di difensore, del Klub Sportows Cracovia - col quale s’aggiudicò il titolo nazionale nel 1926 - e della nazionale polacca. Con la Polonia giocò nell’Olimpiade di Parigi del 1924, e complessivamente ne fece parte 8 volte a cominciare dal suo debutto avvenuto, il 28 maggio 1922, nella partita contro la Svezia. Catturato duarante la seconda guerra mondiale dai sovietici, che a seguito dell’accordo Ribbentrop-Molotov si erano spartiti la Polonia con la Germania, riuscì a far ritorno in patria stabilendosi nella capitale. Da combattente nella rivolta del ghetto ebraico di Varsavia venne ucciso dai nazisti il 9 settembre 1943. 

Janos Garay (1889-1945) Nato a Budapest il 23 gennaio 1889, Janos Garay fu uno schermidore ungherese campione nazionale di sciabola individuale nel 1923 ed europeo nel 1930, quando in tale competizione conquistò anche la medaglia d’oro a squadre. Alle Olimpiadi riportò, sempre a squadre, il primo posto nei Giochi olimpici di Amsterdam (1928) e il secondo in quelli di Parigi (1924). Arrestato nel 1944, finì i suoi giorni a Gusen il 5 marzo 1945. Suo figlio Janos, eccellente giocatore di pallanuoto scampato alla Shoah, sposò Valeria Gyenge campionessa olimpica sui 400 crawl a Helsinki nel 1952. 

Oskar Gerde (1883-1944) Nato a Budapest l’8 ottobre 1883, Oskar Gerde, medico di professione e tesserato per il club Mac della capitale magiara, fu campione olimpico di sciabola a squadre a Londra (con Jeno Fuchs, Lajos Werkner e Deszo Foldes) nel 1908, davanti a Italia e Boemia, e nel 1912 a Stoccolma (sempre con Fuchs, Werkner e Foldes) precedendo Austria e Olanda. Individualmente, nella sciabola si classificò 11° nei Giochi britannici e 23° negli scandinavi. Deportato a Gusen - sottocampo di Mauthausen - nel 1944, vi morì l’8 ottobre del medesimo anno. Tutti e tre i compagni di squadra di Gerde, nei vittoriosi Giochi del 1908 e del 1912, erano anch’essi ebrei. Deszo Foldes (Miskolc 30 dicembre 1880 - Cleveland 27 marzo 1950) emigrò negli Stati Uniti nel 1912. Lajos Werkner (Budapest 23 ottobre 1983 - Budapest 12 novembre 1943) si spense prima che si manifestassero gli effetti più tragici della Shoah. Jeno Fuchs (Budapest 29 ottobre 1982 - Budapest 14 marzo 1955), vincitore pure della sciabola individuale a Londra e Stoccolma, fu un collaborazionista che scontò i suoi ultimi anni di vita in un penitenziario della capitale magiara.    

Edward Hamel (1902-1943) Nato a New York il 21 ottobre 1902, Edward (Eddy) Hamel - soprannominato dai suoi tifosi “Belhamel” - in giovane età si trasferì con la famiglia in Olanda e fu un calciatore, prima dell’Amsterdam Football Club e poi dell’Ajax giocando in quest’ultimo club, nel ruolo di ala destra, 125 incontri (con 8 gol) dal 1922 al 1930. Nel 1928 si sposò con Johanna Wijnberg (Amsterdam, 25 novembre 1905), che il 19 aprile 1932 gli diede due gemelli: Paul e Robert. Nell’ottobre 1942 la famiglia Hamel fu tradotta a Westerbork e nel gennaio 1943 trasferita nel Kl di Birkenau dove Johanna, Paul e Robert vennero uccisi il 1° febbraio 1943. Eddie sopravvisse più a lungo al fianco di Leon Greenman, che ebbe a ricordare così la loro deportazione: <<E’ strano come siano andate le cose. Avrebbe potuto essere chiunque, ma eravamo Eddy e io. Condividevamo la branda superiore. In alto l’aria era più fresca, e se i kapo passava eri fuori dal suo campo visivo. All’inizio eravamo in otto, sulle assi della branda superiore. Ma sempre più persone venivano selezionate, e rimanemmo solo in tre. Due dovevano stare distesi con una gamba oltre il bordo. Era difficile dormire. Io e Eddy spesso stavamo schiena contro schiena […], il suo corpo era molto caldo. E noi avevamo molto freddo>>.  Ufficialmente l’ebre Edward Hamel venne dichiarato morto ad Auschwitz-Birkenau il 30 aprile 1943, ma secondo Greenman potrebbe essere stato soppresso un poco prima. 

Oscar Heks (1908-1944) Nato a Rozdalovice il 10 aprile 1908, Oscar Heks fu un fondista cecoslovacco classificatosi 8°, in 2h.41”35”, nella maratona delle Olimpiadi di Los Angeles (1932). Nel 1936 boicottò i Giochi olimpici di Berlino per partecipare all’Olympiada Popular di Barcellona che non si potette tenere per il colpo di stato franchista.  Con il trasporto numero 54 del 24 novembre 1941 venne deportato da Praga a Terezin (su 377 ebrei vittime di quel trasferimento ne morirono 287), e il 6 settembre 1943, col trasporto 2932 (su 2451 ne sopravvissero 11) da Terezin ad Auschwitz. KL nel quale morì l’8 marzo 1944.  

Lilli Margarethe Rachel Henoch (1899-1942) Nata a Konigsberg il 26 ottobre 1899, Lilli Henoch, alla morte del padre (un uomo d’affari ebreo) nel 1912 si trasferì con la madre a Berlino.  Giocatrice di hockey prato (vincitrice del campionato berlinese nel 1925) e pallamano, le sue qualità sportive spiccarono però soprattutto nell’atletica leggera, divenendone una stella di livello internazionale. Tra il 1922 e il 1926 vinse 10 titoli nazionali tedeschi: 4 nel lancio del peso (1922, ’23, ’24, ’25), 2 nel disco (1923, ’24), 1 nel salto in lungo (1924) e 3 nella steffetta 4x100 (1924, ’25, ’26). In queste specialità stabilì anche 4 record mondiali: 2 nel disco con m. 24,90 (1° ottobre 1922) e m. 26,22 (8 luglio 1923); 1 nel peso con m. 11,57 (16 agosto 1925); 1 nella 4x100 col tempo di 50”4 (1926). Dopo la Grande Guerra Lilli gareggiò per lo Sport Club Berlino, un sodalizio che al suo interno contava una forte presenza di atleti ebrei, e nel 1924 creò la sezione femminile del berlinese Bar Kockba. Laureatasi in educazione fisica nel 1926, con la salita al potere di Adolf Hitler dal 1933 al 1938 insegnò presso la scuola ebraica di Berlino di Rykestrasse nel distretto di Prenzaluere, e dal 10 novembre 1938 al 1942 in quella Lohrinerstrasse. Il 5 settembre 1942 fu deportata con la madre Rose Mendelsohne e il fratello nel ghetto di Riga, dove le due donne vennero quasi subito uccise da parte di un Einsatzgruppen. La stessa sorte occorsa, in un'altra circostanza, al fratello Max.

Otto Herschmann (1887-1942) Nato a Vienna il 4 gennaio 1877, Otto Herschmann fu un avvocato di fama che, l’11 aprile 1896, in 1’23”0 vinse la medaglia d’argento sui 100 crawl nelle Olimpiadi di Atene. Atleta eclettico, il 15 luglio 1912, nei Giochi olimpici di Stoccolma, si piazzò invece nuovamente 2° nella sciabola a squadre dietro la nazionale ungherese. Impegnato anche ad alti livelli dirigenziali, Herschmann ricoprì la presidenza del Comitato olimpico austriaco dal 1912 al ’14 e della Federazione austriaca di nuoto dal 1914 al ’32. Durante le persecuzioni antisemite, il 14 gennaio 1942 da Vienna venne deportato verso il Kl di Sobibor. Si spense nel campo polacco di transito di Ibzica il 14 giugno 1942. 

Kurt Hilkovec (1910-1941) Nato a Brema nel 1910, Kurt Hilkovec fu uno delle diverse migliaia di ebrei che, tra il 1938 e il 1939, cercarono di risalire dall’Europa centrale il Danubio per raggiungere la Romania e, da lì, imbarcarsi verso la Palestina. A fine dicembre del ‘39 il Danubio ghiacciò e il tentativo si esaurì a Kladovo, non lontano dal confine rumeno.  Qui gli ebrei attesero 9 mesi il permesso di transito ma, il 19 settembre 1940, il ministero degli Interni jugoslavo decise di trasferirne 1370 a 330 km. di distanza, nella città serba di Sabac. Tra questi Hilkovec, che riprese a praticare il calcio (da ala) nel locale F.K. Mavac di cui divenne uno dei giocatori più apprezzati. Con l’invasione nazi-fascista della Jugoslavia, Kurt e il fratello vennero uccisi nei primi mesi del 1941 nel villaggio di Zasavica. Sua moglie Irma fu internata nel campo di Sajmiste e poi soppressa a Belgrado in un Gaswagen. I due figli di Hilkovec morirono invece di stenti nel gennaio 1942 nel corso di una marcia di spostamento da Ruma a Zemun.     

Alfred Hirsch (1916-1944) Nato ad Acquisgrana l’11 febbraio 1916, Alfred (“Fredy”) Hirsch nel 1932 divenne una guida del movimento scoutistico ebraico (“Judischer Pfadfinderbund”). Un’organizzazione che collaborava strettamente con il Maccabi nazionale di cui entrò a fare parte. Nel 1934 Fredy si trasferì a Dresda per lavorarvi come istruttore sportivo del Maccabi e, con l’approvazione delle leggi di Norimberga (1935), emigrò a Praga. Anche in Cecoslovacchia s’impegnò nelle file del Maccabi, organizzando nel 1937, a Zilina, le Maccabiadi del paese con 1600 partecipanti. Sempre a Praga fu un formatore del cosiddetto piano “Hakhshara”, rivolto a quanti intendevano raggiungere la Palestina, dando loro una preparazione in agricoltura e un addestramento militare di base. Il 4 dicembre 1941 Hirsch venne deportato a Terezin, dove divenne il sostituto di Egon Redlich: il responsabile ebreo dei servizi per i giovani del campo. In questa veste promosse anche delle attività sportive, in particolare calcistiche, che vi si tennero con la finalità di trasmettere all’esterno un’immagine di apparente serenità. L’8 settembre 1943 fu trasferito ad Auschwitz, e qui si occupò del blocco 31 nel quale erano stati installati i bambini d’età inferiore ai 14 anni provenienti da Terezin. Alfred Hirsch morì ad Auschwitz l’’8 marzo 1944.

Julius Hirsch (1892-1945) Nato ad Achern il 7 aprile 1892, Julius Hirsch detto “Juller”- settimo figlio d’un commerciante - fu un calciatore dal 1902 al ‘13 e dal 1919 al ’25 del Karlsruhe, con cui vinse lo scudetto del 1910, e del Greuther Furth (la squadra in cui a livello giovanile, prima di fuggire con la famiglia dalla Germania nel 1938, giocò anche Heinz - Henry - Kissinger)  dal 1913 al ’19, aggiudicandosi il titolo tedesco del 1914. Attaccante, dal 1911 al ‘13 in 7 occasioni - primo ebreo nella sua storia - vestì anche la casacca della nazionale germanica segnandovi 4 gol. Nel 1920 si sposò con Ella Caroline Huser, che gli diede Heinold Leopold e Carmen Ester, da cui divorziò nel 1939 sperando così di salvarle la vita e quella dei due figli. I quali, invece, furono comunque deportati a Terezin il 14 febbraio 1945. Julius fu catturato nel febbraio 1943 e tradotto, il 2 marzo dello stesso anno, ad Auschwitz. Il suo decesso, non accertato con sicurezza, è stato fatto risalire all’8 maggio 1945.

Hartog Hollander (1886-1943) Nato a Deventer il 5 ottobre 1886 da Simon e Frouwkee Hoogstall, Hertog - detto Han – Hollander in gioventù gioco a football con il Go Aheah per poi diventare un famoso giornalista sportivo. Scrisse in particolare per l’”Het Sportblad” e successivamente assunse la carica di vice-direttore della redazione sportiva del “De Teelegraf”. Nel 1928 accettò le offerte dell’emittente “Avro”, esordendo con la trasmissione dell’incontro calcistico Olanda-Belgio dell’11 marzo, e diventando il più noto radiocronista calcistico olandese. Fu, tra l’altro, elogiato da Hitler per l’obiettività mostrata nelle sue radiocronache delle Olimpiadi di Berlino (1936). Un presunto “salvacondotto” che non gli valse a nulla. Con l’invasione nazista l’”Avro” gli rescisse il contratto, e Han, con la moglie Leentje Smeer, sposata il 24 luglio 1912, e la figlia diciottenne Frouwkee Esther venne deportato a Sobibor. Kl dove, con i suoi familiari, morì il 9 luglio 1943. La deportazione colpì un altro cronista sportivo ebreo: Herman Levy. Questi lavorò per il “De Teelegraf”, l’”Het Vaderland”, il “Die Neuecourant”, il “De Auto” e fu tra i fondatori dell’associazione olandese dei giornalisti sportivi, che presiedette fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Residente a Wassenaar, con la moglie Anna Mullem lo arrestarono il 29 dicembre 1942 a L’Aja. Imprigionati a Scheveningen e quindi trasferiti nel campo di transito di Westerbork, vi rimasero sino al 9 aprile 1944. In seguito la coppia venne costretta nel KL di Terezin. Levy sopravvisse alla Shoah, morendo il 12 agosto 1958.            

Roman Kantor (1902-1943) Nato a Lodz il 15 marzo 1902 da Elchanan e Barbara Bekier, Roman Kantor fu uno schermidore ebreo-polacco che perfezionò la sua tecnica schermistica in Inghilterra alla scuola del maestro Lefevre e in Germania a quella di Fritz Gallera. Tornato in Polonia nel 1934, gareggiò con la sua nazionale nelle Olimpiadi di Berlino del 1936. A squadre, nella spada vi si classificò 8°, e individualmente, pur non raggiungendo la poule finale, batté nei quarti Saverio Ragno (poi medaglia d’argento) e in semifinale Franco Riccardi, che si sarebbe aggiudicato l’oro. Giunto 2° nei campionati polacchi del 1939 e atleta preolimpico per i Giochi del 1940, quando i nazisti occuparono la Polonia fuggì a Lvov. Qui riuscì a ottenere il passaporto per raggiungere il Sudamerica, ma bloccato dai tedeschi fu arrestato e deportato nel Kl di Majdanek, nei pressi di Lublino, dove morì nel 1943.

Ferenc Keméni (1860-1944) Nato a Nagy Becserek - oggi nella Voivodina serba - il 17 luglio 1860, il vero cognome ebreo di Ferenc Keméni era Kohk. Laureato in matematica e fisica all’Università “Lorand Eotvos” di Budapest, nel 1884 si recò a Parigi per migliorare la lingua francese e frequentare delle lezioni alla Sorbona e al “College de France”. Qui conobbe Pierre De Coubertin col quale strinse una solida amicizia e ne condivise il pensiero pedagogico: ovvero la sua idea di fare dello sport lo strumento per una grande riforma educativa. Inoltre Keméni, da profondo pacifista (membro  dell’International peace bureau e segretario dell’Associazione ungherese per la pace, che organizzò il Congresso mondiale dell’Ipb a Budapest nel 1896), riteneva che lo sport potesse concorrere a rafforzare il movimento internazionale per la pace. Tornato in patria si fece conoscere per i suoi scritti sulla modernizzazione del sistema educativo ungherese, e nel 1894 fu invitato da De Coubertin al Congresso fondativo del Cio alla Sorbona. Keméni cercò d’ottenere un’investitura ufficiale da parte del governo per parteciparvi, ma la cautela che allora caratterizzava l’Austria-Ungheria in politica estera glielo negò. Ciò nonostante, De Coubertin lo considerò sempre come uno dei padri-fondatori del movimento olimpico. Tant’è il 19 dicembre 1895 Keméni concorse alla costituzione del Comitato olimpico ungherese di cui divenne il segretario. Carica da cui si dimise nel 1907, e conseguentemente dal Cio, per l’ostilità nutrita nei suoi confronti dagli ambienti aristocratici dello sport ungherese. Nel 1904, in assenza di De Coubertin, Keméni rappresentò ufficialmente il Cio - con Willibald Gebhardt - alle Olimpiadi di St. Louis, e nel 1908, 1913 e 1914 fu candidato senza successo al premio Nobel per la pace. Sempre più dedito agli studi educativi, da direttore dell’Enciclopedia pedagogica ungherese pubblicata nel 1934, col rincrudirsi delle persecuzioni antisemite il 21 novembre 1944 si suicidò con la moglie negli scantinati della sua abitazione a Budapest.  

Gerrit Kleerkoper (1887-1943) Nato ad Amsterdam il 15 febbraio 1887, di professione intagliatore di diamanti, Gerrit Kleerkoper fu l’allenatore della nazionale femminile olandese che s’impose nel concorso a squadre sull’Italia nelle Olimpiadi di Amsterdam (1928). Le cosiddette “Piccole italiane” di Pavia, mentre in realtà si trattava della rappresentativa della Ginnastica Pavese che il 17 giugno 1928, sul terreno della “Forza e Coraggio” di Milano, aveva vinto la prova di selezione olimpica. La moglie di Kleerkoper Katije Ossedrijver (Amsterdam 29 agosto 1895) e la figlia Elisabeth (Amsterdam, 14 luglio 1928) vennero uccise con lui nel Kl di Sobibor il 2 luglio 1943. Il figlio di ventuno anni, Leendert, morì di stenti ad Auschwitz il 31 luglio 1944.

Jozef Klotz (1900-1941) Nato a Cracovia il 2 gennaio 1900, Jozef Klotz, figlio di un calzolaio, fu un calciatore della squadra ebrea di Cracovia, la Jutrzenka, dal 1920 al ‘25, e poi, dal 1925 al ’27, del Maccabi Varsavia.E’ entrato di diritto nella storia del calcio polacco in quanto a Stoccolma contro la Svezia (1-2), il 28 maggio 1922, segnò il primo gol in assoluto - su calcio di rigore - di quella nazionale. Klotz, che con la Polonia aveva debuttato nell’incontro casalingo con l’Ungheria del 14 maggio 1922 (0-3), nel 1941 venne ucciso dai nazisti nel corso di un’operazione nel Ghetto di Varsavia.   

Zigmunt Krumholz (1903-1941) Nato a Czernickov il 1° marzo 1903, Zigmunt Krumholz fu un calciatore del club Jutrzenka di Cracovia (1920-’23 e 1925-‘27), di cui fino allo scioglimento da parte dei nazisti risultava il miglior marcatore di sempre. Nel 1924 giocò per il Samson Cracovia e nel 1928-’29 per un’altra squadra di matrice sionista: l’Osmonea di Lwow. Con la nazionale polacca disputò una sola gara casalinga, il 14 maggio 1922, con l’Ungheria (0-3). Vittima della Shoah, morì a Sambor nel 1941.

 Raffaele Jaffe (1877-1944) Nato ad Asti l’11 ottobre 1877 da Leone e Debora Foa, Alfredo Jaffe fu il fondatore, il 17 dicembre 1909, nell’aula 1 dell’Istituto “Leardi” di Casale Monferrato del Football Club Casale, suo presidente sino al 1912, nonchè per un certo periodo anche consigliere federale della Figc.  Casale che, nel 1914, vincerà il campionato italiano di calcio superando in finale la Lazio per 7-1 e 2-0. Laureato in scienze naturali, Raffaele si dedicò all’insegnamento presso l’Istituto tecnico “Leardi” e successivamente divenne preside del magistrale “Giovanni Lanza” di Casale Monferrato.  Ebreo, il 20 gennaio 1927 Jaffe sposò a Cuneo la cattolica Luigia Ceruti, un’insegnante di musica da cui ebbe la figlia Clotilde, e il 19 gennaio 1937 si convertì al cattolicesimo. Una conversione che non lo mise al riparo dalle prossime leggi razziali approvate dal fascismo nel 1938. Catturato il 16 febbraio 1944 nella sua abitazione casalese, fu tradotto al campo di Fossoli, in provincia di Modena, e il 30 luglio 1944 iniziò il suo viaggio diretto ad Auschwitz, laddove morì il 6 agosto 1944. Proprio quel 30 luglio, da Fossoli, scrisse questa sua ultima lettera alla moglie: <<Voglio che tu sia sempre la donna forte che ho conosciuto, che ho ammirato adorandola e che è stata per lunghi anni il faro luminoso della mia esistenza. Spera come spero io, e prega il Cielo perché un giorno si possa ancora essere riuniti nella nostra casetta, angelo mio. Tu devi essere coraggiosa, anche al di là dei limiti delle tue forze, per Tilde nostra che ha ed avrà in te l’unico appoggio, l’unico sostegno>>. 

Mozes Jacobs (1905-1943) Nato ad Amsterdam il 26 novembre 1905, insegnante di educazione fisica, Mozes Jacobs fu un ginnasta del club ebraico Bato, che operava presso le palestre di Mauritskade e di Passerstraat della sua città natale. Con l’Olanda partecipò alle Olimpiadi casalinghe del 1928 giungendovi 8° a squadre (con Elias Melkam, Pieter Jahan Van Dam, Israel Wijschenk, Willi Brordus, BernardusPouw, Klaas Boot sr., Jacobus Van Der Linden, Hugo Georg Licher). Individualmente, finì 21° nel salto del cavallo con p. 51,25. Attivo nella Resistenza, compì atti di sabotaggio e offrì rifugio ai ricercati. Il 1° aprile 1943 venne catturato a Verhouten e incarcerato ad Arneh. Deportato nel KL di Sobibor, vi trovò la morte il 9 luglio 1943.   

Heinz Levy (1904-1944) Nato ad Hannover il 29 ottobre 1904, Heinz Levy, pugile della palestra di Amsterdam intitolata a “James Corbett”,  disputò tra i pesi piuma le Olimpiadi di Parigi del 1924. Giochi nei quali perse contro l’americano Joe Salas, che poi avrebbe conquistato la finale perdendola col connazionale Jackie Fields. La sua intera famiglia fu annientata della Shoah: la moglie Henriette Gompers (1908-1943), la figlia Yolanda Natalie (1939-1943), il padre Abraham Ludwig (1871-1943), la madre Sofia Berg (1883-1943), la sorella Rena Dina (1910-1943). Heinz finì i suoi giorni ad Auschwitz il 31 marzo 1944.

Fritz Lohner (1883-1942) Nato a Ustinad Orlici il 24 giugno 1883, Fritz (“Beda”, da Bedrich) Lohner, il nome d’arte utilizzato in sostituzione di Bedrich Loewi, apparteneva a una famiglia boema ebrea trasferitasi a Vienna quando “Beda” era in tenera età. Nel 1908 si laureò in legge nella capitale austriaca e, avendo già negli anni pre-universitari scritto dei componimenti satirici sugli ebrei che cervano d’integrarsi nella società austriaca, divenne un membro del movimento sionista “Kadimat” (“Sempre avanti”). Egli fu il primo presidente, dalla fondazione nel 1909 al 1919, dell’Hakoah  viennese, nonche vice-presidente dell’Associazione degli scrittori austriaci. Affermato cabarettista e autore di testi per le operette di Franz Lehar (firmandosi “Beda Chanson”), collaborò anche con Fritz Lang. Il suo nome è legato ad alcune canzoni leggere di grande popolarità. Da “Wiewerlieder” a “Ausgereichnet Bananen”, e soprattutto all’operetta di Lehar “Land des Laechelnes” (1929). Già il 13 marzo 1938, un giorno dopo l’Anschluss, Lohner, che era stato molto critico verso il nazismo, venne arrestato e, il 1° aprile 1938, deportato a Dachau col primo trasporto dall’Austria. Da lì, il 23 settembre 1938 fu trasferito a Buchenwald dove, nel successivo mese di dicembre, il comandante del campo Arthur Rodl - nell’ottica perversa delle orchestrine e della musica promosse nei lager -  volle fosse scritto un inno del Kl. Fu così che Lohner e il compagno di sventura Leonard Leopoldi, che la musicò, realizzarono la famosa “Buchenwald lied” (“Canzone di Buchenwald”). Un inno scritto in tre giorni e destinato a sostenere la volontà di resistere: <<Quando il giorno si sveglia, prima che il sole rida,/ le colonne si spostano/ nella mattinata all’alba, per iniziare/ le fatiche della giornata/. E la foresta è nera e il cielo è rosso,/ e portiamo una crosta di pane nei nostri panieri e nei nostri cuori,/ nei nostri cuori portiamo i nostri dolori./Stai al passo, compagno, e non scoraggiarti,/ perché portiamo la volontà di vivere nel nostro sangue,/ e nei nostri cuori, nei nostri cuori, portiamo la fede./ O Buchenwald, non posso dimenticarti,/ perché tu sei il mio destino./ Solo quelli che ti hanno lasciato/ possono apprezzare quanto sia meravogliosa la libertà./ O Buchenwald, non ci lamentiamo e non piangiamo,/ e qualunque sia il nostro futuro,/ diremo ancora una volta Sì alla vita/ perché un giorno verrà il giorno che saremo liberi>>.  Da Buchenwald, Lohner, il 17 ottobre 1942, finì ad Auschwitz venendo utilizzato nella costruzione dello stabilimento della I. G.Farben a Buna.  E anche in questo campo, prima di morire il 4 dicembre 1942, compose un testo intitolato“Buna lied” che si conludeva con queste parole: <<Sopravvive solo il lavoro delle nostre mani>>. Riguardo alla morte di Lohner, Raul Hilberg ha scritto ne La distruzione degli ebrei d’Europa <<Un giorno, due detenuti di Buna, il dottor Raymond Van DenStraten e il dottor Fritz Lohner-Beda, stavano eseguendo il loro lavoro,  quando videro passare un   gruppo di responsabili della I. G. Farben in visita alla fabbrica. Uno dei direttori indicò con un gesto il dottor Lohner-Beda e disse al suo compagno SS: “Questo maiale di ebreo potrebbe lavorare un po’ più velocemente”. Un altro dei direttori sentì questo commento: “Se non sono capaci di lavorare, spediteli nella camera a gas”. L’ispezione finì, il dottor Lohner-Beda fu tolto dal gruppo di lavoro, picchiato e finito a calci, poi morente, fu abbandonato ai suoi compagni per morire alla I.G. Auschwitz>>.   Della famiglia di Fritz Lohner, il figlio Bruno, nato nel 1919 da una relazione con Anni Strassman, riuscì negli anni ’30 a emigrare negli Stati Uniti. La seconda compagna, Helene Jellinek sposata nel 1925, e le due figlie Liselotte e Evamaria furono invece deportate il 31 agosto 1942 a Minsk, dove vennero uccise dai nazisti in un Gaswagen. 

Imre Mandi (1916-1943) Nato a Dombovar il 22 novembre 1916, Imre Mandi fu per cinque volte campione ungherese dilettanti di pugilato tra i pesi welter. Alle Olimpiadi di Berlino (1936) venne eliminato nei quarti di finale dal finlandese Sten Suvio, poi medaglia d’oro, e nei campionati europei, tenuti a Milano dal 5 al 9 maggio 1937, finì secondo perdendo la finale col tedesco Herbert Nurberg. Mandi si spense in un campo di sterminio nazista nel 1943. 

Elias Melkam (1903-1942) Nato ad Amsterdam il 24 maggio 1903, Elias Melkam fu un ginnasta dell’Udi 1896 di Arnhem e del “Plato” di Amsterdam. Partecipò alle Olimpiadi di Amsterdam (1928) piazzandosi 8° a squadre con p. 1364,875. Individualmente giunse 56° con p. 199,50,39° alla sbarra (p. 49,50), 41° al corpo libero (p. 48,75) e 55° al cavallo (p. 24,25). Deportato ad Auschwitz vi morì il 3 gennaio 1942.

Lion Van Minden (1880-1944) Nato ad Amsterdam il 10 giugno 1880, Lion Van Minden, schermidore del Koninlijke Officiers Schermbond di Den Haag, partecipò ai Giochi olimpici Londra del 1908 vincendo due incontri e perdendone tre nel torneo di sciabola. Sua moglie Esther Mina Schlossberg morì il 31 maggio 1945 nel Kl di Bergen Belsen. La figlia Gertrude con la nonna paterna Branca Ziekenopasser ad Auschwitz. Lo stesso campo in cui Lion si spense il 6 settembre 1944.     

Jacob Van Moppes (1876-1943) Nato ad Amsterdam il 18 agosto 1876, Jacob Van Moppes, macellaio di professione, fu un lottatore olandese che nella greco-romana gareggiò alle Olimpiadi di Londra (1908) venendo eliminato al primo turno dall’ungherese Teger. Atleta del club di Amsterdam - il primo nato in Olanda in questa disciplina - Krachtdor Oefening (“La Forza attraverso l’Esercizio”), fondato il 1° maggio 1895 da praticanti prevalentemente ebrei, esso aveva sede nel “Café Unie” sul Rapenburg. Nel 1896 ne divenne il presidente, ricoprendo tale carica per circa cinquant’anni. Il 12 luglio 1903 figurò pure tra i fondatori della Nederlandse Kracht Sport Bond e, dal 1905, ne presiedette il distretto della capitale. Deportato, il 18 marzo 1943, a Westerbork - il campo da cui transitò anche Anna Frank - con la seconda moglie Mietjie Haringham, Van Moppes morì con lei nel Kl di Sobibor il 26 marzo 1943.

Henrik Nadler (1901-1944) Nato in Ungheria il 19 marzo 1901, Henrik Nadler fu un calciatore (centrocampista) del Mtk Budapest col quale giocò ininterrottamente dal 1919 al ’30, riportando 7 campionati ungheresi dal 1920 al ’25 e nel 1929. In 7 occasioni, dal 1924 al ’26, vestì anche la maglia della nazionale magiara. La Shoah se lo portò via il 12 maggio 1944. 

Fernando Nizza (1884-1943) Nato a Torino, da Teodoro ed Ottolina Ottolenghi, il 9 aprile 1884, Fernando Nizza è stato un calciatore della Juventus di Torino giocando nel 1905 nella sua squadra riserve. Durante il primo conflitto mondiale divenne con Gioacchino Armano e Sandro Zambelli uno dei tre membri del suo Comitato di presidenza. Ebreo, per sfuggire alle persecuzioni razziali dovette darsi alla clandestinità morendo il 17 agosto 1943. Anche il fratello Umberto Nizza (1893-1943) fu una vittima della Shoah. Nato a Torino il 20 agosto 1893, negli anni ’30 figurava tra i membri del Consiglio direttivodella Juventus  e, arrestato a Torino il 3 agosto 1943,venne trasferito a Milano. Da qui, il 6 dicembre 1943 lo deportarono ad Auschwitz, dove giunse il successivo 11 dicembre e fu ucciso. Tra gli altri dirigenti ebrei della Juventus colpiti dalle leggi del 1938 figurava Carletto Levi, compropietario col fratello Leone di una impresa di fabbricazione e rappresentanza di accessori per automobili. Levi riuscì a fuggire in tempo in Argentina, potendo contare sull’ampia rete di relazioni della Fiat in America latina.  

Simon Okker (1881-1944) Nato ad Amsterdam il  1° giugno 1881, Simon Okker fu  uno schermidore olandese che nella spada prese parte, classificandosi 5°, alle cosiddette Olimpiadi “intermedie” di Atene (1906). Manifestazione voluta per celebrare il decennale della loro reintroduzione nel 1896. Successivamente gareggiò anche in quelle ufficiali di Londra del 1908. Vittima della Shoah, Okker morì ad Auschwitz-Birkenau il 6 marzo 1944, due settimane dopo la nascita di suo nipote Tom. Il grande tennista olandese vincitore degli Internazionali d’Italia del 1969 e finalista degli US Open del 1968. 

Victor Perez (1911-1945) Nato a Tunisi, nel quartiere ebraico di Dar-el-Berdagna, il 28 ottobre 1911, Victor (“Young”) Perez fu un pugile (avviato a questo sport all’età di 14 anni col fratello Benjamin) del Maccabi sport club della sua città.  Trasferitosi in Francia, la sua carriera (138 incontri: 92 vittorie di cui 29 per K.O., 31 sconfitte, 15 pareggi) registrò un deciso salto di qualità. Nel suo primo incontro professionistico, il 1° gennaio 1928, ad Annaba, superò Kid Roger per k.o.: era l’inizio d’una serie di affermazioni che, il 26 ottobre 1931, al Palais des sports di Parigi, lo videro conquistare il titolo mondiale dei pesi mosca ai danni dell’italo-americano Frankie Genaro. Ormai molto famoso in Francia, visse anche una storia d’amore con l’attrice Mireille Ballin, ma il 31 ottobre 1932, a Manchester, perse la corona iridata contro il pugile inglese Jackie Brown. Passato tra i gallo tentò la scalata al mondiale di questa categoria venendo respinto per due volte dal cubano Panama “Al” Brown: il 19 febbraio 1934 a Parigi, e nella rivincita di Tunisi del 1° novembre 1934. Tra i grandi pugili affrontati da Perez vi fu Baltasar Sangchilli, col quale rimediò due sconfitte (Casablanca, 15 settembre 1935; Parigi, 28 ottobre 1937), e di sovente si misurò pure con boxeur italiani ottenendo sempre delle vittorie: Ottavio Gori (Parigi, 1° dicembre 1934); Carlo Cavagnoli (Parigi, 5 gennaio 1935); Leone Blasi (Lione, 21 marzo 1934; Parigi, 10 aprile 1934); Orlando Migliozzi (Parigi, 26 novembre 1935). L’unico ad avere la meglio col tunisino fu, a Parigi, Vittorio Tamagnini il 23 marzo 1933. Tamagnini che, in una rivincita, venne battuto a Tunisi il 28 novembre 1933. L’ultimo incontro che disputò Perez, a Biarritz con Robert Crochard, risale al 28 aprile 1941. Poi, a seguito delle persecuzioni antisemite, nel 1943 fu arrestato e condotto nel campo d’internamento di Drancy. Da qui, con il convoglio n. 60 del 10 ottobre 1943, lo tradussero ad Auschwitz dove anch’egli, nel sottocampo di Monowitz, combatté in alcuni incontri di pugilato. La sua morte, il 22 gennaio 1945, si verificò nel corso di una “marcia della morte” pochi giorni prima della liberazione del Kl polacco. A Perez è stato dedicato un documentario, Young et moi,  diretto nel 2015 da Sophie Nahum 

Attila Petschauer (1904-1943) Nato a Budapest il 14 ottobre 1904, Attila Petschauer fu, alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, medaglia d’argento di sciabola individuale dietro all’altro ungherese Odon Tersztyanszky  (5-2 nel confronto diretto di spareggio) e davanti all’italiano Bino Bini, e d’oro, nella stessa edizione olimpica, nella gara a squadre. Un titolo, quest’ultimo, che conquistò anche nell’Olimpiade di Los Angeles del 1932. Olimpiade nella quale, come ha sostenuto Richard Cohen, <<avrebbe sicuramente conquistato l’oro se non fosse stato derubato da una giuria antisemita. Era nettamente il miglior concorrente in gara, lo schermidore più istintivo>>.  Nel palmarés di Petschauer figurarono inoltre, fra il 1925 e il 1931, 3 argenti e 3 bronzi nei campionati europei. Deportato nel campo di Davidovka, in Ucrania, vi ritrovò l’olimpionico ungherese Kalman Cseh, allora colonnello delle truppe collaborazioniste di collegamento, che era stato membro della nazionale magiara di equitazione ai Giochi olimpici di Amsterdam (13° nel salto a squadre e 43° individualmente). Ciò non assicurò a Petschauer alcun trattamento di favore, anzi la sua morte, il 20 gennaio 1943, avvenne secondo delle modalità sadiche. Fu costretto a salire nudo, d’inverno, su un albero e ucciso a seguito del lancio ripetuto di secchiate d’acqua gelida che ne determinarono l’assideramento. Nel 2000 le biografie tragiche di Petschauer e di Endre Kabos sono servite da spunto alla pellicola di Istvan Szabo Sunshine. Nella seconda delle tre sezioni del film, Petschauer (interpretato da Ralph Fiennes) diventa lo sciabolatore Adam Sors che muta il proprio cognome autentico, Sonnenschein, per cercar di sfuggire all’antisemitismo della società ungherese.

Gino Ravenna (1899-1944) Nato a Ferrara il 30 agosto 1889 da Tullio ed Eugenia Pardo, Gino Ravenna è l’unico olimpionico ebreo italiano, vittima della Shoah,  sino ad oggi noto.  Egli partecipò alle Olimpiadi di Londra del 1908 con la squadra della Palestra Ginnastica “Ferrara” (Alfredo Accorsi, Nemo Agordi, Umberto Agliorini, Adriano Andreani, Vincenzo Blo, Flaminio Bottoni, Bruto Buozzi, Giovanni Bonati, Pietro Borsetti, Adamo Bozzani, Gastone Calabresi, Carlo Celada, Tito Collevati, Antonio Cotichini, Guido Cristofori, Stanislao Di Chiara, Giovanni Gasperini, Amedeo Marchi, Carlo Marchiandi, Ettore Massari, Roberto Nardini, Gaetano Preti, Decio Pavani, Massimo Ridolfi, Gustavo Taddia, Giannetto Termanini, Ugo Savonuzzi, Gioacchino Vaccari; istruttore Alfonso Manarini), selezionata dall’Italia per rappresentarla in quell’evento.  La squadra si classificò sesta con 316.00 punti, mentre nella prova individuale trionfò il modenese Alberto Braglia con p. 317,00. Gino Ravenna si era avvicinato alla ginnastica col fratello Renzo (Ferrara, 1893-1961),che proprio presso la Palestra Ferrara, frequentando la sua sezione Allievi, strinse una solida amicizia con Italo Balbo. Uno dei quattro quadrumviri della Marcia su Roma, il quale favorì la sua carriera politica proiettandolo, dal 16 dicembre 1926 al 17 marzo 1938, alla carica di podestà di Ferrara. Uno dei due soli, con Enrico Paolo Salem a Trieste (21 ottobre 1933 - 10 agosto 1938), podestà ebrei d’Italia.  Con l’introduzione delle leggi razziali, Gino Ravenna, proprietario d’un deposito di generi alimentari, si trasferì ad Albarea per continuare a dirigerne da lì l’attività, ma l’arresto del figlio Eugenio (detto “Gegio”) fece precipitare gli eventi inducendolo, nell’inverno 1943, a cercare riparo in Svizzera col resto della famiglia. I Ravenna riuscirono a passare la frontiera, ma le guardie confinarie elvetiche li respinsero. Sistematasi in un albergo di Domodossola, il 12 dicembre 1943 tutto il nucleo familiare (il padre, la madre Letizia Rossi e i figli Franca e Marcello di quindici anni) venne arrestato. Eugenio (Ferrara, 6 novembre 1920-1977) era invece stato catturato il 9 ottobre 1943 e imprigionato a Bologna. La famiglia Ravenna venne portata nel carcere di via Piangipane a Ferrara, poi, l’11 febbraio 1944, al Tempio di via Mazzini 95, trasformato in luogo di detenzione della comunità ebraica, e infine a Fossoli, da dove partì col convoglio n.  8 del 22 febbraio 1944 diretta ad Auschwitz. Nel Kl polacco giunse il 26 febbraio e lì, in quell’anno, finirono la loro vita Gino, Letizia, Franca, Marcello e altri quattro loro congiunti tra zii (Alba Sofia Ravenna 1891-1944 e Margherita Ravenna 1855-1944) e cugini. Gino Ravenna ebbe per numero di matricola nel campo il 174.541 e il figlio Eugenio il 174.542. Eugenio che, in una sua testimonianza intitolata La forma del cranio (1963), rese così la fine del genitore il 30 aprile 1944: <<Mio padre, un uomo di cinquant’anni, non ha resistito più di un mese e mezzo. Il lavoro era pesantissimo, un suo potenziale disturbo si riacutizzò […]. Capirono che era un elemento irrecuperabile e quindi alla prima occasione lo fecero “trasferire”. Non era un trasferimento, era l’eliminazione. Avveniva sempre di domenica, per non perdere le ore di lavoro […]. Montavano su un camion, dopo poche ore ritornavano i vestiti>>.  Unico “salvato”, Eugenio Ravenna fece ritorno a Ferrara il 15 settembre 1945. Il suo rientro ispirò a Giorgio Bassani il racconto “Una lapide in via Mazzini” (in Cinque storie ferraresi, 1956), nel quale Eugenio diviene Geo Josz: il solo sopravvissuto - nella finzione letteraria - dei 183 ebrei ferraresi deportati a Buchenwald. Un’anima “tornata dal regno dei morti”, il cui nome era già stato impresso in una lapide apposta nella sinagoga di via Mazzini tra le vittime della Shoah.

Fritz Rosenfelder (1901-1933) Nato a  Bad Cannstatt il 15 dicembre 1901, Fritz Rosenfelder gestiva con la madre Frieda un laboratorio con negozio di pelletteria. Da atleta praticava gli sport acquatici e lo sci e, nella sua città natale, svolgeva il ruolo di allenatore nella locale societa ginnastica. Quando nell’aprile 1933 il presidente del Turn-bund tedesco Edmund Neuendorf propose un emendamento allo statuto dell’associazione che estrometteva i membri ebrei, il 6 di quel mese Rosenfelder - analogamente a Nelly Bamberger - si suicidò sparandosi con un fucile da caccia. La sua orazione funebre venne tenuta dal poeta e scrittore Leopold Marx, il cui mentore era stato Hermann Hesse. Marx, socio del sodalizio ginnico di Bad Cannstatt, nel 1934 fu costretto a dimettersi dal club e il 14 novembre 1938 venne  arrestato e detenuto per un breve periodo a Dachau prima di riuscire  a fuggire dalla Germania e a raggiungere la Palestina nell’ottobre 1939. Sul suicidio di Rosenfelder il partito nazionalsocialista regionale commentò che non vi era nulla di male in quella morte che contribuiva alla risoluzione della questione ebraica. 

Endre Salgo (1913-1945) Nato a Budapest l’11 dicembre 1913, Andre Salgo fu uno dei giocatori della nazionale ungherese di pallamano classificatasi quarta, alle spalle di Germania, Austria e Svizzera, nelle Olimpiadi di Berlino. Oltre a lui, di quella rappresentativa magiara facevano parte due suoi altri compagni del Vivo es Atletikai Club (Vac), la squadra degli ebrei di Budapest:Tibor Maté e IstvanSérenyi. La sua morte, in circostanze mai del tutto precisate, avvenne a Budapest nel 1945.

Judikije Simons (1904-1943) Nata ad Amsterdam il 20 agosto 1904, Judikije Simons fu una delle componenti - nel ruolo di riserva - della nazionale femminile olandese di ginnastica che, con p. 316,75, l’8-9 agosto 1928 vinse la medaglia d’oro a squadre alle Olimpiadi di Amsterdam davanti all’Italia (p. 289,00). Direttrice di un orfanotrofio a Utrecht, la Simons si sposò con Bernard Themans ed ebbe due figli: Leon e Sonia. Si spense a Sobibor il 3 settembre 1943, e con lei in quel Kl perirono tutti gli altri suoi familiari. Con Judikije, di quella squadra vittoriosa ad Amsterdam altre tre ginnaste ebree non scamparono alla Shoah. Helena (“Lea”) Nordheim (Amsterdam, 1° agosto 1903), sposatasi con Abraham Kloot (Amsterdam, 28 luglio 1902), morì a Sobibor, il 2 luglio 1943, col marito e la figlia Rebecca di 10 anni. Anna (“Ans”) Polak (Amsterdam, 24 novembre 1906) venne soppressa col marito e la figlia Eva (Amsterdam, 26 giugno 1937) a Sobibor il 23 luglio 1943. Il marito Dresden finì invece i suoi giorni ad Auschwitz il 30 novembre 1944. Estelle (“Stella”) Agsterribe (Amsterdam, 6 aprile 1909) si spense con i figli Nanny di 6 anni e Alfred di 2 ad Auschwitz il 17 settembre 1943. Il consorte Samuel Blits venne meno nel medesimo campo il 28 aprile 1944.    

Joan Slier (1886-1942) Nato ad Amsterdam il 26 marzo 1886, Joan Slier fu un ginnasta della nazionale olandese piazzatasi settima nel concorso a squadre delle Olimpiadi di Londra (1908). Giochi nei quali individualmente si classificò al 96° posto. Joan era zio di Philip (“Flip”) Slier, la cui vicenda recuperata da Deborah Slier e Ian Shine, è divenuta un caso letterario per certi versi apparentabile a quello di Anna Franck  Di “Flip”, a distanza di mezzo secolo, sono state infatti ritrovate 86 lettere, che tracciano una precisa testimonianza del campo di lavoro di Molengoot, scritte ai genitori dall’aprile al 14 settembre 1942. Lettere che la famiglia nascose nella casa di Vrolikstraat 128 ad Amsterdam. Fuggito da Molengoot Philip cercò di rendersi “invisibile”, ma il 3 marzo 1943 venne catturato dai nazisti e trasferito nel campo di Vught nel Brabante settentrionale. Poi, il 6 aprile 1943, in quello di Westerbork, da cui avvenne la traduzione verso Sobibor, dove gli fu data la morte il 9 aprile 1943. Lo stesso Kl in cui i suoi genitori furono uccisi il 1° giugno 1943.  Dei 58 membri della famiglia Slier, in vita all’inizio del secondo conflitto mondiale, ne sopravvissero alla Shoah solo 6. Ma la vicenda di Joan Slier si collega a un altro dramma sino ad oggi non adeguatamente approfondito. La sua vicenda e quella della squadra di cui faceva parte é infatti assai simile a quella della nazionale femminile olandese di ginnastica, vincitrice della medaglia d’oro nelle Olimpiadi di Amsterdam (1928), che nella sua componente ebraica venne quasi completamente annientata dal nazionalsocialismo. Oltre a Slier, della rappresentativa schierata dall’Olanda a Londra nel 1908 erano ebrei tre altri ginnasti che ne condivisero la sorte. Abraham De Oliveira (1880-1943), nato ad Amsterdam il 4 maggio 1880 e soppresso a Sobibor il 26 marzo 1943. Isidore Goudeket (1883-1943), nato ad Amsterdam il 1° Agosto 1883 e morto Sobibor il 9 luglio 1943. Abraham Mok (1888-1944), nato ad Amsterdam il 15 maggio 1888 e ucciso ad Auschwitz-Birkenau il 29 febbraio 1944.

Leon Sperling (1900-1941) Nato a Cracovia il 7 agosto 1900, Leon Sperling - detto “Munia” - fu un calciatore che sviluppò la sua carriera, dal 1921 al 1930, nelle file del Klub Sportows di Cracovia. Da attaccante disputò anche 16 partite con la nazionale polacca, realizzando 2 gol e giocando nelle Olimpiadi del 1924. “Munia”, che al termine della carriera agonistica allenò il Piszczewik di Lwow (Leopoli) e lavorò da impiegato di banca, venne ucciso per “divertimento” da un soldato tedesco ubriaco nel Ghetto di Lwow (creato l’8 novembre 1941 arriverà a contenere 220.000 persone) il 15 dicembre 1941.

Zigmunt Steuermann (1899-1941) Nato a Sambor il 5 febbraio 1899, Zigmunt Steuermann fu un calciatore che giocò nel Korona Sambor (1920-’21 e 1932-’39), nel Zsk Lwow (1921), nel club ebraico Osmonea Lwow (1923-’32), nel Legia Varsavia (1929) e nella Dinamo Sambor (1940-’41). Con la nazionale polacca disputò due incontri:  nel 1926 contro la Turchia realizzando una tripletta, e nel 1928 con gli Stati Uniti segnando un altro gol. Deportato nel ghetto di Lwow, Zigmunt Steuermann vi morì nel dicembre 1941.

Robert Stricker (1879-1944) Nato a Brno il 26 agosto 1879, Robert Stricker fu uno dei fondatori dell’Hakoah viennese. Nel 1919 venne eletto al parlamento austriaco come rappresentante del Partito nazionale ebraico: unico esponente di questa forza politica a riuscirvi in tutta la sua storia. Acceso sionista, per diversi anni fu pure un membro della direzione dell’Israelitische kultusgemente di Vienna, ed editore del settimanale ebraico - uscito dal 1926 - “Die NueWelt”. Dopo l’Anschluss del 1938 venne deportato a Dachau. Liberato si trasferì a Praga, e qui lo arrestarono nuovamente traducendolo, il 6 luglio 1942, a Terezin, dove morì il 15 marzo 1944.

Andras Szekely (1909-1943) Nato a Tatabanya il 5 marzo 1909, Andras Szekely fu un nuotatore magiaro del Ferencvaros di Budapest classificatosi  2° sui 100 crawl (1’00”8) nei campionati europei di Parigi del 1931 alle spalle del connazionale Istvan Barany (59”8). Campionato continentale nel quale vinse un oro con l’Ungheria nella 4x200 (Barany, Laszlo Szabados, Andra Wanié), in 9’34”0, davanti a Germania (9’48”6) e Italia (Antonio Conelli, Sirio Banchelli, Ettore Baldo, Paolo Costoli, 9’49”0). Successivamente Szekely  finì 3° in staffetta, in 9’31”4, nelle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. Deportato nel lager ucraino di Cernjanka, si spense il 25 gennaio 1943.  

Lejzor lilja Szrajbman (1907-1943) Nato a Varsavia il 25 aprile 1907, figlio di Lejzor e Masha Goldsztejnov, Leizor IiIja Szrajbman fu campione polacco di nuoto sui 400 crawl nel 1935 e della 4x200 nel 1938, e giunse inoltre 2° sui 100 crawl (64”6) nelle Maccabiadi del 1932. Prese parte ai campionati europei del 1934 e, con la staffetta 4x200 (Kazimierz Bochenski, Helmut Barysz e Joachim Karliczek), alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Allenatore di nuoto e pallanuoto, morì combattendo nella rivolta del ghetto ebraico di Varsavia del 19 aprile - 16 maggio 1943. 

Imre Taussig (1894-1945) Nato ad Aba, in Ungheria, il 28 giugno 1894, Imre Taussig fu un calciatore (ala destra) che giocò sempre nelle file del Mtk Budapest, col quale vinse tre titoli nazionali, toccando i suoi vertici tecnici fra il 1914 e il ’18, quando disputò 5 partite internazionali con i colori ungheresi. Deportato e ucciso nel campo austriaco di Bruck an der Leitha, si ritiene che il suo corpo sia stato sepolto in una fossa comune scoperta il 23 maggio 1945.

Antal Vago (1891-1944) Nato a Paszto il 9 agosto 1891, Antal Vago fu un difensore del Mtk di Budapest nel quale militò dal 1911 al 1915. Il suo valore è confermato dalle 17 presenze accumulate con la nazionale calcistica ungherese. Identificato come ebreo venne freddato sulle rive del Danubio, così da disperderne nelle acque il cadavere, il 21 marzo 1944.   

Rémi Weil (1899-1943) Nato a Strasburgo il 17 dicembre 1899, prese parte alle Olimpiadi di Anversa (1920) gareggiando nei 100 crawl. Inserito nella quarta batteria vi giunse 4°, preceduto dall’americano Norman Ross (60”4), dall’australiano Billy Herald (68”8) e dall’italiano Mario Massa (70”4). Deportato ad Auschwitz, vi morì il 20 dicembre 1943.

Arpad Weisz (1896-1944) Nato a Solt il 16 aprile 1896, Arpad Weisz fu un calciatore ungherese che giocò dal 1919 al ’23 nel Torekves (84 presenze), nel 1923-‘24 nel Maccabi Brno, nel 1924-’25 nell’Alessandria e nel 1925-’26 nell’Internazionale di Milano (11 presenze e 3 gol). Tra il 1922 e il ’23 disputò anche 6 incontri con la nazionale magiara.  Da allenatore fece da vice di Augusto Rangone all’Alessandria nel 1926, e poi sedette sulle panchine di Ambrosiana-Inter (1926-’28; 1929-’31; 1932-’34), Bari (1931-’32), Novara (1934-’35), Bologna (1935-‘38). Con l’Ambrosiana-Inter, nella quale lanciò in prima squadra Giuseppe Meazza e adottò il “metodo” di Chapman, conquistò lo scudetto del 1929-’30. Col Bologna vinse i titoli del 1936 e ’37. Studioso del football, Weisz scrisse a quattro mani Con Aldo Molinari un manuale tecnico assai moderno: Il gioco del calcio (1930). Un testo prefato da Vittorio Pozzo, che osservò in proposito: <<L’opera di Weisz e Molinari induce a riflettere, invoglia a studiare: incanala l’attenzione e l’interesse verso quella che è sostanza, non forma od apparenza>>.  E secondo Niccolò Mello, Weisz fu <<un precursore, un innovatore, un perfezionista. Il suo metodo di lavoro ricorderà molto da vicino quello adottato una quindicina di anni più tardi da un altro ebreo-ungherese, Erno “Egri” Erbstein, per fare grande il Torino. Entrambi erano figli di quel mondo yiddish che era intriso di irrefrenabile curiosità per ogni aspetto del sapere umano. Entrambi, come Meisl e Guttmann e tutti gli altri allenatori ebrei della Mitteuropa, prima di essere tattici e strateghi in campo erano persone di enorme cultura nella vita quotidiana>>.  Colpito dalle leggi razziali mussoliniane Arpad Weisz lasciò l’Italia nell’ottobre 1938, dopo un incontro di campionato vinto 2-0 con la Lazio, e alla ricerca di un nuovo ingaggio accettò quello del Dordrecht. Club olandese che allenò dal 1939 al ‘41. Il primo anno lo salvò dalla retrocessione fra i cadetti nello spareggio con l’Utrecht, nelle altre due riportò dei pregevoli quinti posti. Come conseguenza dell’invasione nazista dell’Olanda, il 2 agosto 1942 l’intera famiglia Weisz venne arrestata e tradotta a Westerbork. Punto di transito verso Auschwitz, dove la moglie Ilona e i figli Roberto (12 anni) e Clara (8) giunsero il 3 ottobre e vennero uccisi il 5 ottobre 1942. Arpad, utilizzato nel lavoro coatto nelle miniere di carbone di Cosel in Alta Slesia, sopravvisse sino al 31 gennaio 1944 quando si spense ad Auschwitz. 

Ferenc Weisz (1885-1944) Nato a Solt, in Ungheria, il 23 febbraio 1885, 1885, Ferenc Weisz fu un calciatore che sviluppò per intero la sua carriera nelle file del Ferencvaros Budapest (1902-‘20, 186 presenze e 105 gol), con un solo breve intermezzo al Mtk col quale disputò due partire nel 1915. Dal 1903 al ’17 giocò pure 17 gare (realizzando 3 gol) con la nazionale ungherese, esordendovi l’11 giugno 1903 nella gara vinta contro l’Austria 3-2. Lasciato l’agonismo, allenò l’Ujpest di Budapest dal 1920 al ’22. Vittima della Shoah, Ferenc Weisz, dopo essere stato catturato alla periferia di Budapest, morì ad Auschwitz il 4 febbraio 1943.

Israel Wijnschenk (1895-1943) Nato ad Amsterdam il 24 novembre 1895, intagliatore di diamanti, da atleta della società Bato della sua città fece parte della nazionale olandese di ginnastica classificatasi ottava, con p. 182,625, nei Giochi olimpici del 1928. Sua moglie Marianna Peeper, di quarant’anni, venne uccisa ad Auschwitz il 1° ottobre 1942, lo stesso giorno della loro unica figlia Hendrika di undici. Israel Wjnschenk morì ad Auschwitz il 31 gennaio 1943. 





I “SALVATI”  

Salamon Arouch (1923-2006) Nato a Salonicco il 1° gennaio 1923, Salamon Arouch - detto il “ballerino” per la tecnica e mobilità sul quadrato -  fu un dilettante del Maccabi locale, dove iniziò la sua carriera pugilistica appena quattordicenne, e dell’Aris di Salonicco. Campione greco dei medi, vinse anche il titolo balcanico nel 1939 e, prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, vantava un record di 24 vittorie su 24 combattimenti sostenuti. Ebreo sefardita, il 15 maggio 1943 fu recluso con l’intera famiglia ad Auschwitz. La madre e le sorelle vennero immediatamente soppresse, il padre resse solo un po’ più a lungo alla pesantezza del lavoro forzato e il fratello Avram fu ucciso essendosi rifiutato di estrarre i denti d’oro dai cadaveri recuperati dalle camere a gas. Salamon (n. 136.954) si salvò grazie al pugilato. Si sostiene abbia sostenuto ad Auschwitz, quale forma di intrattenimento per le SS, 208 incontri, tutti vittoriosi tranne due chiusi alla pari. Il primo, pochi giorni dopo l’arrivo nel campo, contro un deportato noto come Chaim, e uno di essi, quello che l’oppose a Klaus Silber - ebreo-tedesco, ma nato a Dielsdorf nel Canton Zurigo con all’attivo da dilettante 44 match senza sconfitte -, si concluse con la morte dell’avversario. Alla sua vicenda di pugile ad Auschwitz si è ispirato il film di Robert M. Young Triumpf of the spirit (1989) interpretato da Willem Dafoe.  Trasferitosi in Palestina, Arouch partecipò alla guerra arabo-israeliana del 1948 e poi gestì a Tel Aviv una compagnia di spedizioni e traslochi. Continuò anche a combattere sporadicamente venendo battuto al 4° round, in un incontro disputato nella capitale israeliana l’8 giugno 1955, dall’italiano Amleto Falcinelli. Si è spento a Tel Aviv il 26 aprile 2009.

Leopold Aschner (1872-1952) Nato a Nové Sady - oggi in Slovacchia - il 21 luglio 1872, Leopold - detto “Lipot” - Aschner fu il primo figlio d’una numerosa famiglia ebrea composta da nove fratelli e sorelle. A nove anni iniziò a lavorare e nel 1892 fu assunto alla Tunsgram, intraprendendovi una carriera brillantissima. Assegnato al settore commerciale ne ebbe la rappresentanza in Russia, nel 1908 fu promosso direttore import-export e nel 1921 ne divenne il Ceo sino al 1944. Mecenate dello sport ungherese, sostenne il Vac Budapest e legò la sua vita alle sorti calcistiche dell’Ujpest. Dal 1921 al 1934 ne fu il presidente, vincendo durante il suo mandato tre titoli nazionali: nel 1930, ’31 e ’33. Ad Aschner si dovette anche la costruzione dello stadio dell’Ujpest, progettato da Arnold Guttmann (Alfred Hajos). Deportato a Mauthausen il 19 marzo 1944, Lipot, nella cui villa in Roszadomb si installò Adolf Eichmann, fu riscattato dai proprietari della Tunsgram corrompendo i nazisti con 100.000 franchi svizzeri. E dalla Svizzera Aschner riprese a curare gli affari dell’azienda nel corso del periodo di forzato esilio dall’Ungheria. Morì a Budapest il 18 gennaio 1952.

Julius Balasz (1901-1970) Nato a Budapest, da una famiglia ebrea originaria di Rajec, il 5 ottobre 1901, Julius Balasz iniziò ad allenarsi nella capitale ungherese seguito da Béla Komjadi, uno dei “padri” della pallanuoto moderna. Dopo la prima guerra mondiale si trasferì con i genitori in Cecoslovacchia e, dal 1920, frequentò l’università di Brno gareggiando per le società locali del Maccabi e del Bar Kobcha. Per la Cecoslovacchia gareggiò nelle Olimpiadi di Parigi (1924), prendendo parte ai 100 crawl (1’11”2) e giungendo 9° (p. 463,1) nei tuffi dal trampolino da 3 metri, e in quelle di Amsterdam (1928), fermandosi alla semifinale del trampolino (p. 139,24). Sempre nei tuffi s’impose nella Maccabiade del 1935, manifestazione nella quale vinse anche il torneo di pallanuoto. Deportato a Terezin e Auschwitz, si spense a Praga il 29 ottobre 1970.  

Rudi Ball (1911-1975) Nato a Berlino il 22 giugno 1911 da un commerciante in tessuti ebreo-tedesco e da una madre lituana, Rudi Ball fu uno dei più forti giocatori europei di hockey su ghiaccio degli anni ’30. Hockeysta del Brandeburg e del Berliner Schlittischuh Club, 8 volte campione nazionale dal 1928 al ’33, disputò anche 48 incontri con la nazionale germanica segnando 19 gol. Nelle Olimpiadi invernali del 1932 a Lake Placid (6 partite, 3 reti) giunse terzo, e vinse il campionato d’Europa del 1930, quando venne eletto miglior giocatore del continente. Con la salita al potere del nazismo Ball si trasferì all’Ehc St. Moritz (1933-‘34) e, dal 1934 al ’36, militò nei “Diavoli Rossoneri” di Milano. Questa società era una emazione del Milan calcistico, essendo stata creata dal suo segretario Angelo Monti, e con essa Rudi - insieme al fratello Gerhard Ball  (Berlino, 25 settembre 1903), ottimo portiere - conquistò oltre a due scudetti due prestigiose coppe “Spengler”.Uno dei tornei europei più importanti, organizzato a Davos in Svizzera. Una prima volta nel 1934 (con Decio Trovati, Franco Carlassare, Ignazio Dionisi, Mario Zucchini, Mario Maiocchi, Howie Grant, Gianni Scotti) battendo l’Oxford University 2-0; e una seconda nel 1935 (con Augusto Gerosa, Trovati, Mario e Carlo Zucchini, Dionisi, Gordon Poirier, Henry Hayes, Scotti, Maiocchi) col Davos. In occasione delle Olimpiadi di Garmisch-Partenkirchen (1936), Rudi Ball costituì un’equivalente della schermitrice Helene Mayer in quelle estive di Berlino. Ovvero, fu l’unico ebreo schierato dalla Germania nazista nella sua rappresentativa, così da cercar di rasserenare l’opinione pubblica internazionale ed evitare un possibile boicottaggio politico delle due manifestazioni. Di più, il capitano della nazionale hockeystica Gustav Jaenecke minacciò che in caso d’esclusione di Ball avrebbe rinunciato anch’egli al torneo olimpico. In tal senso, Rudi venne invitato a ritornare in patria dal suo esilio solo il 15 gennaio 1936, ultimo giorno utile per consegnare le liste degli atleti partecipanti ai Giochi invernali, e secondo David C. Large <<la stampa tedesca aveva ricevuto ordini precisi di non menzionare la questione razziale a proposito di Ball, ma alcuni giornali stranieri non mancarono di sottolineare che un “ebreo” era il giocatore migliore dell’Herrenvolk>>.  Tant’è Ball, il quale nella gara con l’Italia aveva segnato il gol decisivo del 2-1, l’11 febbraio 1936 s’infortunò nel match con l’Ungheria e il suo ritiro dal torneo olimpico indebolì notevolmente la squadra tedesca che finì solo quinta. In seguito, Rudi con la sua famiglia e Gerhard raggiunsero in Sudafrica l’altro fratello hockeysta, Heinz, che vi era già riparato nel 1935. Rudi Ball si è spento a Johannesburg nel settembre 1975.    

Arthur Baar (1890-1984) Nato a Vienna il 31 marzo 1890, Arthur Baar in gioventù era stato un calciatore dello Sparta Klub, dell’Akademik Sports Klub e, dal 1909 al 1911, dell’Hakoah di Vienna. Dal 1917 diresse la sezione calcistica dell’Hakoah e dal 1920 al ’23 ne fu anche il vice-presidente. Col grande allenatore del calcio austriaco Hugo Meisl dal 1° gennaio 1919 pubblicò il “Neue Wiener Sportblatt” e, nel 1926, fondò la “Stadion”: una azienda produttrice di articoli sportivi che tra i propri soci ebbe lo stesso Meisl. Dopo l’Anschluss, l’azienda venne subito “arianizzata” e, il 15 agosto 1939, cancellata dal registro commerciale. Riparato in Palestina, Baar vi costituì la società calcistica Hapoel di Ramat Gan e, dal 1948 al 1954, fu il manager della nazionale israeliana di football. 

Victor Barna (1911-1972) Nato a Budapest il 24 agosto 1911, Viktor Barna è stato il giocatore di tennis tavolo che ha conquistato il maggior numero di medaglie d’oro nella storia dei campionati del mondo di questo sport. In totale  22, così suddivise: 5 individuali (1930, ’32, ’33, ’34, ’35); 8 in doppio (1929, ’30, ‘31, ’32, ’33, ’34, ’35, ’39); 2 in doppio misto (1932, ‘’35); 7 a squadre (1929, ’30, ’31, 1933, ’34, ’35, ’38). Ebreo, fu costretto a  cambiare il proprio nome Gyozo Braun in Victor Barna e, reduce nel 1935 d’un grave incidente stradale che ne comprise la restante carriera,   difese nei suoi ultimi anni di attività agonistica i colori della Gran Bretagna. Si spense a Lima il 27 febbraio 1972.        

Giorgio Bassani (1916-2000) Nato a Bologna il 4 giugno 1916, lo scrittore Giorgio Bassani dedicherà al tennis e alla Shoah il suo romanzo più famoso: Il giardino dei Finzi Contini (1962). Un’opera che metaforicamente ruota tutta attorno a un campo tennistico, emblema d’un prima e un dopo le leggi razziali e l’antisemitismo.  Il <<simbolo della loro innocente miopia, della loro ignara quanto annunciata sconfitta nel match della vita>>.  Del resto, Bassani fu un giocatore di tennis di autentica qualità. Socio del Circolo “Marfisa” di Ferrara, fondato il 1° marzo 1930, ne fu il campione dal 1935 al ’37, mentre nel 1933 e ’34 quel titolo se l’aggiudicò il regista Michelangelo Antonioni.  Al pari d’Antonioni anche Bassani venne classificato in seconda categoria, vincendo nel 1938 il titolo regionale emiliano. Un’affermazione che gli dischiuse le porte delle finali dei Littoriali dello Sport. Sino ad allora si era cimentato solo nei Littoriali della Cultura (nel 1936 a Venezia, ottenendo una segnalazione nel concorso di “Critica letteraria; nel 1937 a Napoli, giungendo terzo in “composizione poetica a tema libero”), mentre dal 10 al 19 maggio 1938, a Napoli, prese parte a quelli sportivi gareggiando nel torneo di doppio. Una delle sue ultime partite ufficiali, con l’introduzione della legislazione sulla razza, in periodo fascista. Al riguardo, ha rammentato in una sua testimonianza il sopravvissuto Cesare Moisè Finzi: <<Venne immediatamente cacciato dal Club,  non gli fu nemmeno più permesso di assistere alle partite (ammesso che avesse avuto ancora voglia di presenziare) ed io, giovane suo allievo negli anni 1940-’43 (insegnava a noi studenti delle medie italiano e latino), ricordo le sue impressioni di sofferenza quando ci raggiungevano il tic tac delle palline e le urla dei giocatori impegnati nelle partite che si svolgevano sotto le finestre dello studio di Giorgio. Il presidente della Comunità israelitica di Ferrara, dottor Silvio Magrini, aveva messo a disposizione di tutti gli ebrei ferraresi il campo da tennis posto nel suo bel giardino ma per Bassani non poteva essere sufficiente incrociare la sua racchetta con quella di Primo Lampronti, altro valido atleta ferrarese ma campione in un altro sport>>.  Attivo nella Resistenza, Bassani venne arrestato il 28 maggio 1943 e un rapporto della Divisione politica  del 29 giugno 1943 riferiva quanto segue: <<Per notizia si comunica da parte dell’Ovra di Bologna che è stata accertata l’esistenza di una vasta e pericolosa organizzazione antifascista cui aderiscono elementi vari. Il movimento in parola che si propone di rovesciare il fascismo per istituire una nuova forma di governo, presenta le caratteristiche di volersi servire di tutti i partiti per attuare il suo programma […]. Nel ferrarese esponenti principali del movimento sono il Dr. Bassani Giorgio, ebreo, originariamente di principi liberali, l’insegnante elementare Costa Alda di idee socialiste>>.  Tornato in libertà, Bassani abbandonò Ferrara e, datosi alla clandestinità, sposò Valeria Senigallia e si nascose prima a Firenze e successivamente a Roma. Si spense a Roma il 13 aprile 2000. Nondimeno, anche il padre di Giorgio, il medico Enrico Bassani (1885-1948), fu un appassionato sportivo. Dal 1921 al 1924 presiedette infatti la Spal (Società polisportiva ars et labor) di Ferrara.  Durante il suo mandato, la squadra nel 1921-‘22 mancò di poco la disputa della finale del campionato che venne poi vinto dalla Novese. Infatti quella Spal (Oreste Canova, Ugo Fini, Giuseppe e Ilario Preti, Giuseppe Ticozzelli, Emilio Badini, Antonio Manfredini, Abdon Sgarbi, Carlo Dabbene, Eugenio Negri, Giacomo Olivieri Berra, Chendi, Felisi, Vassarotti, Vanoli; allenatore Carlo Marchiandi) fu piegata solo in semifinale a Milano, il 1° maggio 1922, dalla Sampierdarenese che s’impose 2-1 ai tempi supplementari dopo essere stata in svantaggio su gol del ferrarese Vanoli. Nel 1922-23 la Spal di Enrico Bassani, affidatasi all’allenatore ungherese Armand Halmos, chiuse buona terza nel girone C della Lega nord, e nel 1923-24 finì decima nel girone B della stessa Lega. Questi felici anni di presidenza, traspaiono anche in un romanzo di Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, in cui tra realtà e finzione scrisse: <<Discorrevamo di sport, di calcio. I due uomini deploravano che la squadra dell’U.S. Estense, che negli anni del primo dopoguerra era stata una gran squadra, una delle più forti dell’Italia settentrionale (nel ’23, anzi, era andata a un pelo da vincere il campionato di prima Divisione: le sarebbe bastato pareggiare l’ultima partita, in casa della Pro Vercelli!), adesso, decadendo sempre più, fosse ridotta in Serie C, costretta a lottare ogni anno per rimanerci. Ah, gli anni del centro-mediano Condorelli, dei due Banfi, Beppe e Ilario, quelli del grande Bausì. Quelli sì che erano stati anni!>>. 

Walter Bensemann (1897-1934) Nato a Berlino il 13 gennaio 1878, Walter Bensemann è stato uno dei pionieri del calcio tedesco. Inviato dal padre a studiare in una scuola svizzera, Bensemann vi scoprì il calcio e contribuì alla nascita del Football Club Montreux. Rientrato in patria proseguì i suoi studi a Karlsruhe, dove nel 1889 prese parte alla fondazione del Karlsrucher Kicker,  e il 28 gennaio 1900, a Lipsia, fu tra i fondatori della Federazione calcistica tedesca (Dfb). Egli credeva nel football come strumento di pace: <<Lo sport - affermava - è una religione, e forse l’unica in grado di unire persone e classi>>, e fece della rivista calcistica “Der Kicker”, da lui creata il 14 luglio 1920, un organo a sostegno di queste sue convinzioni. Le posizioni sostenute da Bensemann all’interno della Dfb entrarono in aperto conflitto con i membri della sua direzione di matrice nazista e, nel marzo 1933, riparò in Svizzera. Qualche settimana prima aveva dovuto lasciare il controllo di “Der Kicker”, e subito il 19 aprile 1933 Felix Linnemann (presidente del Dfb, alto funzionario della polizia criminale, iscrittosi al partito (Nsdap) nel 1937 ed entrato nelle SS nel 1940) vi fece pubblicare l’annuncio dell’espulsione degli ebrei e dei movimenti sportivi marxisti dal Dfb.  Di più, nel 1939 “Der Kicker” dedicò un numero monografico a tutti i giocatori della nazionale tedesca dalla sua creazione tralasciando d’inerirvi solo i due calciatori ebrei che sin lì vi avevano militato. Un numero ristampato integralmente dalla rivista nel 1988, senza che si ponesse rimedio alle due colpevoli “dimenticanze”. Walter Bensemann si spense a Montreux il 12 novembre 1934.

Margareth Bergmann (1914-2017) Nata a Laupheim il 12 aprile 1914 da Edwin e Paula Stern, Margareth (Gretel) Bergmann fu una saltatrice in alto di valore assoluto. Nel 1931 si laureò campionessa nazionale elevandosi sino a m. 1,51 e rivinse tale titolo pure nel 1932. L’anno seguente, a Ulm, progredì fino a m. 1,55, e saltando il 27 giugno 1936, nei campionati del Wurttemberg, m. 1,60, eguagliò il record tedesco. Una prestazionemolto vicina alle migliori prestazioni mondiali dell’anno, tanto che con essa si vinsero i Giochi olimpici il 9 agosto. Ma proprio l’Olimpiade berlinese trasformò Gretel in una “vittima sacrificale” con cui il nazismo cercò di darsi una parvenza di legittimità e scongiurare un eventuale boicottaggio politico della manifestazione. Figlia di genitori entrambi ebrei, nel 1933 la Bergmann venne espulsa dall’Ulmer Football Club per il quale gareggiava, e si trasferì in Gran Bretagna per proseguirvi gli studi e continuare ad allenarsi, tanto che nel 1934 vinse il campionato nazionale inglese (m. 1,55). In vista dell’Olimpiade, temendo per la sorte dei familiari, fece ritornò in Germania e gareggiò per lo Schild di Stoccarda essendole stata ventilata la possibilità di esser inserita - seppur ebrea - nella nazionale olimpica tedesca. In realtà fu utilizzata come un semplice “specchietto per le allodole” (a Ettlingen, nel Baden Wurttemberg, per gettare fumo negli occhi si creò  persino un Centro di addestramento olimpico per ebrei),  e alla Bergmann, il 16 luglio 1936, venne beffardamente comunicato che malgrado i risultati ottenuti essi non corrispondevano agli standard tecnici richiesti, preferendole Elfriede Kaun e Dora Rajten. Una saltatrice, quest’ultima, che come emerse in un secondo tempo si spacciava per donna pur essendo un uomo.  In una sua lettera Karl Von Halt, uno dei gerarchi dello sport nazista, scrisse alla Bergmann che per il suo impegno e la disponibilità dimostrati era disposto a consentirle l’ingresso gratuito per assistere alle gare olimpiche precisandole i giorni e la natura della concessione: ossia una tessera per i soli posti in piedi. Gretel nel 1937 emigrò negli Stati Uniti, aggiundicandosi i campionati americani di salto in alto del 1937 e ’38 e di lancio del peso del ‘37, e lì sposò il medico ed ex velocista Bruno Lambert. Il quale nella Shoah aveva perso il padre e la madre. La Bergmann si è spenta a New York il 25 luglio 2017, e a lei sono stati dedicati il documentario Hitler’s Pawn. The Margareth Lambert story  (2004)” di George Roy e il film  berlin 36 (2009) di Kaspar Heidelbach con Karoline Herfurth.

Richard Bergmann (1919-1970) Nato a Vienna il 10 aprile 1919, Richard Bergmann è stato, con Vikton Barna, uno dei più grandi pongisti d’ogni epoca. Quattro volte vincitore del campionato del mondo individuale, nel 1937, 1939, 1948 e 1950, una di doppio con Barna (1936), e due a squadre. Con l’Anschluss del 1938 riuscì a raggiungere l’Inghilterra, nazione per la quale gareggiò nel resto della sua carriera. Si spense a Londra il 5 aprile 1970. Dal 1982 fa parte della Jewish Sport Hall of Fame. 

Hertha Bienenfeld (1907-1976) Nata in Austria il 17 ottobre 1907, Hertha - detta “Hedi” -Bienenfeld ha dominato la scena del nuoto del suo paese, da atleta dell’Hakoah di Vienna, lungo tutti gli anni ’20 e ’30. A comprendere il suo valore basti dire che detenne il record nazionale dei 200 rana dal 1935 al ’56. Su questa distanza giunse altresì terza, in 3’27”, alle spalle delle tedesche Hildegard Schrader (3’20”4) e Charlotte Muhe (3’25”2), nei campionati europei tenuti a Bologna dal 31 luglio al 4 agosto 1927. Nel 1928 prese anche parte alle Olimpiadi di Amsterdam e, sposatasi nel 1930 col suo allenatore Zsigo Wertheimer, si sostiene che di lei fosse follemente innamorato lo scrittore Friedrich Torberg. Pallanotista dell’Hakoah, che nel suo romanzo Derschulergerber la raffigurò nel personaggio di Lisa Berwald.  La sua popolarità e avvenenza la portò a diventare la testimonial di un famoso costume da bagno austriaco, ma a seguito dell’Anschluss del 1938 fu costretta a fuggire col marito a Londra potendosi avvalere dell’aiuto del dirigente dell’Hakoah Valentin Rosenfeld. Da lì, i dueraggiunsero poi gli Stati Uniti ottenendone la cittadinanza nel 1952.

Gyula Biro (1890-1961) Nato a Budapest il 10 maggio 1890, Gyula Biro fu, dal 1905 al ’16, un calciatore del Mtk Budapest con cui vinse i campionati del 1908, ’14 e ’17 e giocò 135 incontri realizzando 17 gol. Disputò inoltre 36 partite con la nazionale ungherese, mettendo a segno 3 reti. Emigrato Oltreoceano, morì a Città del Messico il 23 giugno 1961. 

Zoltan Blum (1892-1959) Nato a Papa, in Ungheria, il 3 gennaio 1892, Zoltan Blum (noto anche come Zoltan Virag) fu un calciatore del Ferencvaros, squadra con cui giocando nel ruolo di mediano dal 1911 al ’27 disputò 222 gare segnando 2 gol. Collezionò pure, dal 1912 al ’25, 38 presenze nella nazionale magiara (un gol) e con essa prese parte alle Olimpiadi di Stoccolma (1912). Allenò il Ferenvaros dal 1930 al ’37, e nel secondo dopoguerra l’Uta Arad nel 1946-’47. Si spense a Budapest il 25 dicembre 1959. 

Albert Bogathy (1882-1961) Nato a Kikinda, in Serbia, l’8 aprile 1882, Albert Bogathy fu uno schermidore austriaco 2° classificato nella sciabola a squadre nelle Olimpiadi di Stoccolma (1912). Naturalizzato ungherese, col cognome di Bogen partecipò con la nazionale magiara alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Sua figlia Erna Bogen, sposata con il plurivincitore olimpico Aladar Gerevich, conquistò la medaglia di bronzo nel fioretto individuale nei Giochi di Los Angeles del 1932. Sopavvissutto alla Shoah, Bogathy-Bogen morì a Budapest il 14 luglio 1961. 

Barend Brill (1912-2003) Nato ad Amsterdam il 16 novembre 1912 da Abraham e Klaaarti Moffie, Barend- detto “Ben” - Brill, crebbe in una famiglia di sei figli dedicandosi sin da giovanissimo alla boxe presso la la Olympia Boxing Club. Otto volte campione olandese dei dilettanti, nel 1928, tra i pesi mosca, prese parte alle Olimpiadi di Amsterdam classificandosi 5° dopo aver sconfitto l’irlandese Myles Mc Donagh ed essere stato eliminato dalle finali dal sudafricano Buddy Lebanon. Da medio vinse a Tel Aviv le Maccabiadi del 1935 battendo il tedesco Sigmund Stadtlander. Sposato con Celia da lei ebbe un figlio, Ab Ben, e durante la Shoah (nel corso della quale persero la vita tre suoi fratelli e una sorella, salvandosi solo Herrie) cercò di sfuggirvi vivendo in clandestinità, ma nel 1942 il loro rifugio venne scoperto e Barend fu tradotto nel campo di transito di Vught prima di essere deportato a Bergen-Belsen dove venne costretto a svolgere qualche combattimento con altri deportati. Sopravvissuto con i suoi due familiari, Brill nel dopoguerra divenne arbitro di pugilato  sviluppando la propria carriera internazionale tra il 1963 e il ’74 e dirigendo diversi campionati europei. Si è spento ad Amsterdam l’11 settembre 2003. 

Jos Cohen (1907-1987) Nato a Rotterdam il 21 dicembre 1907, Jos Cohen fu un calciatore dello Sparta Rotterdam, club che in città contava il maggior numero di soci ebrei. Da portiere vi esordì in prima squadra il 10 dicembre 1926 e vi giocò l’ultima partita il 6 febbraio 1938. Divenutone un dirigente nei primi anni ’40, nel secondo dopoguerra, avendo assunto il cognome di Coler, ricoprì degli importanti incarichi in seno alla Federazione calcistica olandese (Knvb). Ne fu vicepresidente e presidente del settore professionistico, inoltre venne anche eletto tesoriere della Union european football association (Uefa).

Richard Cohn (1888-1963) Nato a Vienna il 27 febbraio 1888, Richard Cohn - noto col soprannome di Richard Dombi, “piccola eminenza” - fu un calciatore del Wiener dal 1907 al ’14 e, da centrocampista, giocò anche nel Mtk Budapest tra il 1908 e il ’12, disputando inoltre 6 incontri (2 gol) con la maglia della nazionale austriaca. Da allenatore guidò l’Hertha Berlino (1923-‘24), il First Vienna (1925), lo Stuttgart S.F. (1925-’26), il Barcellona (1926-’27), il K.S. Warszawiank (1928), il Monaco 1860 (1928-’30), il Mannheim (1930-’31) e, con presidente l’ebreo Kurt Landauer, dal 1° luglio 1931 al 30 giugno 1933 il Bayern di Monaco, con cui vinse il titolo del 1932 battendo in finale l’Eintracht Francoforte con una rete di Oscar Rohr. Con la conquista del potere da parte del nazismo per sfuggire alle persecuzioni antisemite riparò in Svizzera, sistemandosi al Grasshoppers di Zurigo (1933) e poi tornò in Spagna al Barcellona (1933-’34). Infine allenò il Basilea (1934) e il Fejenoord, prima dal 1935 al ’39 e nel secondo dopoguerra nel 1951-’52 e 1955-‘56. Morì il 16 giugno 1963. A sottolinearne le qualità di lui scrissero: <<Era come avere un allenatore, un fisioterapista, un massaggiatore e un general manager manager in una sola persona>>.

Joel Cosman (1903-1988) Nato ad Amsterdam, Joel (“Joop”) Cosman nel 1928 vi fondò l’Olympia Boxing Club. Una palestra che oltre a coltivare l’agonismo pugilistico in senso stretto insegnava agli ebrei a difendersi dai soprusi e dalle violenze antisemite. Alla sua scuola crebbero Barend Brill e Abraham (“Appie”) De Vries, vincitore della seconda Maccabiade di Tel Aviv (1935) sconfiggendo nei pesi leggeri l’americano Solly Horstein.    

Lajos Czeizler (1893-1969) Nato a Heves, in Ungheria, il 5 ottonre 1893, Lajos Czeizler fu un calciatore (portiere) del Mtk Budapest (1908-’19) e in Germania dello Schwechat. Da tecnico ebbe una carriera decisamente più corposa e importante. Dopo aver allenato il Lks in Polonia (1923-’26 e 1935-’36) si trasferì in Italia guidando Udinese (1927-’28), Faenza (1928-’30), Catania (1932-’33) e Casale (1933-’34). Nel 1937 accettò un ingaggio del Karlskoge nella neutrale Svezia, e fu ciò a sottrarlo agli orrori della Shoah. Nel paese scandinavo si fermò un decennio lavorando con Hallstahammars (1939), Vasteras (1940) e Norkoping (1942-’48), col quale vinse 5 titoli nazionali nel 1943 e dal 1945 al ’48. Oltre che con il Norkoping, Czeizler conquistò altri scudetti in Italia, al Milan, nel 1951, lanciando il famoso trio svedese Gren-Nordhal-Liedholm, e in Portogallo, al Benfica, nel 1964. Teorico di un calcio spettacolare e d’attacco, dal 1953 al ’54 fece anche parte della Commissione tecnica a capo della nazionale italiana. Della sua esperienza al Milan, che aveva conquistato il suo ultimo scudetto nel lontano 1907, ha scritto Niccolò Mello: <<Czeizler costruì un Milan a sua immagine e somiglianza, spregiudicato, offensivo e non legato alla logica della razionalità e del risultato tipicamente italiani. I rossoneri tentavano di proporsi come eredi tattici del “Toro”e il comune denominatore che univa le due squadre era la guida tecnica ebraico-danubiana. Un’altra peculiarità di Czeizler era il rapporto molto umano e disponibile al dialogo con i giocatori […], sapeva ascoltare e consigliare: non era solo un abile tattico, ma anche un attento psicologo. Non a caso gli vennero affibiati i soprannomi di “Zio Lajos” e di “Buddha”>>.  Lajos Czeizlersi si spense a Budapest il 7 maggio 1969. 

Elka De Levie (1905-1976) Nata ad Amsterdam il 21 novembre 1905, figlia di Daniel e Kaatje Bilderbeek, Elka De Levie fu una delle cinque ginnaste ebree-olandesi che nel 1928 vinsero le Olimpiadi di Amsterdam nel concorso a squadre. L’unica di loro che scampò alla Shoah. Sposatasi il 3 ottobre 1929 con Andries Abraham Boas, ebbe due figli e riuscì a salvarli vivendo in un nascondiglio clandestino per l’intero periodo dell’occupazione nazista dell’Olanda. Elka De Levie si è spenta ad Amsterdam il 29 dicembre 1979 e, nel 1997, è stata inserita nell’International Jewish Sports Hall of Fame creata nel 1981. 

Philippe De Rotschild (1902-1988) Nato a Parigi il 13 aprile 1902, Philippe De Rotschild, figlio minore del banchiere e barone ebreo Henri, fu drammaturgo, sceneggiatore produttore cinematografico nonché sportsman di valore. Da pilota automobilista (celandosi dietro lo pseudonimo di Georges Philippe) si avvicinò alle corse tramite l’amicizia con Robert Benoist, e nel 1929 si piazzò al 2° posto nel Grand Prix di Le Mans. Nel 1929 giunse 4°, con la sua Bugatti T 35, nel Gran Premio di Monaco e vinse quello di Borgogna. La sua ultima corsa si ebbe nel 1930 alla 24 ore di Le Mans. Datosi agli sport invernali, e in specie al bob, con quello a 4 vinse la medaglia di bronzo nei mondiali del 1934. Selezionato dalla Francia per le Olimpiadi di Garmish-Parternkirchen (1936), col compagno di bob a 2 Jean Rheims, decise di boicottarle per denunziare le politiche antisemite del regime nazista. Si spense a Parigi il 20 gennaio 1988.  

Massimo Della Pergola (1912-2006) Nato a Trieste l’11 luglio 1912, Massimo della Pergola è stato un protagonista della storia economica del football italiano.  Rifugiato in Svizzera a causa delle leggi razziali, vi elaborò un progetto finalizzato a creare un concorso-pronostici incentrato sulle partite di calcio: la Sisal (“Sport Italia società a responsabilità limitata”), antenata del Totocalcio, che controllò dal  3 settembre 1945 al 18 aprile 1948, prima d’essere rilevata direttamente dal Coni che ne assunse l’esercizio. Giornalista pubblicista, nell’agosto 1943 per sfuggire ai nazisti dovette abbandonare Trieste trovando rifugio a Firenze, con la moglie Adelina Pinto e il figlio Sergio, prima presso la pensione “Quisisana” a Pontevecchio sul Lungarno, e poi dal mese d’ottobre a Sesto Fiorentino. Qui furono nascosti, grazie alla complicità del direttore sanitario, in una clinica psichiatrica. Successivamente, quando l’Ospedale venne requisito dai tedeschi e adibito a nosocomio militare,  i tre trovarono ripararono a Firenze, in via della Colonna, nell’abitazione della cattolica Livia Sarcoli. Il loro espatrio venne organizzato dal pastore valdese Tullio Vinay e dalla partigiana, anch’essa valdese, Maria Adelaide (“Gina”) Silvestri Sabatini. Entrati clandestinamente, attraverso il Monte Gheridone, in Canton Ticino il 25 dicembre 1943, i Della Pergola vennero separati: il figlio e la consorte furono internati nel campo di Tasch e Massimo in quello di Pont de la Morge. In questo campo Della Pergola escogitò il suo concorso e, dopo essere stato trasferito a Saint Cergue, riuscì a riunirsi alla famiglia a Tenero. Nel luglio 1945 poté finalmente rientrare in Italia, venendo assunto a “La Gazzetta dello Sport”. Intanto, però, la Shoah si era portata via molti suoi parenti e il fratello Steno, catturato a Lacubo Posta (Rieti) il 29 febbraio 1944, trasferito a Fossoli e da lì giunto ad Auschwitz il 10 aprile 1944. 

Pacifico Di Consiglio (1921-2006) Nato a Roma il 10 giugno 1921 da Alberto - un piccolo commerciante - ed Emma Sed, Pacifico Di Consiglio abitava a Sant’Angelo in Peschiera 28, vicino al Tempio maggiore del Ghetto di Roma.  Detto “Moretto”, quando entrarono in vigore le leggi razziali lavorava nel magazzino di tessuti e abbigliamento “Di Cori & Milano”. Con quei provvedimenti, oltre all’occupazione, perse anche la possibilità di allenarsi al pugilato nella palestra di piazza Lovatelli, presso la sede del fascio rionale, che frequentava insieme all’amico Angelo (“Angelone”) Di Porto. Un altro dei pugili del Ghetto romano con Leone (“Lelletto”) Efrati, Lazzaro (“Bucefalo”) Anticoli, Guglielmo (“Rebby”) Perugia, Giacomo Di Segni. Ma “Moretto” non si scoraggiò e, ha scritto Stefania Miccolis, <<pugile audace (continuò ad allenarsi da solo, anche quando lo buttarono fuori dalla palestra perché ebreo) utilizzava tutti i suoi i colpi, tutta la sua prestanza fisica, l’astuzia, l’agilità, la sua impavida tracotanza, l’instancabile resistenza per salvare i più deboli. Non si abbassava ai nazisti>>.  Al nazifascismo per Di Consiglio bisognava rispondere, non subire passivamente, e la boxe nel suo caso divenne un’arma di autodifesa e d’attacco. Di lotta partigiana.  Catturato più volte, fuggito altrettante, torturato in via Tasso e detenuto a Regina Coeli, combatté anche a Porta San Paolo, il 10 settembre 1943, e poì cercò dei contatti con la Resistenza. Iscrittosi al Partito d’Azione il 22 ottobre 1944, in precedenza, il 20 maggio 1944, essendo caduto in mano ai nazisti, in un trasferimento verso Fossoli riuscì a liberare il figlioletto (Romolo) del pugile Efrati e successivamente, durante l’inizio di quel viaggio in camion che l’avrebbe deportato in un Kl, scappò anch’egli col cugino. Pacifico non venne più ripreso, mentre il suo parente cadde colpito a morte nel tentativo di fuga. Tornato a Roma, “Moretto” riprese la sua battaglia “personale” contro il nazifascismo fino alla liberazione della capitale il 4 giugno 1944. Sposatosi con Ada di Segni, Pacifico Di Consiglio è scomparso a Roma il 31 dicembre 2006.

Giacomo Di Segni (1919-1995) Nato a Roma il 30 novembre 1919, Giacomo Di Segni fu un pugile dilettante ai vertici nelle categorie dei mediomassimi e massimi. Nel 1948 si classificò 5° nelle Olimpiadi di Londra (1948), e lo stesso fece nelle successive di Helsinki (1952). Nel 1949, a Oslo, Di Segni vinse il titolo europeo dei mediomassimi contro il cecoclovacco Ota Rademacher, ripetendosi, tra i massimi, in quelli di Milano del 14-19 maggio 1951, quando battè il tedesco federale Edgar Gorgas. Tra le altre sue importanti affermazioni vi fu anche il successo riportato nei primi Giochi del Mediterraneo tenuti ad Alessandria d’Egitto nel 1951.

Judith Deutsch (1918-2004) Nata a Vienna il 18 agosto 1918, Judith Deutsch fu una nuotatrice dell’Hakoah viennese che a quindici anni divenne campionessa austriaca dei 400 stile libero. Degna erede di Hedi Bienenfeld e Fritzi Lowi,la sua annata migliore fu il 1935 quando nuotava i 400 in 6’04”4 e stabilì 12 record nazionali sulle varie distanze del crawl. In quella stagione venne anche eletta migliore atleta austriaca dell’anno. Selezionata con le compagne di club Lucie Goldner e Ruth Langer per le Olimpiadi di Berlino (1936), la Deutsch compì un gesto clamoroso decidendo con loro di boicottarle. Di più, scrisse una lettera alla federazione austriaca di nuoto motivando così la decisione: <<Chiedo che il mio ritiro sia capito per le seguenti ragioni: per me sono ancora validi i principi che ho accettato facendo il giuramento richiesto per la preparazione olimpica. Non posso in quanto ebrea partecipare ai Giochi olimpici di Berlino perché la mia coscienza me lo proibisce. Dichiaro che questa è la mia decisione, presa liberamente e irrevocabile. La serietà di tale decisione mi è del tutto evidente perché sono consapevole che con essa io rinuncio al più alto riconoscimento sportivo: la possibilità di gareggiare nei Giochi olimpici. Chiedo che comprenderete, e che non si facciano pressioni per farmi agire contro la mia coscienza>>.  In risposta a questa presa di posizione la federazione squalificò a vita le tre atlete dell’Hakoah dichiarando decaduti i loro record <<a causa del serio danno arrecato allo sport austriaco>> e al <<palese disprezzo per lo spirito olimpico>>.  Una squalifica che, a seguito delle proteste internazionali, venne poi ridotta a due anni. La Deutsch con la sua famiglia lasciò comunque nel 1936 l’Austria trasferendosi in  Palestina, ad Haifa, dove esisteva l’unica piscina dove poter continuare l’attività sportiva. Lì riprese ad allenarsi e, in rappresentanza della Hebrew University, il 31 agosto 1939 vinse una medaglia nei campionati mondiali universitari. Nel 1999 la Deutsch fu invitata in Austria dal presidente della federazione nuoto Otmar Brix per reinserire ufficialmente il suo nome nell’Albo d’oro dei primatisti austriaci, e nel 2004 la sua storia e quella di Lucie Goldner e Ruth Langer è stata tradotta in un docu-film, Watermarks, del regista israeliano Yaron Zilberman. 

Fritz Donnenfeld (1912-1976) Nato a Vienna il 17 gennaio 1912, il calciatore Fritz Donnenfeld dal 1927 al ’30 militò nel Thalia Vienna e dal 1930 al ’36 nell’Hakoah Vienna, disputando anche una partita con la nazionale austriaca contro l’Ungheria il 7 ottobre 1934. Nella stagione 1936-’37 giocò col Maccabi Tel Aviv e, nel 1937-’38 e dal 1939 al ’41 e nel 1942-‘43, nell’Olympique Marsiglia. Oltralpe il suo nome fu francesizzato in Frédéric Donenfeld, e lì si unì alla Resistenza per poi, alla liberazione del paese, riprendere a calcare i terreni di gioco col Red Stars di Saint-Ouen dal 1944 al ’46.

Erno Erbstein (1898-1949)Nato a Nagyvarad il 13 maggio 1898, Erno (“Egri”) Erbstein fu un calciatore ungherese, diplomatosi in educazione fisica al Magyar testnevelesifoskio di Budapest e seguace delle teorie di Johan Huizinga, l’autore del classico Homo Ludens, che nella sua carriera sportiva, avendo anche lavorato da agente di borsa,  giocò da mediano nel Budapest atletikai club (1915-’24), nell’Olympia Fiume (1924-’25), nel Vicenza (1925-’26: 28 presenze e 2 gol) e nel Brooklin Wanderers (1926-’28).  Da allenatore, invece, sedette sulle panchine di “Fidelis” Andria (1927-’28), Bari (1928-’29 e 1932-‘33), Nocerina (1929-’30), Cagliari (1930-‘32), Lucchese (1933-‘38) e nel 1938 venne chiamato al Torino, per sostituire l’altro ebreo Gyula Feldmann, in qualità di Direttore tecnico (con Mario Sperone nelle vesti di allenatore). Coll’emanazione delle leggi razziali fasciste, Erno, con l’aiuto del presidente del Torino Ferruccio Novo, nel 1939 abbandonò l’Italia per Rotterdam avendo ottenuto un contratto con il Feyenoord. Un ingaggio favorito da una sorta di scambio col collega e amico Ignac Molnar, che lasciava la panchina del Feyenoord per allenare il Torino.  Tuttavia al confine tra Germania e Olanda la famiglia Erbstein venne respinta dai tedeschi, e quindi, dopo un periodo trascorso a Kleve, optòper un rientro in Ungheria, a Budapest, dove poteva contare sul sostegno del fratello Karoly e Novo gli assicurò la rappresentanza di alcune industrie tessili del biellese. A Budapest, col diffondersi dell’antisemitismo, Erbstein riuscì a far riparare la moglie Jolanda Hunterer e le due figlie Marta e Susanna in un pensionato cattolico retto da padre Pal Klinda e sotto la protezione del nunzio apostolico monsignor Angelo Rotta. Catturato dai collaborazionisti ungheresi, venne avviato a un campo di lavoro forzato da cui riuscì a fuggire con Béla Guttmann, e poi, grazie al diplomatico svedese Raoul Wallenberg del War refuge board (Wrb) e alla figlia Susanna, a mettersi in salvo prima dell’arrivo, il 13 febbraio 1945, dell’Armata rossa. Ritornando su queste travagliate vicende, la figlia Susanna ebbe a ricordare così il genitore: <<Mio padre mi ha dato la forza dei valori. Siamo stati educati secondo principi etici e non confessionali e l’eredità più forte che abbiamo ricevuto è la convinzione che il bene, alla fine, avrebbe avuto la meglio sul male […]. Anche quando siamo dovuti fuggire da Lucca, quando né a Torino, né a Rotterdam, né a Budapest siamo stati al sicuro dalla folle persecuzione nazista, in mio padre non ho mai percepito rabbia. Era un uomo saldo nella sua moralità e io, anche durante la guerra, non ho mai avuto paura perché sapevo che finchè ci sarebbe stato mio padre non mi sarebbe accaduto niente di male>>.  Scampato alla Shoah, Erno Erbstein non sfuggì a un destino beffardo morendo nella tragedia aerea di Superga, il 4 maggio 1949, nella quale scomparve l’intera squadra del Torino di cui, nel secondo dopoguerra, era tornato a rivestire il ruolo di Direttore tecnico.

Alojzy Erlich (1914-1992) Nato a Komanzca, nella Polonia meridionale, il 1° gennaio 1914, Alojzy (“Alex”) Erlich fu un giocatore di tennis tavolo della squadra ebraica Hosmonea di Lwow. Pongista di assoluto valore internazionale, nel 1934 raggiunse le semifinali dei campionati del mondo, nel 1935 vi vinse la medaglia di bronzo e nel 1936, ’37 e ’39 quella d’argento, perdendo le finali di Praga, Baden e Il Cairo rispettivamente con il cecoslovacco Stanislaw Kolar e due volte con l’austriaco Richard Bergmann. Riparato in Francia, il 12 giugno 1944 venne arrestato a Bourbon con l’accusa di appartenere alla resistenza e, il 31 luglio 1944, deportato ad Auschwitz (n. 63.264, e successivamente a Gross-Rosen e Dachau) dove gli fu assegnato un compito pericolosissimo: disinnescare bombe inesplose. Nel secondo dopoguerra Erlich, il cui padre venne ucciso a Leopoli e la madre nel campo di Treblinka, difese i colori della nazionale francese di ping pong e durante la sua carriera, oltre ai piazzamenti ottenuti nelle diverse edizioni dei mondiali, fu campione di Polonia (1934) e vinse gli internazionali di Francia (1938 e ’39), d’Inghilterra (1936 e ’51), d’Irlanda (1950 e ’51), d’Olanda (1951 e ’56), di Germania (1955) e di Svizzera in doppio (1950, ’51, ’53). Si spense a Saint-Denis il 7 dicembre 1992.  

Gyula Feldmann (1890-1955) Nato a Szeged il 16 novembre 1890, Gyula Feldmann, calciatore del Nemetzi Budapest (1906-’10), del Ferencvaros (1910-’13) e del Mtk (1913-’21), collezionò 10 presenze nella nazionale magiara e, tra il 1921 e il ’24, nel doppio ruolo di allenatore-giocatore militò anche nel Maccabi Brno. Notevole fu pure la sua carriera di allenatore in Italia, sedendo sulle panchine della Fiorentina (1930-‘31), del Palermo (1931-’34), dell’Inter-Ambrosiana (1934-’36) e del Torino (1936-‘38). Ammogliato senza figli, per le leggi razziali promulgate dal fascismo fu costretto a trasferirsi in Jugoslavia dove allenò lo S.K. Beograd (1938-’39) e poi l’MTK Budapest. Verso la fine del 1940, a Budapest, ebbe amputata una gamba, e ciò lo esentò dai campi di lavoro per ebrei riuscendo poi a nascondersi sino all’arrivo dell’Armata Rossa.  Morì nella capitale ungherese il 31 ottobre 1955. 

Lajos Fischer (1902-1978) Nato in Ungheria il 7 aprile 1902, Lajos Fischer fu un calciatore del Vac Budapest, col Mtk la squadra ebraica per eccellenza della capitale magiara. Portiere, dal 1924 al ’26 disputò anche 9 incontri con la nazionale ungherese. Attirato dal calcio americano, tra il 1926 e il ’30 giocò nel Brooklin Wandereres e nell’Hakoah All Stars. Chiuse la carriera nell’Hakoah Vienna e sopravvisse alla Shoah.

Gottfried Fuchs (1889-1982) Nato a Karlsruhe Il 3 maggio 1889, Gottfried Fuchs fu un calciatore del Karlsruhe dal 1908 al ’14, col quale vinse il campionato tedesco del 1910, e poi del Dusseldorf S.C. Internationale. Giocò anche, tra il 1911 e il ’13, in nazionale segnando 14 gol. Quasi tutti realizzati, addirittura 10, nella vittoria per 16-0 riportata dalla Germania sulla Russia nelle Olimpiadi di Stoccolma del 1912. Dieci reti che ne fecero il capocannoniere di quel torneo olimpico, eguagliando il danese Sofus Nielsen che nelle Olimpiadi di Londra del 1908 aveva anch’egli segnato 10 gol nell’incontro contro la Francia. Con l’inasprirsi delle persecuzioni antisemite, Fuchs riuscì a salvarsi riparando in Canada dove, a Montreal, si spense il 25 febbraio 1982.

Edoardo Gallico (1920-2013) Nato a Mantova il 26 novembre 1920, in gioventù Edoardo Gallico fu un atleta del locale Circolo della scherma avendo per maestro Fulvio Martinenghi. Dotato di eccellenti doti tecniche, prese parte ai campionati nazionali della Gioventù italiana del littorio (Gil) classificandosi 2° nella sciabola e venendo premiato, alla Stadio dei Marmi di Roma, dall’alto gerarca Fascista Renato Ricci. Nel 1938 conseguì la maturità classica, ma le leggi razziali gli impedirono l’accesso all’università e pertanto fu costretto ad espatriare per intraprendere gli studi in medicina a Losanna. In Svizzera si laureò campione universitario di sciabola, spada e fioretto e nel 1942 si aggiudicò anche il titolo di campione nazionale assoluto elvetico di spada a squadre. Un altro titolo universitario, nel fioretto, lo conquistò in Inghilterra dove si era trasferito nel 1950 quale vincitore di una borsa di studi presso l’Isituto dei tumori di Londra. In Italia Gallico conseguì la libera docenza in patologia generale nel 1951 e in patologia speciale medica e metodologia clinica nel 1955. Morì nel 2013.         

Giuliano Gerbi (1905-1976) Nato a Firenze il 26 dicembre 1905 da una famiglia della buona borghesia ebraica, il padre Edmo era agente di cambio a Livorno e la madre Iginia Levi era la sorella del filosofo Alessandro Levi, nonché cognata del deputato del Partito socialista Claudio Treves.  il fratello Antonello fu invece a capo dell’Ufficio studi della Banca Commerciale Italiana. Giuliano Gerbi si laureò alla “Bocconi” di Milano, ma fin da studente iniziò a scrivere sulle pagine sportive de “L’Ambrosiano”, quotidiano milanese del pomeriggio. Dal 1928 collaborò con l’Ente nazionale italiano audizioni radiofoniche (Eiar) divenendone uno dei più noti speaker sportivi, superato in popolarità solo da Nicolò Carosio. Specialista soprattutto di ciclismo fu il radiocronista della vittoria di Gino Bartali al Tour de France del ‘38, ma in agguato erano le leggi razziali e ciò che ne sarebbe seguito.  Estromesso dall’Eiar, emigrò in Francia, in Colombia e quindi a New York dove venne assunto per i servizi radiofonici dell’Office war for information. Forte delle sue esperienze all’Eiar, Gerbi dopo l’8 settembre 1943 prese a tenervi una rubrica con lo pseudonimo di Gino Verdi. Rubrica che il fascismo considerava pericolosa quanto i commenti di “Radio Londra”. Una vera spina nel fianco per la Repubblica sociale italiana (Rsi), che indusse i “repubblichini” a muovergli questi volgari attacchi: <<L’ex redattore sportivo Giuliano Gerbi, alias Mario Verdi, ha abbandonato le cronache sportive per le radio-concioni retribuite in dollari. Allora sarà come dire: dalla foratura alla foraggiatura, dall’Arena all’avena, dal Giro d’Italia al Tiro all’Italia>>.  Al rientro in patria dopo la seconda guerra mondiale, nel 1949 cercò vanamente di farsi riassumere alla Rai - subentrata all’Eiar di regime - per tornare a occuparsi di ciclismo.Tuttavia il nuovo potere mass-mediatico gli preferì Mario Ferretti: un giovane giornalista sportivo che vantava dei non trascurabili trascorsi fascisti. 

Lucie Goldner (1918-2000)Nata a Vienna nel 1918, Lucie Goldner fu una delle tre nuotatrici dell’Hakoah Vienna che optarono per il boicottaggio delle Olimpiadi di Berlino (1936). Da un punto di vista tecnico il suo valore è attestato dal record austriaco che stabilì nei 100 dorso, coperti in 1’26”, rimasto imbattuto per venti anni. Con l’Anschluss venne arrestata, ma grazie alla complicità d’un medico durante un interrogatorio in una stazione di polizia, riuscì a fuggire rocambolescamente. Per sottrarsi a una nuova cattura si tinse i capelli di biondo e cercò di raggiungere Berlino. Il vagone ferroviario su cui viaggiava era stipato di funzionari della Gestapo, nonché d’un pilota personale di Adolf Hitler. Questi fece il galante con lei e, avendo compreso di trovarsi di fronte a un’ebrea, la aiutò appuntandole una svastica dorata sul tailleur. Il suo viaggio a Berlino era finalizzato ad ottenere un passaporto per trasferirsi in Inghilterra, ma la pratica richiedeva alcuni giorni per essere formalizzata. Così decise di partire ugualmente in aereo per Londra anche senza permesso di soggiorno. La sua fortuna fu che s’imbarcò il sabato sera. In qualunque altro giorno della settimana sarebbe stata immediatamente respinta e reimbarcata per la Germania, viceversa quel volo non sarebbe ripartito che il lunedì successivo e così, col supporto di una hostess, raccontò i suoi travagli a un addetto all’immigrazione che ne prese a cuore il caso. Le chiese se conoscesse qualcuno a Londra che potesse ospitarla, e la Goldner fece il nome di Valentin Rosenfeld: un ex dirigente dell’Hakoah viennese. In Inghilterra fece la governante, lavorò al Ministero per gli approviggionamenti e sposò l’emigrante cecoslovacco Henri Gordian. Anche suo padre e il fratello riuscirono a fuggire dall’Austria, mentre la madre fu una vittima della Shoah. Al termine della seconda guerra mondiale andò a vivere col marito e la figlia in Cecoslovacchia e successivamente in Australia.   

Sandor Gombos (1895-1968) Nato a Sombor - oggi in territorio serbo - il 4 dicembre 1885, Sandor Gombos fu uno schermidore del Nemetzivivo club e dell’Istvan Tosza club, che contribuì a fondare nel 1925. Individualmente vinse i campionati europei di sciabola del 1926, ’27, ’30 e ’31 e a squadre, con la rappresentativa ungherese, del 1930 e ’31. Alle Olimpiadi colse la medaglia d’oro a squadre nei Giochi di Amsterdam (1928) e, nella stessa edizione, finì quinto nella prova individuale con 8 vittorie su 11 combattimenti.

Deszo Grosz (1898-1970) Nato in Ungheria il 3 dicembre 1898, Deszo Grosz costituisce un esempio di fedeltà al calcio di matrice ebraica e del ruolo recitato dai calciatori ebrei nello sviluppo di questo sport negli Stati Uniti. Egli, da 1921 al 1926, militò da difensore nel Vivo es atletikai club di Budapest, giunto 5° e 7° nei campionati del 1924 e ’25, e poi passo all’Hakoah di Vienna. A seguito della tournée sostenuta dai viennesi in America, vi si trattenne giocando via via nei Brooklin Wanderes (1926-’28 e 1929-‘31), Philadelphia F.C. (1928-’29), Hakoah Alla Stars (1929), New York Americans (1933-’37). In due occasioni, tra il 1924 e il ’26, vestì anche la maglia della nazionale ungherese.

Alfred Guth (1908-1996) Nato in Austria il 27 luglio 1908, Alfred Guth fu un pentathleta di buon livello che aveva il proprio punto di forza nelle prove di nuoto. In tal senso si aggiudicò i 1500 m. della Maccabiade del 1932. Prese anche parte nel pentathlon moderno alle Olimpiadi di Berlino (1936) classificandosi 33°. Si spense a Los Angeles il 13 novembre 1996. 

Arnold Guttmann (1878-1955) Nato a Budapest il 1° febbraio 1878, Arnold Guttmann fu atleta poliedrico. Campione magiaro dei 100 m., 400 ostacoli e di lancio del disco nel 1898, dal 1897 al 1907 giocò a calcio nel Budapesti tornai  club e allenò anche la nazionale ungherese. Il suo maggior talento lo espresse però nel nuoto, che iniziò a praticare con impegno a tredici anni dopo la morte del padre affogato nel Danubio. Alle Olimpiadi di Atene del 1896 vinse i 100 m. in 1’22”2 e i 1200 m. in 18’22”2. Il grande amore nutrito per questo sport lo portò, in occasione delle celebrazioni per i 1000 anni del regno d’Ungheria, a modificare il proprio cognome in “Hajos”, che in ungherese significa “uomo di mare”. Lasciato l’agonismo si dedicò all’architettura, riportando nel 1924 la medaglia d’argento per un progetto di stadio - col collega Dezso Lamber - delle Olimpiadi dell’Arte di Parigi. Il suo lavorò più noto resta, tuttora, la piscina costruita sull’isola Margherita a Budapest.

Béla Guttmann (1899-1981) Nato a Budapest il 27 gennaio 1899 da due insegnanti di danza, Abraham ed Eszter Szanto, Béla Guttmann (del nucleo familiare facevano parte anche la sorella Szeren e i fratelli Erno e Armin, giocatore del Torekves) a 16 anni si diplomò anch’egli istruttore di ballo e aprì per breve tempo - col fratello Armin - una scuola di danza a Udivek, oggi Novi Sad. Poi, quando più avanti si trasferì a Vienna per sottrarsi al “Terrore Bianco” antisemita seguito al fallimento della rivoluzione bolscevica di Béla Kun e giocare nell’Hakoah, s’integrò perfettamente nel clima della capitale austriaca, partecipando alla cosiddetta cultura dei caffè viennesi.  Da calciatore militò nel Torekevs (1917-’20), nel Mtk Budapest (1921-‘22), nell’Hakoah Vienna (1922-’26 e 1932-’33: 100 presenze, 8 gol), nei New York Giants (1926-’28: 83 presenze, 2 gol), nel New York Hakoah (1928-’29), nell’Hakoah All Stars (1929-‘30 e 1931’32 con 71 presenze) e nel New York Soccer (1930). In nazionale (1921-’24) disputò 4 incontri realizzando una rete. Anche da allenatore fu un autentico globe trotter. Fra le tante squadre che guidò, in Europa figurano l’Hakoah di Vienna (1933-’35), l’Enschede (1935-’37), l’Ujpest Budapest (1938-’39 e 1947, aggiudicandosi la “Mitropa Cup” del 1939), il Vasas Budapest (1945-‘46), il Ciocanul Bucarest (1946-‘47), il Kispest (1948), l’Apoel Nicosia (1953),  l’Honved Budapest (1956-’57), il Porto (1958-‘59 e 1973-‘74), il Servette Ginevra (1966-’67), il Benfica Lisbona (1959-‘62 e 1965-’66, con cui conquistò due coppe dei campioni nel 1961 e ’62), il Panathinaikos Atene (1967), l’Austria Vienna (1973); e in Sudamerica il Quilmes (1953), il San Paolo (1957-’58) e il Penarol di Montevideo (1962). In Italia sedette sulla panchina del Padova (1949-’50), della Triestina (1950-‘51), del Lanerossi Vicenza (1955-’56) e del Milan (1953-‘55), che lasciò in modo alquanto burrascoso dichiarando pubblicamente:<<Sono stato licenziato, anche se non sono né un criminale, né un omosessuale>>.  Una rottura simile a quella col Benfica del 1962, che gli fece proferire il famoso anatema a tutt’oggi convalidato: <<Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa e il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei campioni>>. Non bastasse, fu pure Commissario tecnico dell’Ungheria (1952) e dell’Austria (1964). Un incarico, quest’ultimo, da cui si congedò per gli atteggiamenti antisemiti manifestati nei suoi confronti. La stampa austriaca gli diede  dell’“impostore” e del “Rabbino delle meraviglie”, insulti a cui egli rispose con un’intervista al settimanale “Wiener Wochenblatt” in cui disse: “Ho sempre pensato che nello sport il fatto che uno fosse cattolico, protestante o ebreo non contasse. E adesso che invece sulla mia pelle sto provando l’esatto contrario, ne sono davvero addolorato>>.  In Italia con Guttmann non fu tenero Gianni Brera definendolo <<astuto ebreo ungherese>>.   Durante il periodo della Shoah Béla venne impiegato in vari campi di lavoro forzato (Vac, Erdovaros, Budapest) da cui, nel dicembre 1944, insieme a Erno Erbestein e altri quattro fuggiaschi riuscì a scappare evitando la deportazione in un Kl. Una sorte alla quale non sfuggirono invece suo padre Abraham, la sorella Szeren e il nipote Erwin, uccisi ad Auschwitz. Dopo la fuga e pure in precedenza, a salvarlo provvide colei che, il 21 novembre 1945, sarebbe divenuta sua moglie: Mariann Moldovan. Fu Mariann - di religione cristiana - a nasconderlo a Budapest (e non in Svizzera come si è a lungo creduto) nel sottotetto della casa del fratello Pal parrucchiere. Considerato il primo autentico allenatore “globale” nella storia del football, Béla Guttmann si è spento a Vienna il 28 agosto 1981 e il suo biografo David Bolchover,tratteggiandone il carattere, ne ha reso questa efficace raffigurazione: <<Testardo, polemico, schietto, diffidente, girovago, iconoclastico, impulsivo: Guttmann è stato l’archetipo dell’outsider, consapevole che i rappresentanti dell’establishment non lo avrebbero mai accettato, che disdegnava il loro giudizio e che seguì sempre e comunque le sue convinzioni. La storia della vita di Béla Guttmann è il simbolo del trionfo dell’uomo sulle avversità, l’esempio più fulgido nello sport di una generazione di sopravvissuti all’Olocausto che si emancipa dagli orrori del passato per raggiungere straordinari successi personali, diventando fonte di ispirazione per altri>>. 

Ludwig Guttman (1899-1980) Nato a Toszek, in Alta Slesia, il 3 luglio 1899, Ludwig Guttmann fu il primogenito di Bernard, un ebreo ortodosso che nel 1902 trasferì la famiglia da Weissenberg al centro minerario di Chorzow.  Qui Ludwig compì i suoi studi liceali, proseguiti in medicina a Breslavia, Wurzburg e Friburgo, dove si laureò nel 1924 e subì i primi episodi di antisemitismo. Pioniere della neurochirurgia in Germania, nel 1933, in quanto ebreo, fu escluso dalla docenza universitaria e gli fu solo consentito di poter continuare a lavorare nell’ospedale israelitico di Breslavia. Grazie alla sua fama ormai internazionale, nel marzo 1939 poté emigrare in Inghilterra, mentre i suoi genitori e fratelli morirono nel Kl di Terezin. E lì, Oltremanica, nel 1943 gli venne affidata la direzione del reparto specializzato in lesioni alla colonna vertebrale del nosocomio di Stoke Mandeville. Centro in cui erano ricoverati in prevalenza soldati con gravi lesioni di guerra. A Stoke Mandeville, il 29 luglio 1948, lo stesso giorno in cui a Londra si aprivano le Olimpiadi post-belliche, Guttmamm promosse nel parco dell’ospedale i primi Giochi per plegici. I partecipanti furono in tutto sedici impegnati nel tiro con l’arco, ma quelle gare fecero scuola e vanno ritenute all’origine delle odierne Paralimpiadi. 

Herschel Haft (1925-2007) Nato a Belchatov, in Polonia, il 28 luglio 1925, Herschel (detto “Hertzko”,“Harry” e talvolta usò pure lo pseudonimo di Moses Friedler) Haft fu uno di quei “pugili della morte” che scoprirono questo sport nell’agghiacciante dimensione dei Kl.  Deportato ad Auschwitz (n. 144.738) ed assegnato al sottocampo di Jaworzno, venne individuato da un capo delle SS che colpito dalla sua mole lo convinse a salire per la prima volta su un ring. Così divenne il più forte boxeur di Jaworzno sostenendovi ben 76 incontri. Durante la sua evacuazione e una marcia verso Auschwitz, riusci a fuggire. Nella fuga uccise un soldato tedesco e se ne procurò la divisa. Al pugilato, da uomo libero, tornò nel 1947, partecipando a un campionato dilettantistico tenuto a Monaco di Baviera. Lo vinse e venne premiato dal generale americano Lucios Clay. Nel 1948 emigrò negli Stati Uniti, dove iniziò la sua breve carriera professionistica (12 successi, 8 sconfitte) tra i pesi mediomassimi. Il debutto, venendo presentato sul ring come “la belva giudea”, avvenne il 6 agosto 1948 al “Thompson Stadium” di Staten Island con una vittoria su Jimmy Letty. Di seguito s’impose in tutti i primi dieci combattimenti sostenuti, e fu battuto solo all’undicesimo match, il 5 gennaio 1949, contro Pat O’Connor. Ottenne una nuova importante affermazione su Johnny Pretzie, il 30 maggio 1949, a Coney Island, ma la battuta d’arresto con il fortissimo Rocky Marciano, il 18 luglio 1949, al Rhode Island di Providence, pose fine alle sue velleità pugilistiche. Sposatosi nel 1949 con Miriam Wofsoniker, Haft aprì un negozio di fruttivendolo e si spense a Pembroke Pines, in Florida, il 3 novembre 2007.

Wilhelm Halpern (1895-1973) Nato a Vienna il 5 febbraio 1902, Wilhelm Halpern fu un calciatore cresciuto nel Metropol Vienna che, tranne due periodi durante il primo conflitto mondiale nei quali militò nell’Olomouc Sigma (1914-’16) e nel Klub Sportowy Cracovia (1916-’17), dal 1910 al 1923 giocò sempre da portiere nell’Hakoah viennese. Il 15 luglio 1917, a Vienna, esordì nella massima rappresentativa austriaca - con cui collezionerà altre 2 presenze - contro l’Ungheria (1-4), diventando così il primo calciatore dell’Hakoah chiamato in nazionale. La carriera di Halpern venne interrotta da un grave infortunio nel 1924, e l’anno dopo emigrò negli Stati Uniti dove lavorò da gioielliere e collaborò col Maccabi New York.

Moses Hausler (1901-1952) Nato a Solotvyn, in Ucraina, il 20 luglio 1901, Moses (“Moritz”) Hausler fu un calciatore che militò dapprima in alcune squadre minori della Romania e dell’Armenia per approdare poi all’Hakoah Vienna con la quale si affermò concorrendo alla conquista del titolo nazionale del 1925 e disputandovi, dal 1918 al ’26, 43 incontri con 13 gol. Tra il 1923 e il ’25 giocò inoltre 5 partite con la nazionale austriaca. Attirato dall’esperienza del calcio ebraico americano militò nel New York Giants (1926-‘28, 84 gare e 28 reti), nel New York Hakoah (1928-’29), nell’Hakoah Alla Stars (1929-‘31), nel New York Americans (1931). Rientrato in Europa tornò a figurare nell’Hakoah Vienna (1933-’34 e ’36), e nel 1935 allenò il Gabarnia di Cracovia. Collaboratore del giornale “Die Stunde”, Hausler scampò alla Shoah e si spense a Vienna il 24 dicembre 1952. 

Ladislaw Hecht (1909-2004) Nato a Zsolna, oggi Slovacchia, il 31 agosto 1909, Ladislaw Hecht fu uno dei migliori tennisti europei degli anni ’30. Vincitore delle Maccabiadi a squadre nel 1932 (con Klein), in quelle del 1935 si classificò terzo (con Sandor Gottesman), e dal 1930 al 1939 giocò 37 incontri (18 vinti, 19 persi) nella nazionale cecoslovacca di Coppa Davis di cui rivestì anche il ruolo di capitano. Nei principali tornei internazionali raggiunse il quarto turno del “Roland Garros” nel 1934, ’35, ’38, i quarti di finale a Wimbledon nel 1938 e il terzo turno degli U.S. Open nel 1939, ’41, ’42, ’51. Sfuggì alla Shoah lasciando la Cecoslovacchia tre giorni prima che venisse invasa dalle armate naziste. Trasferitosi negli Stati Uniti, morì a New York il 27 maggio 2004.   

Ben Helfgott (1929) Nato a Piotrkow Tribunalski, non lontano da Lodz, il 22 novembre 1929, Ben Helfgott con l’invasione nazista della Polonia dal novembre 1939 fu costretto a vivere con la famiglia nel ghetto della sua città.  Allo sgombero del ghetto, nel luglio 1943 venne deportato col padre a Buchenwald (n. 94.790), in seguito a Schleiben e, dall’aprile 1945, a Terezin. I due genitori e la sorella minore morirono nella Shoah, mentre l’altra sorella Mala sopravvisse al campo di Ravensbruck.  Ben al termine del secondo conflitto mondiale scelse di emigrare in Inghilterra e fu uno dei 750 giovani, i cosidetti “Bambini di Windermere”, che ebbero ospitalità Oltremanica. Divenuto un cittadino britannico, si dedicò al sollevamento pesi vicendone i campionati nazionali - nella categoria leggeri - dal 1954 al ’58. S’impose inoltre nelle Maccabiadi del 1950, ’53 e ’57, e prese parte alle Olimpiadi di Melbourne (1956) e Roma (1960).  

David Herbst (1896-1987) Nato a Podolinec - Slovacchia - il 21 maggio 1896, David (“Deszo”) Herbst entrò a far parte dell’Hakoah di Vienna col fratello maggiore Isidor dopo la Grande Guerra. Isidor ricoprì la carica di vice-presidente dell’Hakoah e alle sue dimissioni gli successe “Deszo”. Il quale, dal 1928 al 1938, ne fu il presidente. Entrambi ebbero un ruolo importante nella costruzione dello stadio della società a Krieau. Herbest sfuggì alle persecuzioni razziali, raggiungendo in Inghilterra la moglie Liesl il 29 marzo 1933. Ciò grazie alla rete di salvataggio e assistenza creata a Londra dall’ex dirigente dell’Hakoah Valentin Rosenfeld.

Lippo Hertzka (1904-1951) Nato a Budapest il 19 novembre 1904, Lippo Hertzka fu un calciatore (attaccante) dell’EsenerTurnerbund, del Mtk Budapest e della Real Sociedad di San Sebastian. Da tecnico ebbe una lunga carriera ai massimi livelli tra Spagna e Portogallo. Allenò nell’ordine: Real Sociedad (1923-‘26), Athletic Bilbao (1926-’27), Siviglia (1927-‘30), Real Madrid (1930-’32), Hercules (1932-’34), Granada (1934-‘35), Benfica (1935-’39 e 1947-‘48), Belenenses (1939-‘40), Academica (1940-‘41), Vila Real (1941-’42), Porto (1952-’45); Portimonense (1945-’46), Estoril Praia (1946-‘47). Con il Real Madrid, chiamatovi dal presidente Luis de Urquijo, conquistò nel 1931-’32 la prima Liga nella storia del club, e col Benfica vinse tre titoli nazionali consecutivi dal 1936 al ’38. Si spense in Portogallo, a Montemor-o-Novo, il 14 marzo 1951.  

Alois Hess (1903-1956) Nato in Austria il 3 gennaio 1903, Alois Hess fu dal 1919 al 1934 un calciatore dell’Hakoah di Vienna con la quale giocò, realizzando il terzo gol, anche nella storica affermazione ottenuta a Londra il 3 settembre 1923 contro il West Ham. Nel 1934 emigrò in Palestina militando nel Maccabi di Tel Aviv sino al 1937, quando chiuse la sua carriera agonistica da allenatore-giocatore. In seguito allenò il Beitar Tel Aviv (1937-’44 e 1954-’56) e, dal 1949, la nazionale israeliana, che guidò alla sua prima affermazione internazionale di sempre battendo 3-1 a Jaffa, il 30 luglio 1949, Cipro. Alois Hess si spense a Tel Aviv il 3 luglio 1956.

Imre Hirschl (1900-1973) Nato ad Apostag, in Ungheria, l’11 giugno 1900 Imre Hirschl fu un calciatore di Husos, Atletikai club e Ferencvaros Budapest. Durante la prima guerra mondiale si trasferì temporaneamente con i fratelli in Palestina, combattendo con le truppe britanniche contro i turchi nella campagna del Sinai, e nel 1929 emigrò in Sudamerica sfuggendo così alla Shoah. Da allenatore guidò in Argentina Gimnasia La Plata (1932-’34 e 1948), River Plate (1935-’38 e 1961), Rosario Central (1939-‘40), San Lorenzo (1941), Banfield (1943) e in Uruguay il Penarol (1949-’51 e 1956), innestando nel calcio di quel continente la cifra stilistica e tattica del danubiano e conquistando quattro titoli nazionali. Due con il River Plate di Buenos Aires (1936 e ’37), e gli altri col Penarol di Montevideo (1949 e ’51). Imre Hirschl morì a Buenos Aires il 23 settembre 1973.

Nikolaus Hirschl (1906-1991) Nato a Vienna il 20 marzo 1906, Nikolaus Hirschl - detto “Mickey” - proveniva da una famiglia profondamente religiosa, tanto che il padre - proprietario di una macelleria kosher - per ventisette anni fu il presidente della sinagoga di Kluchkygasse. Nikolaus iniziò la sua attività sportiva nella palestra del Maccabi Vienna in Jagerstrasse e poi passò all’Hakoah, giocandovi anche a calcio nel ruolo di portiere, ma soprattutto vincendo da quindicenne, con i nuovi colori biancoazzurri, i campionati nazionali giovanili di lancio del peso e disco. Di più, nel 1923 conquistò anche il titolo assoluto di pentathlon. Lo sport nel quale spiccarono maggiormente le sue doti fu comunque la lotta nella quale, nel 1924, s’impose nel campionato austriaco tra i pesi massimi. Una vittoria che replicò consecutivamente per altri dieci anni. Il suo capolavoro Hirschl lo compì nel 1932,quando alle Olimpiadi di Los Angeles si aggiudicò la medaglia di bronzo sia nella lotta libera che greco romana. Attivista socialdemocratico e membro dello Schutzbudler, spesso usò la sua forza in violenti scontri fisici con i nazisti. Una volta, durante una partita disputata al Dianabad da una squadra di pallanuoto dell’Hakoah, reagendo a delle provocazioni Hirschl scaraventò letteralmente in piscina un antisemita. Nel 1927 cercarono di pugnalarlo in un parco di Vienna, ma la risposta di Hirschl, pur essendo stato ferito alla mano sinistra, fu tale da impartire una severa lezione ai suoi aggressori. Nel marzo 1934, riconosciuto come ebreo per il suo abbigliamento, tre nazisti ne molestarono la fidanzata. Hirschl non si fece intimidire e procurò dei seri danni fisici a uno dei malcapitati. Questo episodio, rischiando una pena severa, gli fece lasciare l’Austria per la Palestina, venendo seguito alcune settimane dopo dalla fidanzata che presto divenne sua moglie. Fu ciò a farne un “salvato” della Shoah, poiché la gran parte dei suoi familiari rimasti a Vienna ne vennero inghiottiti. Dalla Palestina, Hirschl nel 1947 si trasferì in Austrialia e si spense il 10 ottobre 1991.

Leopold Sylvain Horn (1916-1995) Nato Sittard il 29 agosto 1916, Leopold (“Leo”) Sylvain Horn è stato un arbitro internazionale di football. Espulso dalla categoria arbitrale olandese durante l’occupazione tedesca in quanto ebreo, nel dopoguerra riprese la sua carriera giungendo ad arbitrare la famosa partita Inghilterra-Ungheria disputata a Wembley nel 1953 e due finali di Coppa dei campioni: quelle del 1957 e del 1962, vinte rispettivamente da Real Madrid e Benfica. Nel corso del secondo conflitto mondiale, dal 1941 aderì alla Resistenza col nome di battaglia di “Doctor Van Dongen”, salvando la vita di numerosi ebrei e partecipando con il gruppo partigiano “Stabz” a uno spettacolare assalto a un mezzo tedesco carico di munizioni. Leopold Sylvain Horn si spense ad Amstelveen il 16 settembre 1995. Tra le vittime della Shoah vi furono suo fratello Edcar e la cognata Catharina Levie. Edcar il 31 marzo 1943 venne trasferito dal campo di Vught a Westerbotk. Da qui giunse a Sobibor il 6 aprile 1943, venendovi ucciso il 9 aprile 1943. Catharina Levie fu deportata a Westerbork il 25 maggio 1943 e soppressa a Sobibor il 28 maggio 1943. Della famiglia Horn si salvarono l’altro fratello di Leo, George, e la sorella Sophie, sopravvissuta a Bergen Belsen ed Auschwitz. 

Martha Jacob (1911-1976) Nata a Berlino il 7 febbraio 1911, Martha Jacob fu una forte giavellottista che in questa specialità nel 1929 vinse il campionato nazionale tedesco. In seguito detenne i record inglesi di disco e giavellotto (1933), e nel 1937 riportò il titolo nazionale sudafricano sempre di giavellotto. Si classificò inoltre seconda nel peso (m. 11,25), disco (m. 34,90) e giavellotto (m. 31,79) nelle Maccabiadi del 1935. Avendo iniziato a gareggiare nel Bar Kochba berlinese, nel 1924 entrò a far parte dello Sport club Berlino affianco di Lili Henoch, e nel 1928 approdò allo Sport club Charlottenburg. Studentessa dal 1928 dell’Istituto universitario di educazione fisica (Dhfl), vi si laureò nel 1932, e, intanto, nel 1931 era stata chiamata in Inghilterra per allenare la nazionale femminile britannica di atletica leggera in vista delle Olimpiadi di Los Angeles (1932). Dopo che nell’aprile 1933 lo Sport club Charlottenburg bandì dalle sue fila gli atleti ebrei, la Jacob fuggì a Londra e poi emigrò in Sudafrica dove sposò Barney Shore. Si è spenta a Città del Capo il 13 settembre 1976.

Federico Jarach (1874-1951) Nato a Torino il 23 giugno 1874, Federico Jarach nel 1888 entrò all’Accademia navale di Livorno e, lasciata nel 1899 la marina militare, si trasferì a Milano dove nel 1907 creò una florida industria meccanica: la Società Anonima Robinetterie Riunite.  Richiamato in marina per la guerra di Libia, ne uscì col grado di capitano di corvetta e l’appellativo di “Comandante” per il suo carattere forte e deciso. Nel 1919 divenne presidente della Federazione nazionale dell’industria meccanica e metallurgica, ricoprendo questo ruolo sino al 1933. Intanto, nel 1931 fu eletto presidente della Comunità ebraica di Milano, e nel 1933 fondò il Comitato di assistenza per gli ebrei profughi dalla Germania. Ancora: dal 1937 presiedette l’Unione delle comunità israelitiche italiane (Ucii) e, dopo che con le leggi razziali del ’38 il Comitato per l’assistenza agli ebrei tedeschi era stato trasformato in un analogo organismo per quelli italiani, a seguito del suo scioglimento decretato dal fascismo il 15 agosto 1939 Jarach decise di dimettersi dalla presidenza dell’Ucii. A Milano istituì una Scuola superiore ebraica, attiva dal 7 novembre 1938 al 1943, per gli studenti espulsi dagli istituti pubblici, e dal 1937 al ’39, quando dovette lasciare pure tale incarico, presiedette la Canottieri “Olona” milanese. Durante il suo mandato all’”Olona” il “Ddue senza” della società, composto da Mario Lazzati ed Ermenegildo Manfredini, si laureò campione d’Italia nel 1937 (Pallanza) e 1938 (Como) e, il 16 agosto 1937, ad Amsterdam, d’Europa.  Federico Jarach si spense a Milano il 24 ottobre 1951.        

Richard Kadmon (1900-1971) Nato a Vienna il 30 settembre 1900 da Ing Moritz Mosche - un ebreo sefardita di Belgrado - e da Malvine Garofani - pianista e insegnante di musica - Richard (detto “Riki”) Kadmon fu, con Nikolaus Hirschl, uno dei più forti lottatori dell’Hakoah viennese. Con le persecuzioni razziali riuscì a lasciare in tempo l’Austria e riparò in Palestina dove aprì una palestra di lotta. Nel secondo dopoguerra ritornò a Vienna, morendovi il 5 febbraio 1971.Il padre di Richard fu deportato a Terezin nel 1942 e venne ucciso ad Auschwitz nel 1944, mentre suo fratello Otto, un avvocato della “Rote Hilfe”, fuggì alla Shoah emigrando negli Stati Uniti. La sorella Stella (Vienna, 16 luglio 1902 - Vienna, 12 ottobre 1989) lo raggiunse invece in Palestina, scappando attraverso Jugoslavia e Grecia, e a Tel Aviv, l’8 aprile 1940, riprese la sua attività di cabarettista politico-letteraria. La stessa che l’aveva resa famosa a Vienna col suo “Dierliebe Augustin” ospitato dal Café Prinkel. Vi aveva debuttato il 9 novembre 1931 e la sua ultima rappresentazione andò in scena, prima della sospensione imposta dall’Anschluss, il 9 marzo 1938. 

Felix Kaspar (1915-2003) Nato a Vienna il 14 gennaio 1915, Felix Kaspar fu un pattinatore artistico su ghiaccio di grande talento. Campione del mondo nel 1935, ’37 e ’38, alle Olimpiadi invernali naziste di Garmish-Partenkirchen del 1936 vinse la medaglia di bronzo del singolo finendo alle spalle del compagno di nazionale Karl Schafer e del tedesco Ernst Baier. A seguito dell’annessione dell’Austria al III Reich si rifugiò in Australia e poi negli Stati Uniti, divenendo un famoso istruttore e, tra gli altri, allenò anche il giapponese Nozomi Watanabe.

Elias Katz (1901-1947) Nato a Turku il 22 giugno 1901, il finlandese Elias Katz vinse i 3000 m. a squadre - con Paavo Nurmi e Ville Ritola - alle Olimpiadi di Parigi (1924). Giochi olimpici nei quali fu pure medaglia d’argento nei 3000 siepi (9’44”0), sconfitto dal connazionale Ritola (9’33”6). Nel 1924 si trasferì a Berlino, dove gareggiò per il club ebraico Simone Bar Kockba. Con l’ascesa al potere del nazismo e l’acuirsi dell’antisemitismo riuscì a lasciare in tempo il paese. Alla conclusione del secondo conflitto mondiale andò a vivere in Palestina e divenne un allenatore del Maccabi. Morì nel corso della guerra civile palestinese, il 24 dicembre 1947, a Gaza, da cineoperatore al servizio dell’esercito inglese.     

Agnes Keleti (1921) Nata a Budapest il 9 gennaio 1921, il vero cognome di Agnes Keleti era Klein. A sedici anni vinse il suo primo campionato ungherese di ginnastica: uno sport che associava allo studio della musica, risultando anche una violoncellista di talento. Con il crescere delle persecuzioni antiebraiche dovette interrompere la sua attività sportiva e riuscì a salvarsi grazie alla perfetta contraffazione dei suoi documenti d’identità e fingendosi una contadina. Durante quel periodo fece anche la domestica e poi lavorò in una fabbrica che produceva munizioni. La madre e sua sorella vennero sottratte allo Shoah grazie all’intervento del diplomatico svedese Raul Wollenberg, mentre il padre e lo zio furono uccisi ad Auschwitz. Nel secondo dopoguerra Agnes poté riprendere appieno il suo impegno agonistico, culminato nella conquista della medaglia d’oro al corpo libero nelle Olimpiadi di Londra del 1948. La sua esplosione si ebbe tuttavia nella successiva edizione di Helsinki (1952). In Finlandia si affermò nella trave, nelle parallele asimmetriche, a squadre e nuovamente nel corpo libero. Infine nel 1954, ai campionati del mondo di Roma, si aggiudicò la prova alle parallele asimmetriche. Nel corso delle Olimpiadi di Melbourne (1956), che si tennero quasi in contemporanea con l’intervento militare sovietico in Ungheria, insieme a 44 altri atleti magiari chiese asilo politico in Australia, e nel 1957 si trasferì nello stato d’Israele.      

Vilmos Kertesz (1890-1961) Nato a Budapest il 21 marzo 1890, Vilmos Kertesz fu un calciatore (centrocampista) del Mtk Budapest nel quale militò dal 1908 al ’24 (257 presenze, 53 gol). In nazionale, dal 1909 al ’24, disputò 47 partite con 11 reti. Diventato allenatore guidò il Vasas Budapest (1926-’30) e il Ripensia Timisoara. Si spense il 30 novembre 1961. Pure i suoi due fratelli giocarono a calcio a buon livello. Gyula Kertesz (1888-1982), nato a Kiskalna il 29 febbraio 1888,  sviluppò la sua intera carriera - dal 1906 al ’14 - nel Mtk. Nella nazionale ungherese scese in campo in un’unica occasione nel 1912. Come Vilmos, chiusa la parentesi agonistica si dedicò  all’allenamento sedendo sulle panchine di Basilea (1928-’30), Amburgo (1931-’32) e Lipsia (1932-‘33). Emigrato negli Stati Uniti, dove morì il 1° maggio1982, lavorò nell’industria discografica. Il terzo dei Kertesz, Adolf (1892-1920), perse la vita in un incidente automobilistico il 20 novembre 1920. In precedenza, dal 1909 al ’20, aveva anch’egli vestito la maglia del Mtk e 11 volte quella dell’Ungheria (1911-’20).            

Ralph Klein (1931-2008) Nato a Berlino da una famiglia benestante il 29 luglio 1931, Ralph Klein è stato un giocatore e soprattuto allenatore di basket di valore internazionale. Con l’avvento del nazismo, sua sorella Ruth e il padre, che vi perse la vita, furono deportati ad Auschwitz. Ralph con la madre e il fratello riuscirono invece a fuggire in Ungheria, dove vennero salvati dal diplomatico svedese Raoul Wallenberg. Nel 1951 i Klein sopravvissuti emigrarono in Israele, e qui Ralph divenne un cestista del Maccabi Tel Aviv per il quale giocò 160 partite realizzando 2701 punti. Ritiratosi dall’agonismo ne divenne il tecnico, portandolo a vincere la Coppa dei campioni nel 1977. Altrettanto significativo è stato il secondo posto ottenuto da Klein, in qualità di tecnico della nazionale, nei campionati europei del 1979. In seguito allenò anche la massima rappresentativa tedesca, venendo fatto oggetto talvolta di rigurgito antisemiti, classificatasi quinta nelle Olimpiadi di Los Angeles (1984) e negli europei del 1985. Raul Klein si è spento a Tel Hashomer il 7 agosto 2008.

Noah Klieger (1925-2018) Nato a Strasburgo il 31 luglio 1925, Noah Klieger all’avvento del nazismo si trasferì con la famiglia dalla Germania alla Francia e nel 1938 in Belgio.  All’invasione tedesca del Belgio, concorse a fondare un’organizzazione clandestina sionista che doveva organizzare l’espatrio dei cittadini ebrei, e in questo modo riuscì a salvare circa 270 vite. Catturato nel 1942, venne dapprima internato a Mechelen e, nel gennaio 1944, deportato ad Auschwitz, dove divenne uno dei pugili del campo. All’evacuazione di Auschwitz, Klieger intraprese una delle “marce della morte” per raggiungere il Kl di Mittelbaum-Dora e, il 4 aprile 1945, dovette intraprenderne un’altra, durata dieci giorni, per il trasferimento a Ravensbruck. Campo liberato dall’Armata Rossa il 29 aprile 1945. Divenuto giornalista, seguì numerosi processi ai criminali nazisti tenuti in Francia, Belgio, Germania. Nel 1947 emigrò in Palestina lavorando per lo “Yedioth Ahronoth”, e nel 1953 assunse il ruolo di corrispondente da Israele del giornale sportivo francese ”L’Equipe”. Inoltre, dal 1951 al 1968, presiedette la sezione basket del Maccabi Tel Aviv.  Su Klieger il regista Uri Borréda ha girato il documentario Boxer pour survivre ultimato nel 2016.

Kalman Konrad (1896-1980) Nato a Backa Palanka il 23 maggio 1986, Kalman Konrad fu un calciatore con delle medie realizzative sbalorditive. Attaccante, giocò nel Mtk Budapest dal 1913 al ’19 e nel 1927-’28 segnandovi 78 gol in 77 partite di campionato. Militò anche nel Wiener (1920-’26) e nei Brooklin Wandereres (1926-’27). Con la nazionale ungherese invece scese in campo 13 volte con 2 reti. Da tecnico allenò Bayern Monaco (1928-’30), Zurigo (1930-’31), Slavia Praga (1933-‘35, con cui vinse il titolo cecoslovacco nel 1935), Rapid Bucarest (1936-’37) e Zdenica (1937-’39). Allo scoppio della seconda guerra mondiale e con l’acuirsi delle persecuzioni razziali, si trasferì in Svezia dove ebbe incarichi da allenatore all’Orebro (1939-’42), all’Atvidaberg (1942-’47), al Malmoe (1947-‘50, vincendo il campionato del 1950). Si spense a Stoccolma il 10 maggio 1980. Anche il fratello di Kalman,  Jeno Konrad (1894-1978), fu un giocatore (difensore) di valore. Nato a Backa Palanka il 13 agosto 1894, esordì nel A.k. Budapest (1909-’11) e poi proseguì la sua crescita nel Mtk (1911-’19), nell’Austria Vienna (1919-’24 e 1925-’26) e nel First Vienna (1924-’25). In nazionale si limitò a un’unica presenza nel 1915. Assai più intense risultarono le sue esperienze da allenatore. Iniziò con l’Austria Vienna (1925-’26 e 1935-’36, aggiudicandosi lo scudetto del 1926 e la “Mitropa Cup” del 1936 battendo lo Sparta Praga) e di seguito guidò Wacher Vienna (1926), Chinezul Tamisoara (1927-’29), Hakoah Vienna (1929-’30), Norimberga (1930-’32), Ripensia Timisoara (1932-’33), Zborojovska Brno (1934-‘35). Quando fu alla guida del Norimberga, Jeno venne violentemente attaccato dal settimanale nazista “Der Sturmer” che nel 1932 gli aizzò contro i tifosi invitandoli a comprargli un biglietto di viaggio per Gerusalemme.  Ancora: trasferitosi in Italia alla Triestina (1937-‘38), mentre l’allenava fu colto dalle leggi razziali fasciste e dovette lasciare il paese per la Francia sistemandosi all’Olympique Lillois. Infine chiuse la sua esperienza calcistica europea allo Sporting Lisbona (1939-’40). Emigrato con i familiari negli Stati Uniti, morì a New York il 15 luglio 1978.

Zsuzi Kormoczy (1924-2006) Nata a Budapest il 26 ottobre 1924, Zsuzi Kormoczy sfuggì alla Shoah e nel secondo dopoguerra potè diventare una delle più forti tenniste degli anni ’50 figurando tra le prime dieci al mondo nel 1953, ’55, ’56, ’58, ’59, ’60 e ‘61. Nel 1958, battendo 6-4, 1-6, 6-2 Shirley Bloomer, si aggiudicò il torneo parigino del “Roland Garros”, di cui fu finalista anche nel 1959. Vinse inoltre gli Internazionali romani d’Italia nel 1960, dopo averne raggiunto la finale pure nel ’56, sconfiggendo Ann Haydon-Jones 6-4, 4-6, 6-1. Si è spenta a Budapest il 16 settembre 2006. 

Ignaz Hermann Korner (1881-1944) Nato in Moravia il 10 dicembre 1881, Ignaz Hermann Korner studiò medicina (diventando un dentista assai stimato) a Vienna, dove entrò in contatto col “giudaismo muscolare” attraverso le associazioni studentesche ebraiche.  Korner assolse un ruolo fondamentale nella fondazione e nei primi anni di vita dell’Hakoah Vienna, di cui ricoprì la presidenza dal 1919 al 1928. Fu anche un dirigente apicale della federazione calcistica austriaca (Ofb), occupandosi in particolare della sua commissione medica. Korner accompagnò l’Hakoah nelle sue due tournée americane: la prima, nel 1926, risultò estremamente positiva  sia negli aspetti sportivi che economici, anche se una parte dei suoi migliori elementi si fermò a giocare in club locali; mentre la seconda, nel ’27, determinò una profonda crisi della sua sezione calcistica specie sotto il profilo finanziario. Korner si assunse la responsabilità di questo fallimento e rassegnò le dimissioni da presidente. Di più: ciò lo indusse a reputare il professionismo incompatibile con gli ideali dello sport sionistico. Dal 1932 Korner entrò a far parte del Consiglio della comunità ebraica viennese quale rappresentante della componente sionista e, a datare dal 1930, costituì un’agenzia di viaggi specializzata nelle rotte verso la Palestina, diventando inoltre un rappresentante della “Palestine Oriented Lloyd”. In particolare promuoveva viaggi, per il Purim e la Pasqua ebraica, da trascorrersi a Gerusalemme con partenza da Trieste. Nel 1938 le date di effettuazione di questi trasferimenti, rispettivamente il 9 marzo e il 6 aprile, coincisero con l’Anschluss e ciò contribuì a salvare numerose vite di ebrei viennesi. Ignaz Hermann Korner, che riuscì a sottrarsi alla Shoah, si spense in Palestina nel 1944.

Jozsef  Kunstler (1897-1977) Nato a Budapest il 3 luglio 1897, Jozsef Kunstler fu un calciatore dello Sportklub Nemetzi (1915-’18), dell’Union Altona (1918-’22) e dell’Ujpest Budapest (1922-’24). Da allenatore guidò la nazionale della Grecia nel 1935-’36 e, a livello di club, il Panathinaikos Atene (1928-’34 e 1937-’39, conquistando il campionato greco del 1930) e l’Apoel Nicosia (1934-’37, 1939-’41 e 1945-’51, vincendo il titolo cipriota consecutivamente dal 1936 al ’40 e dal 1947 al ’49).    

Izidor Kurschner (1885-1941) Nato a Budapest il 29 giugno 1885, Izidor - detto “Dori” - Kuschner fu un calciatore (difensore) del Mtk Budapest dal 1904 al 1913 e, tra il 1907 e il 1911, giocò pure cinque gare con la nazionale ungherese. Ancora più importante risultò la sua carriera da allenatore. Dopo aver seduto sulla panchina del Mtk nel 1918-19, venne ingaggiato nel 1919-’20 dallo Stuttgarter Kickers e poi, via via, da Norimberga (1920-‘21), Eintracht Francoforte (1921-‘22), Nordstern Basilea (1922-’24), Schwarz Weiss Essen (1924-‘25), Grasshoper Zurigo (1925-’34), Young Boys Zurigo (1934-‘35). Nel 1924 allenò anche la nazionale elvetica; col Norimberga vinse un titolo nazionale tedesco, e ben sette svizzeri col Grasshopper. Con il diffondersi dell’antisemitismo in Europa, nel 1937 emigrò in Brasile per guidare il Flamengo e nel 1939-’40 si accasò al Botafogo introducendovi i nuovi metodi di allenamento europei e il modulo tattico WM.  Morì a Rio de Janeiro, colpito da infarto, l’8 dicembre 1941. 

Shaul Ladany (1936) Nato a Belgrado, da Dyonis e Sofia Kossovitz il 4 aprile 1936, Shaul Ladany nel 1944 fu arrestato coi genitori e le due sorelle a Budapest, e la sua vicenda s’inserisce in una pagina peculiare della Shoah: il cosiddetto “trasport Kasztner”.   Per degli accordi stabiliti tra l’ebreo-ungherese Rudolf Kasztner, Adolf Eichmann e Kurt Becher (emissario di Eichmann a Budapest), dietro il pagamento di 1000 dollari a testa vennero salvati 1648 cittadini ebrei su un totale di 1686 inizialmente pattuiti. L’accordo prevedeva che questo contingente venisse trasferito da Budapest al Kl di Bergen-Belsen, per poi proseguire verso un paese neutrale. Il convoglio partì dalla capitale magiara il 30 giugno 1944 ed incontrò una prima seria difficoltà al confine ungherese. Il capostazione del posto di frontiera non intendeva credere che i vagoni dovessero transitare per Auschpitz, una località del protettorato della Moravia, e non verso Auschwitz dove il contenuto del loro “carico” appariva più probabilmente diretto. Una “p” invece di una “w” che poteva fare la differenza tra la vita e morte. Il convoglio venne quindi bloccato per due giorni per ulteriori verifiche. Superato questo primo problema, il “trasporto Kasztner” giunse a Bergen-Belsen l’8 luglio 1944 e qui, Shaul e i suoi familiari, attesero un lungo via libera. Solo il 7 dicembre 1944 i circa 1350 ebrei ancora trattenuti poterono infatti ottenere la liberazione, raggiungendoun campo di raccolta a Caux, nei pressi di Montreux in Svizzera. Neppure gli elvetici tuttavia si dimostrarono particolarmente ospitali. Al momento di lasciare il campo per Basilea, le autorità cantonali presentarono ai Ladany il conto da saldare per la loro permanenza e il mantenimento nel campo. Nel 1948 Shaul, che nella Shoah perse i due nonni materni ad Auschwitz, si trasferì con la famiglia in Israele iniziando a praticarvi l’atletica leggera. Marciatore, nel 1963 vinse il suo primo titolo nazionale e in seguito prese parte, sulla 50 km., a due edizioni dei Giochi olimpici classificandosi 24° (5h. 01’ 6”) a Città del Messico (1968), e 19° (4h. 24’ 38”) a Monaco di Baviera (1972). Il 5 settembre 1972, nel corso delle Olimpiadi bavaresi, riuscì a sfuggire al sequestro di atleti israeliani compiuto dai terroristi palestinesi di “Settembre Nero”. 

Kurt Lamm (1919-1987) Nato a Salmunster, in Germania, il 10 marzo 1919, Kurt Lamm fu un calciatore del F.c. Schmalnau e del Borussia Fulda, e si sottrasse alla Shoah emigrando negli Stati Uniti nel 1936. Qui giocò nel Prospect Unity, nel New York Americans, nello S. c. Eintracht e nel New York Haokah. Di quest’ultima squadra fu anche allenatore per 14 anni vincendo tre campionati dell’American soccer league (Asl) nel 1957, ’58 e ’59. Nel 1961 allenò la nazionale statunitense, dal 1959 al ’63 fu vicepresidente dell’Asl e, dal 1963 al ’68, suo presidente.   

Primo Lampronti (1917) Nato Ferrara il 2 dicembre 1917 da Adolfo e Barbara Cavallari, Primo Lampronti fu un pugile dilettante di valore. Cresciuto in via Vittoria, nei pressi della sinagoga sefardita ferrarese, tra i suoi antenati annoverava il famoso Isacco Lampronti (1679-1756): l’autore dei Pachadjicchack (“insegnamenti di Isacco”). Il padre era un modesto venditore ambulante, e Primo si accostò alla boxe - da peso piuma naturale - anche con la speranza di migliorare la propria condizione sociale. Boxeur della “ViribusUnitis” di Ferrara, nella quale facevano scuola i maestri Nando Strozzi (che in seguito parteciperà alla Resistenza a Rovigo) e Beppe Salmaso, era detto “Maglia gialla” per l’abitudine di portare sempre tali colori negli allenamenti. La sua carriera dilettantistica si sviluppò dal 1933 al 1938, e durante questo arco cronologico disputò circa un centinaio d’incontri combattendo pure in Germania e Polonia e affrontando i forti Biagini, Chistolini, Cortonesi (futuro campione d’Europa fra i professionisti), Mangialardo, Montanari. Le leggi razziali del ’38 lo costrinsero ad abbandonare il pugilato e venne anche licenziato dall’amministrazione provinciale presso cui era impiegato. Ottene un lavoro solo dall’antifascista ferrarese Bianconi e un’opportunità gliela diede pure Giorgio Bassani. Questi, allontanato dal liceo pubblico “Ludovico Ariosto” in cui insegnava, proseguì la sua docenza per i soli studenti ebrei nell’asilo israelitico di via Vignatagliata 79. E proprio Bassani chiamò lì, ad insegnare educazione fisica e delle forme di autodifesa, Lampronti. Al riguardo ha ricordato Cesare Moisè Finzi: <<Dal 1940 al 1943 è stato il mio insegnante di educazione fisica; nella palestra della nostra scuola ci stimolava negli esercizi su trave, sbarra, pertica, cavallo nell’intento di renderci fisicamente più forti ma anche agili, ma mai ci ha fatto marciare (la marcia era l’attività preferita ed imposta dal regime fascista che voleva tutti inquadrati e rigidamente obbedienti)>>.  L’amicizia con Lampronti costituì probabilmente per Bassani anche una fonte d’ispirazione letteraria. Ne Gli occhiali d’oro (1958), infatti, la figura di Enrico Deliliers sembra trarre spunto da Lampronti laddove si può fra l’altro leggere di quell’” Eraldo” <<che nel ’35 aveva vinto il campionato regionale di boxe, categoria allievi, pesi medi, e a parte questo era un bellissimo ragazzo, alto un metro e ottanta e con un volto e un corpo da statua greca, un reuccio locale vero e proprio>>.  Lampronti, in quanto ritenuto attivista del Partito d’azione, venne arrestato col fratello Teodoro e Giorgio e Matilde Bassani il 28 maggio 1943. E un nuovo arresto subì anche dopo l’8 settembre 1943 <<perché - recitava il rapporto dei Regi Carabinieri - sorpreso a fissare i seguenti manifesti: “Sappiate che la rovina de l’Italia è stato il fascismo e i tedeschi”>>.  Fuggito a Roma, prese parte alla liberazione della città operando con i Gruppi d’azione patriottica (Gap). Tornato a Ferrara dopo il 25 aprile 1945 cercò senza fortuna di tornare al pugilato e, di concerto, divenne il primo segretario della sezione del Partito comunista di Borgo San Giorgio. Più avanti si trasferì a Torino dove allenò nella sezione pugilistica della polisportiva “Libertas”.

Kurt Landauer (1884-1961) Nato a Planneg il 28 luglio 1884, Kurt Landauer costruì la sua fortuna economica cominciando da capo della raccolta pubblicitaria del princiale quotidiano di Monaco di Baviera: il “Munchner Neueste Nachrichten”. La sua esperienza nel mondo del calcio iniziò invece nel 1901 da giocatore del Bayern Monaco: un club, come il F. C. Nurberg e l’Eintracht Frankfurt, cofondato da ebrei. Nel 1913 ne divenne il presidente mantenendo tale carica sino allo scoppio della guerra nel 1914. Tornato a presiederlo nel 1919, tranne una parentesi nel 1921-’22, poté restarvi sino  22 maggio 1933, quando con la salita al potere del nazismo venne costretto a dimettersi in quanto ebreo. Il 10 novembre 1938 venne arrestato e deportato a Dachau. In questo KL rimase 33 giorni e poi, probabilmente grazie alla sua importante rete di relazioni, venne rilasciato. Il 15 marzo 1939 riuscì a riparare in Svizzera raggiungendovi Otto Beer - l’ex responsabile delle squadre giovanili del Bayern - e sfuggendo così alla Shoah. Assai amato dai suoi giocatori, nel 1940, in occasione d’una amichevole giocata a Basilea dal Bayern contro la nazionale elvetica, questi gli resero omaggio. Un gesto duramente stigmatizzato dalla Gestapo, che minacciò delle ritorsioni nei confronti dei calciatori che se ne erano resi protagonisti. Dal 1947 al ’51 Kurt Landauer ritornò a presiedere il Bayern, e si spense a Monaco di Baviera il 21 dicembre 1961. Tre suoi fratelli e una sorella furono vittime dell’Olocausto.

Ruth Langer (1921-1999) Nata a Vienna il 21 maggio 1921, Ruth Langer, nuotatrice dell’Haoak Vienna, boicottò con la Deutsh e la Goldner, le Olimpiadi naziste di Berlino per le quali era stata selezionata. All’età di quattordici anni vinse i titoli e stabilì i record nazionali dei 100 e 400 crawl:  una distanza,  quest’ultima, che nel 1936 nuotava in 6’10”6. La Langer riuscì a fuggire dall’Austria nel 1938, e raggiunse l’Inghilterra nel 1939. Qui, nel luglio dello stesso anno, vinse il campionato sulle lunghe distanze disputato nelle acque del Tamigi a Londra. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale venne evacuata da Londra a Bath con la qualifica di “straniero nemico”. Un provvedimento bellico su cui le autorità ritornarono, consentendole di rientrare nella capitale dove nel 1943 si sposò con John Lawrence avendone un figlio e una figlia.

Ephraim Fischel Lebowitz (1932-1994) Nato a Arad, in Romania, il 3 giugno 1932, sesto di sette figli d’una famiglia ebrea ortodossa, Ephraim Fischel Lebowitz sfuggì alla Shoah riparando in Cecoslovacchia, Olanda, Irlanda. Emigrato negli Stati Uniti - a Kansas City e successivamente a New York -, nel 1951 grazie a una borsa di studio americanizzò le proprie generalità in Fred Lebow e intraprese un’attività di successo nel settore dell’abbigliamento. Appassionato di sport, iniziò a dedicarsi al podismo per migliorare le sue prestazioni di tennista, e nel 1969 s’iscrisse al Road Runner Club di New York del quale fu poi il presidente dal 1972 al 1993. Da una sua idea, il 13 settembre 1970, prese il via - con 126 partecipanti - la prima maratona di New York, presto assurta a più importante prova di corsa su strada nel mondo. Fred Lebow si è spento New York il 9 ottobre 1994. 

Imi Lichtenfeld (1910-1998) Nato a Budapest il 26 maggio 1910, il padre di Imi Lichtenfeld, Samuel, da giovane fu acrobata circense, sollevatore di pesi e poi ispettore di polizia. Imi ereditò dal genitore questa passione per l’attività fisica e, trasferitosi con la famiglia a Bratislava, praticò nuoto, boxe e lotta libera, divenendo in quest’ultima disciplina campione nazionale cecoslovacco nel 1929. Lotta a cui, nella vita civile, ricorse talvolta per respingere le violenze antisemite.  Con la Shoah Lichtenfeld riuscì a sfuggire alle persecuzioni razziali riparando in Palestina e, con la creazione dello Stato d’Israele, da esperto di arti marziali e istruttore-capo delle forze di difesa inventò un famoso metodo di combattimento chiamato “krav maga” in uso presso gli agenti del Mossad e le truppe scelte dell’esercito. Si spense a Netanya il 9 gennaio 1998.     

Friedericke Lowi (1910-1994) Nata a Vienna il 18 novembre 1910, Fredericke - detta “Fritzi”- Lowi fu con la compagna dell’Hakoah viennese Hedi Bienenfeld la più forte nuotatrice austriaca degli anni ’20 e ’30. La sua specialità era lo stile liberò che dominò dai 100 ai 400 m. con tempi di 1’14”8 (1936) e 6’18”6 (1930). Nel 1927, nella rassegna europea di Bologna, giunse terza nei 400 m. in 6’21, preceduta dall’olandese Maria Johanna Braun (6’11”8) e dall’inglese Marion Laverty (6’13”6). Per inciso, solo nel 2000 a Helsinki un altro ebreo austriaco sarebbe riuscito a vincere una medaglia nei campionati continentali: Maxim Podoprigora. La Lowi iniziò a nuotare a dieci anni e nel 1925 colse la sua prima importante affermazione vincendo sulle 5 miglia la “Quer durch Wien” in acque libere. Nel 1928 prese anche parte alle Olimpiadi di Amsterdam venendo eliminata in batteria col tempo di 6’20” sui 400. Con l’Anschluss, fuggì in Italia, Svizzera e poi in Australia, facendo ritorno in Austria nel 1949.

Ysrael “Sammy” Luftspring (1916-2000) Nato a Toronto il 14 maggio 1916 da genitori ebrei di origine polacca, “Sammy” Luftspring nacque nel quartiere San Giovanni della città canadese popolato da ebrei e immigrati italiani. Avviato alla boxe presso il centro ricreativo-sportivo ebraico del Brunswick Talmud Thorah, da peso welter debuttò tra i “puri” del pugilato nel 1932 disputandovi 105 incontri con solo 5 sconfitte. Campione dilettanti dell’Ontario nel 1933, quell’anno fu coinvolto negli scontri avvenuti al Christie Pits Park di Toronto. Scontri antisemiti originati dagli aderenti ai gruppi filonazisti locali. Nel 1936 decise di boicottare i Giochi olimpici berlinesi per cui era stato selezionato, indirizzando una lettera al “Toronto Globe” nella quale dichiarava che non era così privo di scrupoli da combattere sul ring d’uno stato che minacciava lo sterminio degli ebrei. Di contro, venne scelto dal Was (l’organizzazione sportiva della sinistra canadese) e dal Canadian jewish congress quale componente della rappresentativa da inviare all’Olympiada Popular di Barcellona. In tal senso con l’altro pugile Benjamin Norman Yakubowitz e l’accompagnatore Harry Sniderman s’imbarcò sul transatlantico “Alaunia” diretto in Europa.    Nell’autunno del 1936 Luftspring passò professionista e, il 3 ottobre 1938, sconfiggendo Frankie Genovese, conquistò il titolo canadese dei welter. Sempre nel 1938 venne classificato come terzo miglior welter al mondo e, nel 1940, gli fu offerto di battersi con il detentore americano della cintura mondiale Henry Armstrong. Luftspring chiuse la carriera il 27 maggio 1940, e da professionista totalizzò un record di 32 vittorie (14 per K.O.) e 8 sconfitte. Si spense a Toronto il 27 settembre 2000. Un altro atleta ebreo-canadese che a titolo personale boicottò le Olimpiadi di Berlino fu Henry Cieman (1905-1995). Marciatore primatista mondiale su varie distanze brevi in pista, dal miglio ai 3000 m., Cieman dopo aver partecipato alla 50 km. su strada dei Giochi di Los Angeles (1932), si rifiutò di gareggiare nelle successive in Germania.   

Gyula Mandi (1899-1969) Nato a Budapest il 21 gennaio 1899, Gyula Mandi fu un calciatore - terzino - del Ferencvaros (1916-’19, 11 presenze) e del Mtk Budapest (324 presenze, 12 gol). Nella nazionale magiara - con la quale disputò 32 incontri - debuttò il 5 giugno 1921, a Budapest, contro la Germania (3-0), e vi si congedò nella partita del 29 aprile 1934, sempre a Budapest, contro la Bulgaria (4-1). Tecnico della massima rappresentativa ungherese, dal 1950 al ’56 fece da secondo di Gusztav Sebes nel periodo di massimo splendore del football ungherese: quello della cosiddetta “Squadra d’oro” (Aranycsapat).  Dopo la rivoluzione del 1956, fuggì all’estero allenando l’America di Rio De Janeiro (1957) e successivamente la nazionale israeliana dal 1959 al ’64. Gyula Mandi morì il 18 novembre 1969. 

Pavel Mahrer (1900-1985) Nato a Teplice il 23 maggio 1900, Pavel Mahrer fu un calciatore del Dukla F.c. di Praga dal 1923 al ’26, periodo nel quale collezionò pure 6 presenze nella nazionale cecoslovacca. In seguito partecipò alla stagione ebraica del calcio americano giocando nel Brooklin Wanderers (1926-‘27), nel Brooklin Hakoah (1928-’29) e nell’Hakoah All Stars (1929-’31). Deportato a Terezin prese parte ai tornei calcistici tenuti nel Kl con scopi propagandistici. Tornei che videro coinvolti anche anche alcuni altri validi giocatori. Su tutti il portiere Jirga Taussig e l’attaccante Honza Burka. Essendo sopravvisuto alla Shoah, Mahrer emigrò negli Stati Uniti morendo a Los Angeles il 18 dicembre 1985.

Emanuel Mink (1919-2008) Nato a Tomaszow Nazowiecki, in Polonia, il 23 aprile 1910, Emanuel Mink fu un calciatore di origini ebraiche che trovandosi a Barcellona come partecipante all’Olympiada Popular del 1936 rimase in Spagna aderendo alle Brigate internazionali e combattendo nel Battaglione “Thalmann”. Soprannominato Mundek, risultò l’ultimo comandante della compagnia “Naftali Botwin” della Brigata “Dombrowski”. Compagnia composta da ebrei polacchi. Con la caduta della Repubblica varcò il confine francese e venne internato in uno dei campi di raccolta dei miliziani antifranchisti. All’invasione nazista della Francia subì la deportazione col primo convoglio partito il 22 luglio 1942 da Drancy verso Auschwitz. Su tale treno della morte si stiparono un migliaio d’ebrei, e Mink fu uno dei soli 24 sopravvissuti.

Gyorgi Molnar (1901-1977) Nato in Ungheria il 12 febbraio 1901, Gyorgi Molnar fu un attaccante (ala) del Mtk Budapest (1919-‘27 e 1928-’29, 178 presenze 132 gol), club con il quale nel 1924-’25 vinse il titolo di capocanniere del campionato con 21 reti. In nazionale esordì a Berlino, il 24 ottobre 1920, contro la Germania, e giocò l’ultima partita - per un totale di 27 incontri e 11 gol - a Vienna, il 10 aprile 1927, contro l’Austria. Dal 1925 al ’27 ne ebbe anche la fascia di capitano.  Come molti altri calciatori ebrei europei concorse allo sviluppo del soccer statunitense e, nel 1927-‘28, militò nel New York Giants (30 presenze e 6 gol), nel 1929 nel Brooklin Hakoah (14 presenze e 6 gol) e nel 1929-’30 nel Brooklin Wanderers (12 presenze e 1 gol). Fatto rientro in Austria, dal 1930 al ’33 Molnar vestì i colori dell’Hakoah Vienna. Sopravvissuto alla Shoah, morì a Budapest il 23 gennaio 1977. 

Uberto Luigi Morpurgo (1896-1961) Nato a Trieste il 12 gennaio 1896, Uberto Luigi Morpurgo discendeva da una famiglia di ebrei aschenaziti stanziatisi, dal 1385 al 1497, a Marburg (Maribor) da cui trassero il nome. Esiliati si trasferirono a Vienna e, con un decreto del 1560, furono costretti a emigrare nel ghetto di Gradisca d’Isonzo. Con una bolla di Carlo VI del 1721 ottennero la libertà e poterono così lasciare tale ghetto e spostarsi a Trieste, che, a pochi anni dall’istituzione del porto franco, garantiva ottime prospettive imprenditoriali. Qui i Morpurgo ottennero il titolo di baroni e nell’Ottocento due loro esponenti, Elio e Giuseppe, furono ai vertici rispettivamente del Lloyd austriaco e delle Assicuazioni Generali. Uberto Luigi, grazie alle disponibilità economiche della famiglia, si dedicò al tennis diventando il più forte giocatore italiano degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Con la nazionale disputò 79 incontri (39 vinti in singolare, 16 in doppio) dal 1923 al 1933, raggiungendo nel 1928 e 1930 la finale interzone di Coppa “Davis”. Terzo alle Olimpiadi di Parigi del 1924, battendo nella “finalina” il francese Jean Borotra, fu il primo italiano a giocare e perdere una finale (contro Suzanne Lenglen-Borotra) a Wimbledon (1925) nel doppio misto (in coppia con l’americana Elizabeth Ryan) e, in tre annate, risultò tra i primi dieci tennisti al mondo: nel 1930 8°, nel 1928 9° e nel 1929 10°. A Wimbledon, in singolare, si fermò ai quarti nel 1928, e a Parigi approdò in semifinale nel 1930 cedendo a Henri Cochet. Gianni Clerici lo descrisse così: <<De Morpurgo aveva un carattere difficilissimo, ma era altrettanto difficile da battere, specialmente sul rosso. La sua cultura, la sua estrazione sociale, lo avevano reso indifferente alle nostre faide provinciali, tanto che invano l’appassionato cercherebbe il suo nome nei campionati italiani degli anni venti, dominati da giocatori che non gli arrivavano alle caviglie. Al barone stavano a cuore soltanto le grandi competizioni e, anche se non riuscì ad imporsi a Parigi e a Wimbledon, lo troviamo più volte tra i favoriti e i protagonisti […]. La prima volta che il suo allievo Giorgio De Stefani, gli fece l’affronto di batterlo il barone lo lasciò in mezzo al campo allibito, con la mano tesa e una guancia arrossata, per uno schiaffo preciso e violento, quanto uno dei suoi drive>>.  Uberto Luigi Morpurgo, spentosi a Ginevra il 26 febbraio 1961, è l’unico italiano inserito  nel 1993 nella International jewish sport hall of fame creata a Netanya, nello stato d’Israele, il 7 luglio 1981 da Joseph M. Siegman. 

Salo Muller (1936) Nato ad Amsterdam il 29 febbraio 1936, Salo Muller a sette anni perse la madre Lena e il padre Louis, catturati nel novembre 1942 ed uccisi ad Auschwitz rispettivamente il 12 febbraio 1943 e il 30 aprile 1943. Salvato dalla Resistenza riuscì a ricongiungersi con gli zii e nel secondo dopoguerra divenne, dal 1960 al 1972, il fisioterapista del formidabile Ajax di Johan Cruijff.  A datare dal 2014 si è impegnato in una battaglia legale contro le ferrovie statali olandesi, responsabili del trasporto di migliaia di ebrei nei KL, ottenendo un risarcimento per i sopravvissuti e gli eredi delle vittime della Shoah. Successivamente ha intentato le stesse cause anche nei confronti delle ferrovie tedesche.       

Maurizio Nacmias (1923-2019) Nato a Trieste il 19 novembre 1923, Maurizio Nacmias fu un forte lottatore di greco romana che vinse un titolo nazionale a squadre con l’Acegat Trieste prima dello scoppio della seconda guerra, e altri tre, sempre a squadre, con la Palestra ginnastica fiorentina “Libertas” nel dopoguerra. Il dato più significativo legato alla sua figura è costituito dall’aver potuto proseguire la sua attività agonistica anche dopo l’applicazione delle leggi razziali in Italia.  Ancora il 17 gennaio 1941, a Modena, s’impose infatti nel Trofeo Raicevich. Un’importante gara nazionale di cui Martino Voghi, il giorno dopo, riferì in questi termini su “La Gazzetta dello Sport”: <<Vincitore assoluto è stato Maurizio Nacmias, non ancora ventenne, militante nelle file dell’87° Vigili del Fuoco di Trieste dal luglio dello scorso anno. L’allievo dell’”azzurro” Guido Furlan nella finalissima si è preso il lusso - pur appartenendo alla categoria pesi minimi - di schienare il bolognese Giannantoni che godeva di un vantaggio di peso di ben 10 kg. Il vincitore è arrivato al primato assoluto dopo sei vittorie consecutive superando con bravura e velocemente i suoi avversari e dimostrando inoltre, ottimo stile e agilità. Morabito, Simonetti, Bergonzoni, Grassi, Lorenzini sono stati liquidati con netta superiorità>>.  Ma come fu possibile che un ebreo potesse continuare a lottare in quell’Italia in cui l’antisemitismo era ormai diventato legge di Stato? Da un lato è da ritenere che ciò dipese da qualche inefficienza burocratica dell’apparato sportivo; dall’altro la cosa avvenne grazie soprattutto ad Albino Vidali, maresciallo dei pompieri e campione italiano di lotta nel 1949, ’50 e ‘51, e al suo collega Guido Apollonio, che gli furono maestri di sport e e ne coprirono a lungo l’attività. Un insieme di fattori venuti meno quando ai vertici dei Vigili del fuoco triestini fu posto un nuovo comandante proveniente da Fiume, Giorgio Conighi, che impedì a Maurizio di proseguire a combattere. Dopo l’8 settembre 1943 i Nacmias fuggirono a Firenze, prima venendo ospitati da una famiglia amica e poi sistemandosi in un’abitazione di via Solferino. Per sfuggire alle persecuzioni cambiarono nomi e cognome, e Maurizio divenne Francesco Nacci nato a Napoli. Egli non badò comunque unicamente a nascondersi e, aderendo alla Resistenza, operò con la Brigata Ponte Buggianese intitolata al partigiano anarchico “Silvano Fedi” e specializzata nel sabotaggio e deragliamento di treni. Tornato a vivere a Trieste nel 1949, Maurizio Nacmias vi è morto il 7 dicembre 2019. 

Alfred Nakache (1915-1983)Nato a Costantina -nell’Algeria francese - il 18 novembre 1915, Alfred (“Artem”) Nakache, ultimo di undici figli, una volta trasferitosi in Francia nuotò per il Racing Club di Parigi che lasciò perché fatto oggetto di discriminazioni antisemite.  L’inizio di una storia speciale che, proprio del suo caso, fa un modello paradigmatico con cui saggiare la proposta educativa dello Yad Vashem rispetto alle tre possibili vie, fra solidarietà, indifferenza, complicità con i carnefici, che si posero e continuano a porsi di fronte alla Shoah. Alla scelta cioè, fra salvare, far finta di nulla, sommergere. Progredendo nella sua carriera natatoria, Nakache nel 1934 si piazzò 2° sui 100 crawl nei campionati di Francia e nelle Maccabiadi del 1935 (62”6) alle spalle di Pavel Steiner (già 3° negli europei di Parigi del 1931 in 63”), nonchè 4°nelle Olimpiadi di Berlino (1936) con la staffetta 4x200 (Taris, Cavalaro, Talli). Sposatosi nell’ottobre 1937 con Paule, giocatrice di basket anch’essa ebrea, a seguito dell’invasione nazista e della creazione della Repubblica collaborazionista di Vichy si trasferì nel sud del Paese, a Tolosa, per gareggiare con la società locale: il Toec Dolphins Toulose. E proprio da atleta del Toec,  Nakache, a Marsiglia, il 6 luglio 1941 strappò all’americano Jack Kasley (2’37”2) il record del mondo dei 200 rana, coprendoli in 2’36”8. A partire dal 1942 Alfred Nakache divenne vittima d’una violenta campagna di stampa che sosteneva come nella Francia di Philippe Pétain un ebreo non potesse più rappresentarla nello sport. Nella sua orchestrazione si distinse in particolare il giornalista sportivo ed ex nuotatore (già primatista del mondo dei 200 rana, in 2’39”6, il 4 maggio 1935) Jacques Cartonnet. Un antisemita, mosso forse in questo odio anche da invidia e rancori personali. Nel 1943 i campionati nazionali di nuoto vennero assegnati a Tolosa, ma a un’unica condizione: che Nakache ne venisse escluso. E così fu. Tuttavia ben 28 nuotatori del Toec si rifiutarono in suo appoggio di parteciparvi e persino 12 di Lione. Un’insubordinazione che portò alla rimozione dal suo incarico del presidente del Toec. Sempre in quell’anno, Nakache cercò di fuggire con la moglie e la figlia Annie in Spagna. Un tentativo fallito e, il 20 dicembre 1943, venne arrestato con i suoi familiari e tradotto prima nel carcere di Saint-Michel, a Tolosa, e poi nel punto di raccolta di Drancy. Il convoglio numero 66 che l’avrebbe deportato ad Auschwitz partì, il 20 gennaio 1944, dalla stazione di Bobigny, e giunto a destinazione Paule e Annie furono immediatamente gasate. Alfred (n. 172.763) invece, che qui conoscerà anche Primo Levi e il pugile Victor “Young” Perez, risultò inizialmente assegnato all’infermeria del lager. Riconosciuto come un grande atleta, divenne il “nuotatore di Auschwitz”. Ovvero, esistendo nel Kl un bacino (detto impropriamente piscina) per l’approvvigionamento dell’acqua in caso d’incendi, le SS presero a costringerlo a tuffarvisi per recuperare sul fondo degli oggetti da loro stessi gettati a scopo “ricreativo” (monete, sassi ecc.). Nakache obbediva e, anzi, rilanciava. Chiedeva tuffi supplementari per allenarsi meglio. Una forma di orgogliosa resistenza contro le quotidiane sopraffazioni e umiliazioni del campo. Con l’avanzare dell’Armata Rossa, Nakache dovette affrontare una delle “marce della morte” verso Gleiwitz e Buchenwald. Partiti in 1368 ce la fecero solo in 47, tra cui il “nuotatore di Auschwitz”. Il rientro a Tolosa fu lungo e dolente, ma quando vi giunse scoprì che, credendolo ormai morto, gli era già stata intitolata la piscina della città. E altrettanto faranno a Montpellier, Nancy, Belleville. Senza più casa, si preoccupò di ospitarlo nella sua il campione e compagno d’allenamenti Alex Jany. Jany il quale lo spronò a riprendere a gareggiare, e convintosi che dopo Auschwitz tutto era possibile Nakache tornò in piscina per raggiungere le semifinali dei 200 farfalla e classificarsi 6° con la nazionale francese di pallanuoto nelle Olimpiadi di Londra (1948). Ritiratosi dallo sport attivo, la squadra di calcio del Tolosa gli diede un lavoro da massaggiatore, per cinque anni insegnò nuoto a Réunion e ormai pensionato, colpito da infarto nel corso d’una delle sue abituali nuotate nel golfo di Cerbère, Alfred si spense il 4 agosto 1983. Vale soffermarsi brevemente anche su Cartonett, il suo persecutore. Nel 1945 fu condannato a morte in Francia per collaborazionismo e omicidio plurimo. Una condanna in contumacia poiché era nel frattempo riparato in Italia. A Roma, venne arrestato nel 1946 riuscendo però inspiegabilmente a dileguarsi. Ricatturato a Foligno nel 1947, lo detennero nel campo di Fraschette ad Alatri da cui evase di nuovo facendo perdere definitivamente le sue tracce. Di certo qualcuno l’aiutò, e del resto non fu proprio il vicario cortinese della diocesi cattolica di Bressanone, Alois Pompanina, favorire la fuga in Argentina (dotandolo di falsi documenti intestati a Riccardo Klemens) di Adolf Eichmann? Su Nakache, nel 2017, è stato girato da Thierry Lasheras un documentario intitolato Nage libre. 

Sandor Nemes (1899-1977) Nato a Budapest il 25 settembre 1899, Sandor Nemes in Austria assunse da calciatore il nome di Alexander Neufeld e, dopo aver giocato nel Ferencvaros di Budapest dal 1916 al ’19, militò a più riprese nell’Hakoah Vienna (1919-’20; 1921-’26: 113 partite e 47 gol; 1927-’29), nel Basilea (1920), nel Maccabi Brno (1920-’21), nel Brooklin Wanderes (1926-’27) e nell’Hakoah All Stars di New York (1929-’30). In nazionale collezionò tre presenze con l’Ungheria (1918-’19) e due con quella austriaca (1925). 

Herman Neugass (1915-1991) Nato a Magnolia (Missisipi) il 10 gennaio 1915, Herman Neugass fu un velocista ebreo dell’Università di Tulane che nel 1935, col tempo di 9”4, eguagliò il record del mondo delle 100 yards. Potenziale atleta olimpico, il 12 dicembre 1935 inviò una lettera-aperta al “New Orleans Times-Pycaune” nella quale spiegò le ragioni del suo boicottaggio individuale delle Olimpiadi di Berlino: <<Sento che e mio dovere esprimere - affermò -, l’inequivocabile opinione che questo Paese non dovrebbe partecipare alle manifestazioni olimpiche, se se svolgessero in Germania>>.  Un altro atleta ebreo-americano che attuò il boicottaggio dei Giochi berlinesi fu Milton Green. Nato a Lowell, in Massachussets il 31 ottobre 1913, Green - studente ad Harvard - nel 1936 deteneva il record mondiale dei 60 m. a ostacoli corsi in 7”5. Consultatosi col suo rabbino decise di rinunciare a quell’Olimpiade per ragioni morali e religiose contestando <<un’esaltazione dell’hitlerismo>>.  Grenn si spense negli Stati Uniti nell’estate del 2004.      

Rudolph Nikolsburger (1899-1969) Nato a Budapest il 23 marzo 1899, Rudolph - detto “Reszo” - Nikolsburger fu un calciatore (attaccante) che militò in numerose formazioni ebraiche sia in Europa che negli Stati Uniti. Dopo aver vestito la maglia del Ferencvaros dal 1919 al ’22 (43 presenze e 22 gol), passò via via all’Hakoah Olomuc (1923), al Maccabi Brno (1923-’25) e all’Hakoah Vienna (1926-‘28). Nel 1925-’26 fece un breve ritorno al Ferencvaros, con cui vinse il campionato del ’26, e tra il 1920 e il ’25 disputò 2 incontri con la nazionale ungherese. Approdato negli Stati Uniti durante la stagione del calcio ebraico americano, giocò nel New York Hakoah (1928-‘29) e nell’Hakoah All Stars (1929-’32, 84 presenze e 30 gol). Il suo trasferimento Oltreoceano gli risparmiò la Shoah. Reszo Nikolsburger mori infatti a New York nel 1969. 

Ferenc Nyul (1896-1971) Nato in Ungheria il 2 novembre 1896, Ferenc Nyul fu un centromediano del Mtk Budapest nel quale militò dal 1913 al 1920. Quell’anno lasciò la formazione della capitale magiara per passare all’Hagibor di Cluy, in Romania, un club anch’esso di matrice ebraica. Per sostituirlo il Mtk ingaggiò Béla Guttmann, ma nel 1921 Nyul tornò alla sua squadra delle origini dove continuò a giocare sino al 1925. Nazionale ungherese tra il 1916 e il ’20, con al suo attivo 4 presenze da titolare, nel 1937 entrò a far parte della dirigenza del F.c. Universitatea di Cluy. Si spense il 30 aprile 1971.   

Franz Orgler (1914-2015) Nato a Wuppertal Barnem il 22 agosto 1914, Franz Orgler proveniva da una famiglia (composta da tre altri fratelli e sorelle: Hans-Joachim, Marie-Luisa, Eva) della buona borghesia tedesca. Il padre Kurt esercitava l’avvocatura e sua madre Adle Blumenthal era una donna colta ed emancipata. Di più, dal 1931 Kurt Orgler presiedette la comunità ebraica di Barmen. All’età di 17 anni - allenato da “Kopille” Pfeiffer - Franz iniziò a gareggiare nell’atletica leggera per il Club Schwarz-Weis di Barmen, facendosi subito notare sui 400 e 800 m. di cui fu campione germanico a livello giovanile; e su queste distanze, nel 1933, vantava tempi di 50”6 e 1’58”7. Costretto dalle persecuzioni antisemite a lasciare il suo club d’appartenenza, entrò nelle file dell’Hakoah di Colonia e, nella fase interlocutoria in cui il nazismo finse di ammettere alcuni ebrei alle fasi di preparazione preolimpica in vista dei Giochi di Berlino, Orgler partecipò allo stage  avviato il 1° luglio 1934 realizzando ancora tempi di 50”9 e 1’58”3 nelle due gare in cui eccelleva. La sua totale emarginazione dallo sport tedesco fu conseguenza della partecipazione (giungendovi 2° negli 800 in 2’04”8 e 4° nei 400 ostacoli) alle Maccabiadi tenute a Tel Aviv nel 1935, e nello stesso anno Franz contribuì anche alla fondazione dell’Hakoah di Wuppertal. Nel 1937 riparò in Svezia, tuttavia nel mese di agosto fece un breve ritorno in Germania per partecipare ai campionati tedeschi del Maccabi. Tenuti a Berlino nel mese di agosto, si affermò sugli 800. Fermato dalla Gestapo riuscì a far rientro in Svezia, dove gareggiava per l’Horby e nel 1938 corse ancora i 400 in 50”6. Eva Orgler riuscì a fuggire in Italia e poi in Argentina. Marie-Luise nel 1939 trovò scampo in Inghilterra. Hans raggiunse Franz in Svezia nel 1939. I loro genitori, il 20 luglio 1942 furono deportati a Terezin e, da lì ad Auschwitz, dove morirono il 28 ottobre 1944. Ottenuta nel 1947 la cittadinanza svedese, Franz Orgler si è spento a Bastad l’11 marzo 2015. 

Gustav Pollak (1898-1981) Nato a Vienna il 12 novembre 1898, Gustav (“Egon”) Pollak fu un calciatore (terzino) dell’Hakoah di Vienna, con cui vinse il titolo nazionale del 1925, e un anno prima collezionò anche una presenza nella nazionale austriaca. Dopo una breve permanenza negli Stati Uniti, giocando nel 1926-’27 per i New York Giants (19 presenze), si trasferì in Palestina dove fu tra i pioneri del calcio ebraico. Con l’ex giocatore polacco Shimon Ratner selezionò il Mandatary palestine national football team - riconosciuto dalla Fifa nel 1929 - che, il 16 marzo 1934, giocò una gara di qualificazione ai prossimi campionati del mondo contro l’Egitto al Cairo. Una partita finita 7-1 per i padroni di casa, che concessero solo ad Avraham Neudelman di violare la loro porta. Pollak, fu anche in panchina nell’esordio ufficiale della nazionale israeliana di calcio: il 26 settembre 1948, a New York, contro gli Stati Uniti (3-1). A livello di club, dal 1934 guidò il Maccabi Tel Aviv e dal 1941 il Maccabi Rishon Le Zion. Gustav Pollak si spense il21 gennaio 1981.

Jacob Van Praag (1910-1987) Nato ad Amsterdam il 10 luglio 1910 da Mozes e Margaretha Sweid, Jacob (“Jaap”) Van Praag, proprietario d’un negozio di articoli musicali nella capitale olandese, quando i Paesi Bassi vennero invasi dalle truppe naziste era un socio della società calcistica Ajax di Amsterdam. Durante la Shoah, nella quale perirono i genitori e la sorella, trovò rifugio presso Jan Schoevaam, lo zio paterno dell’ex giocatore dell’Ajax Wim Schoevaam. In seguito si nascose in un appartamento posto sopra un negozio fotografico a Overtoom. E <<poiché - ha sottolineato Simon Kuper - il negoziante non sapeva di lui, doveva trascorrere le ore di apertura del negozio seduto immobile su una sedia>>.  Scampato alle persecuzioni naziste, nel secondo dopoguerra Jaap rientrò nei ruoli dirigenziali dell’Ajax ricoprendone la presidenza dal 16 luglio 1964 al 1978, cioè nel periodo di massimo splendore internazionale del club. Van Praag morì ad Amsterdam in un incidente automobilistico il 7 agosto 1987.

Daniel Prenn (1904-1991) Nato a Vilnius il 7 settembre 1904, Daniel Prenn visse l’infanzia a San Pietroburgo e lasciò con la famiglia la Russia per Berlino, nel 1920, per sfuggire all’antisemitismo presente anche in quei territori. Ottimo pongista, nel 1926 raggiunse i quarti di finali di doppio (e il quarto turno del singolo) nei campionati mondiali di Londra, ma dove eccelse fu nel tennis. Laureatosi in ingegneria a Charlottenberg (1929) e tennista del Rot-Weiss berlinese, dal 1928 al ’32 fu il numero 1 delle classifiche tedesche e tra in primi al mondo. Classificato all’8° posto mondiale nel 1929, al 6° nel 1932 (e al primo in Europa per la rivista “American Lawn Tennis”) e al 7° nel 1934. In singolare raggiunse due volte il 4° turno sia del “Roland Garros” (1930 e ’33) che di Wimbledon (1933 e ’37). Wimbledon che lo vide giocare la finale del doppio misto (con Hilde Krahwinkel), perdendo 6-1-6-3 contro Jack Crawford - Elisabeth Ryan nel 1930. Con la salita al potere di Hitler la carriera tennistica di Prenn subì dei pesanti contraccolpi. Nell’aprile 1933 la federazione tennistica tedesca emanò la seguente direttiva: <<I giocatori non ariani non possono più prendere parte a competizioni internazionali. Il dottor Prenn non sarà convocato nella squadra di Davis del 1933 >>.  Contro tale provvedimento protestarono due campioni quali Bunny  Austin e Fred Perry che - come si evince da un saggio di Marshall Jon Fisher - scrissero una lettera aperta al “Times” di Londra: <<Sir, abbiamo letto con estremo dispiacere il comunicato stampa ufficiale secondo cui il dottor D. Prenn non rappresenterà la Germania in Coppa Davis perché di origini ebraiche. Non possiamo che ricordare il momento in cui, meno di dodici mesi fa a Berlino, nella semifinale della zona europea di Coppa Davis, il dottor Prenn regalò una vittoria alla Germania contro la Gran Bretagna di fronte a un vasto pubblico e fu portato in trionfo con enorme e sincero entusiasmo […]. Guardiamo con grande timore a ogni azione tesa a minare tutto ciò che è prezioso nelle competizioni internazionali>>.  Solidarietà a Prenn portarono anche Gottfried Von Cramm e il re Gustavo Adolfo di Svezia che, a testimoniargli la sua vicinanza, volle disputare un incontro con lui proprio in quel 1933. Grazie all’aiuto di Simon Marks, il proprietario ebreo dei magazzini “Marks e Spencer” grande appassionato di tennis, Prenn a fine 1933 riuscì a fuggire in Inghilterra dove poté continuare la sua attività sportiva. La madre e la sorella Tamara caddero invece vittime della Shoah.

Shimon Ratner (1898-1964) Nato a Cracovia il 26 luglio 1898, Shimon - detto “Lumek” - Ratner fu un calciatore dell’Hakoah Vienna, città in cui si era trasferito nel 1914. Nel 1920 emigrò in Palestina giocando per il Maccabi Tel Aviv e, dal 1928, per il Maccabi Avshalom PetahTivka. Con Gustav Pollak nel 1934 guidò il Mandatary palestine national football team nella partita del suo storico debutto contro l’Egitto al Cairo. In seguito allenò il Maccabi Tel Aviv, il Maccabi PetahTivka e, fino al 1954 rivestendovi anche degli incarichi nella dirigenza, l’Hapoel di PetahTivka. Shimon Ratnersi spense in Israele il 21 gennaio 1964.

Yakkov  Razon (1921-1997) Nato a Salonicco il 2 febbraio 1921, Yakkov (“Jacko”) Razon ebbe il proprio approcciò con la boxe nella palestra del Maccabi di Salonicco e si distinse a livello dilettantistico nella categoria dei pesi medi. Con Salamo Arouch, Marco Azoiz e Dino Uziel, altri pugili di quel Maccabi, s’affermò nei campionati greci del 1939. Giocò anche a calcio, difendendo la porta del Salonikan Olympiakos.  Nel 1942 fu catturato e costretto nel ghetto detto “Baron Hirsh”, quindi deportato ad Auschwitz nel 1943 e, dopo due mesi, trasferito a Buna-Monowitz ove gli venne affidata l’organizzazione degli incontri pugilistici all’interno del KL. A questi combattimenti presero parte una dozzina di boxeur, tra i quali, oltre a lui, l’ex campione del mondo francese Victor Perez. Durante il giorno“Jacko” lavorava in cucina, e ciò gli permise di sfamare di nascosto molti deportati. Dopo l’evacuazione di Buna Razon affrontò una “marcia della morte” per raggiungere Glewitz, in cui rimase per un breve periodo prima d’essere trasferito a Mittelbau-Dora. Campo nel quale tornò a battersi sul ring. Razon concluse la sua odissea concentrazionaria a Bergen-Belsen. Rientrato in Grecia, divenne un promotore di diversi “viaggi illegali” verso la Palestina. In uno di questi, cui partecipò direttamente sulla nave “Henrietta Szold”, cercò con 356 ebrei di forzare il blocco inglese del porto di Haifa. Arrestato, venne internato per qualche tempo a Cipro. Raggiunta finalmente la Palestina, combattè nella guerra che avrebbe dato vita allo stato di Israele.

Nathan Roeg (1910-2033) Nato ad Amsterdam il 6 gennaio 1910 da Meijer e Marjam Walvish, sposato con Clara Frankfort, Nathan (“Johnny”) Roeg è stato un attaccante dell’Ajax di Amsterdam col quale ha collezionato 20 presenze. Dodici nel 1934-’35, 5 nel 1935-‘36 e 3 nel 1936-‘37, realizzando complessivamente 15 gol. Durante la Shoah è riuscito a sottrarvisi vivendo in clandestinità.

Renato Sacerdoti (1891-1971) Nato a Roma il 20 ottobre 1891, Renato Sacerdoti fu un dirigente calcistico tra i fondatori dell’Associazione sportiva Roma (1927) e, dopo Italo Foschi, il suo secondo presidente ricoprendo tale carica dal 1928 al ‘35 e nel secondo dopoguerra dal 1952 al ’58. Durante il suo primo mandato, proprio Sacerdoti fece costruire il famoso stadio del “Testaccio” sul quale la Roma giocava le partite interne. Fascista dal 1920, prese parte alla Marcia su Roma e, il 24 dicembre 1937, si convertì al cattolicesimo. Ciò - come Jaffe - non lo pose comunque al riparo dalle leggi razziali fasciste, venendo ripetutamente attaccato nella sua qualità di uomo d’affari d’origine ebraica. In proposito, l’8 giugno 1938 (“Come fu smascherato l’ebreo contrabbandiere di milioni”) scriveva “Il Popolo d’Italia”: <<La sua diabolica furberia, fondata sull’abitudine tipicamente ebraica a corrompere con il denaro le persone per spingerle a delinquere e ad addossare le responsabilità di delitti ai quali non avrebbero forse mai ricorso senza le circostanze che li hanno avvicinati all’odioso giudeo, è stata vinta dalla sagacia della polizia italiana>>. E in un altro articolo di quei mesi (“Una sequela di trucchi di ispirazione giudaica”) “Il Corriere della Sera” lo prese di mira utilizzando i seguenti argomenti: <<E’ superfluo precisare che in ogni ambiente cambiario francese c’è, o attore o vigile osservatore, lo speculatore ebreo. Su cosa poggiava egli la speranza che avesse a verificarsi un afflusso di moneta italiana? Evidentemente sulla conoscenza di un’organizzazione di contrabbando che avrebbe formato i suoi piani d’azione e di cui l’episodio dell’ebreo Sacerdoti è stato fin qui il più clamoroso per il modo e l’entità del tentativo>>.  Con Renato Sacerdoti, un altro presidente calcistico ebreo fu Giorgio Ascarelli (1894-1930). Nato a Napoli il 18 maggio 1894, imprenditore tessile, massone e socialista (per le sue idee politiche solo nel 1923 fu dichiarato dalle carte di polizia <<non pericoloso>>, e nel 1925 <<eliminato dalla lista dei sovversivi>>)  egli nel corso delle sue presidenze - 1926-’27 e 1929-’30 - edificò (su progetto di Amedeo D’Albore) l’impianto di proprietà del Napoli, nel rione Luzzatti, che venne chiamato “Vesuvio”. Alla sua morte, avvenuta il 12 marzo 1930, la struttura gli venne intitolata alla memoria, ma con l’introduzione delle legislazioni antisemite subì un nuovo cambio di denominazione. Da Napoli-Novara del 18 settembre 1938, lo stadio ”Ascarelli” si trasformò nel più impersonale e allineato “Partenopeo”. 

Imre Schlosser (1989-1959) Nato a Budapest l’11 ottobre 1889, Imre Schlosser - detto “Slozi” - fu un calciatore del Ferencvaros Budapest, del Mtk e del Wiener. Attaccante prolifico, con la nazionale ungherese realizzò 59 reti in 68 incontri avendovi debuttato contro la Boemia a Praga (4-4), il 7 ottobre 1906, e giocandovi la sua ultima partita con l’Austria, a Vienna (6-0), il 10 aprile 1927. Della massima rappresentativa magiara fu altresì capitano dal 1912, quando prese parte alle Olimpiadi di Stoccolma, al 1926. Con l’introduzione delle leggi razziali in Italia, di Shlosser, ormai da tempo ritiratosi dalle scene calcistiche, si occupò anche la nostra stampa in un articolo fortemente antisemita. In particolare venne accusato di aver cercato di falsificare i propri documenti facendosi risultare di religione cattolica anziché ebraica. Sopravvissuto alla Shoah, morì a Budapest il 19 luglio 1959. 

Heinrich Schonfeld (1900-1999) Nato a Cluy, in Romania, il 3 agosto 1900, Heinrich Schonfeld iniziò la sua carriera di calciatore in Austria, nello Sport klub Rudolfshugel (1916-’21, 96 presenze e 15 gol), per poi passare al sudtirolese Sport Klub Merano, dove in 30 incontri realizzò 30 reti, e successivamente militò nella Fiorentina-“Libertas” (1922-’23, 28 presenze e 33 gol), nel Torino (1923-‘25, 30 presenze e 23 gol di cui 22 segnati nel 1923-’24, quando vinse la classifica dei cannonieri) e nell’Internazionale di Milano (1925-’26, 14 presenze e 9 gol). Nel 1926 rientrò in Austria accasandosi all’Hakoah Vienna (1926 e 1927-’28, 18 presenze 10 gol), e tra le altre squadre in cui giocò figurarono anche le americane Brooklin Wandereres e Hakoah All Stars. Tornato in Italia fu allenatore-giocatore della Juventus Trapani (1930-’35) e, per una breve parentesi, sedette sulla panchina della Catanzarese (1933). Nel secondo dopoguerra riprese ad allenare presso l’Hakoah di Hallein, nella zona di Salisburgo, e nel 1952 emigrò in Canada. Heinrich Schonfeld morì a Toronto il 3 settembre 1999. 

Alexandru Schwartz (1908-2000) Nato a Recas, in Romania, il 23 ottobre 1908, Alexandru - detto “Elek”- Schwartz è stato un calciatore del club sionista “Kadima” di Timisoara (1926-‘30) e in seguito del Ripensia Timisoara (1931-‘32), dell’Hyres (1932-’34), del Cannes (1934-‘36), dello Strasburgo (1936-’38) e del Red Star Parigi (1938-’39). Inoltre, con la casacca della massima rappresentativa romena, tra il 1932 e il ’37 disputò 10 incontri  con 8 gol. Da allenatore di club, dal 1947 al ’79 ebbe un’intensa carriera che lo vide sulle panchine di Cannes, Monaco, Le Havre, Hamborn, Rot Weiss Hessen, Benfica, Eintracht Francoforte, Porto, Sparta Rotterdam, Monaco 1860, Strasburgo, Hagenau. Col Benfica vinse il campionato portoghese 1964-’65 e perse la finale di Coppa Campioni contro l’Inter di Milano nel 1965. Per 49 partite, dal 1957 al ’64, allenò inoltre la nazionale olandese. Elek Scwartz si spense ad Hagenau il 2 ottobre 2000.

Erno Schwarz (1904-1974) Nato a Budapest il 27 ottobre 1904, Erno Schwarz fu, dal 1916 al ’22, un calciatore del Ferencvaros (37 presenze e 29 gol) e successivamente giocò nel Maccabi Brno (1922-’23) e nell’Hakoah Vienna (1923-‘26, 49 presenze e 20 gol), con cui vinse il campionato austriaco del 1925. Disputò altresì, nel 1922, due incontri con l’Austria realizzando una doppietta nel rotondo 5-1 contro la Francia. Con numerosi compagni dell’Hakoah, nel 1926 si trasferì negli Stati Uniti militando nel New York Giants (1926-’28), nel New York Hakoah (1928-’29), nell’Hakoah All Stars (1929-’31) e, dal 1931 al ’36, nel New York Americans rivestendovi il duplice ruolo di allenatore-giocatore. Stabilitosi definitivamente negli Stati Uniti, fu una figura di primo piano dell’American soccer league (Asl) di cui nel 1947 venne eletto alla vicepresidenza e, dal 1953 al ’55, allenò la nazionale statunitense. Di tutti i calciatori dell’Hakoah Vienna che nella seconda metà degli anni ’20 e nella prima dei ‘30 concorsero alla stagione ebraica del calcio americano, Erno Schwarz fu l’unico ammesso nella “National soccerhall of fame”. Si spense a New York il 19 luglio 1974.

Béla Sebestyén (1885-1959) Nato a Budapest il 23 gennaio 1885, Béla Sebestyén fu un calciatore del Mtk Budapest, nel quale giocò dal 1905 al 1913, e della nazionale ungherese dal 1906 al 1912. Nazionale con cui disputò 24 incontri (2 gol), partecipando alle Olimpiadi di Stoccolma (1912). Considerato la prima ala magiara di livello internazionale, si segnalò, vestendo i colori della massima rappresentativa del Paese, soprattutto nel memorabile 4-4 con la Germania del 4 aprile 1912. Fu anche allenatore del Mtk, portandolo a vincere il titolo nazionale del 1920-’21 con una sola sconfitta e appena 9 gol subiti a fronte di 82 realizzati. Si è spento a Budapest il 19 dicembre 1959.

Eric Seelig (1909-1984) Nato a Bromberg (oggi Bydgoszcz in Polonia) il 15 luglio 1909, Eric Seelig - detto “Ete” - fu campione tedesco dilettanti di boxe. Passato tra i professionisti e boxando per il T.c. Borussia di Berlino, il 12 novembre 1931 si aggiudicò il titolo nazionale dei pesi medi contro Hans Siegfred e il 26 febbraio 1933 sconfisse anche Helmuth Hartkopp, campione dei medio-massimi. Con la salita al potere del nazismo, il 4 aprile 1933 la Federazione pugilistica tedesca (Vfd) la epurò dei suoi boxeur ebrei e, il successivo 11 aprile, dichiarò Seelig privato dei titoli. Seelig che, quattro giorni prima, il 31 marzo 1933 aveva già rinunciato a difendere una delle sue cinture essendo stato minacciato di morte. Fuggito in Francia con la famiglia, combatté sia su quei ring, affrontando due volte Marcel Thil a Parigi il 22 maggio 1933 e il 29 gennaio 1934 e battendo il cubano Kid Tunero il 28 settembre 1934, che Inghilterra e Belgio, venendo sconfitto da Gustave Roth nel campionato europeo di Bruxelles del 28 settembre 1934. Nel 1935 emigrò negli Stati Uniti dove partecipò alle manifestazioni per il boicottaggio delle Olimpiadi di Berlino (1936), e sviluppò un’intensa carriera fitta di 57 incontri con 40 vittorie (9 per K.O.),10 sconfitte, 7 pareggi. Sfidò nuovamente Thil, campione del mondo Ibu, pareggiò con l’ex detentore della cintura mondiale dei medi Fred Apostoli (New York, 3 febbraio 1939), e incrociò i guantoni anche con Al Hostak (Cleveland, 1° maggio 1939). Seelig nel 1939 scalò le classifiche, risultando il 6° peso medio al mondo, e nel 1940, ritiratosi dal ring, sposò Greta Meinstein. Una sportiva ebrea praticante l’atletica leggera che aveva abbandonato la Baviera per sottrarsi alla Shoah. “Ete”Seelig si spense ad Atlantic City il 19 gennaio 1984.

Felix Simmenauer (1903-1990) Nato a Berlino il 7 ottobre 1903, Felix Simmenauer è stato un valido atleta del Bar Kochba di Berlino. Suo padre Heinrich, originario dell’Alta Slesia, dal 1908 gestiva nella capitale tedesca con la moglie Selma un’attività di merceria e di forniture per sarti e pelliccerie. Oltre a Felix, i coniugi Simmenauer ebbero due figlie: Hilde e Jenny. Ammalatosi, Heinrich venne ucciso dai nazisti nel sanatorio di Bernau il 4 giugno 1940. Selma, col trasporto Travniki Welle b XI, il 28 marzo 1942 fu deportata con altri 974 ebrei berlinesi nel ghetto di Piaski e poi probabilmente a Terezin. La sua morte avvennne in circostanze mai chiarite. Viceversa, si salvarono Hilde e Jenny fuggite in Gran Bretagna e negli Stati Uniti nel 1937, e pure Felix che, con la moglie Charlotte Schwarzmann, raggiunse la sorella a Chicago nel 1938. Felix Simmenauer durante la giovinezza si distinse soprattutto nelle prove di velocità. Nella Maccabiade europea di Ostrava del 1929 si affermò sui 100 m., e in quella di Tel Aviv, col tempo di 11”2, si piazzò 3° sulla stessa distanza dietro l’americano Gus Heymann (10”7) e il tedesco Fritz Gerber (11”1). Inoltre con la rappresentativa tedesca giunse primo nella staffetta 4x100 (43”2). Nella sua autobiografia, pubblicata nel 1989, Simmenauer dedicò largo spazio alla propria intensa esperienza sportiva nelle file del Bar Kochba,  e nel 1988 collaborò attivamente alla realizzazione della mostra, tenuta al Martin-Gropius-Bau berlinese, “Atleti ebrei a Berlino 1908-1938”. Si è spento a Berlino l’8 settembre 1990.        

Ferenc Sohn (1915-1988) Nato a Budapest il 16 agosto 1915, Ferenc Sohn fu un calciatore (ala) del Mtk Budapest (84 presenze e 15 gol dal 1934 al ’38) e della nazionale ungherese (1936-’38, 17 presenze e 2 gol) che il 19 giugno 1938 giunse seconda, battuta 4-2 in finale dall’Italia, nel campionato del mondo tenuto in Francia. Per avere maggiori possibilità di esser convocato nella massima rappresentativa magiara, vincendo i pregiudizi antisemiti, cambiò il proprio cognome in Sas e subito dopo i mondiali francesi decise di lasciare l’Ungheria, nella quale la comunità ebraica era sempre più soggetta a pesanti discriminazioni, per l’Argentina. In Sud America giocò nel Boca Juniors (1940-’42, 48 presenze e 11 gol), nell’Argentinos Juniors (1942-’45, 72 presenze e 12 gol) e nel Maccabi Buenos Aires (1945-’46). Si spense nella capitale argentina il 3 settembre 1988.

Meijer Isaac Stad (1919-2005) Nato a Rotterdam il 18 ottobre 1919 da Isaac e Rosette Eliazar, Meijer Isaac Stad fu un calciatore dello Xerxes di Rotterdam e dello Scheveningen e praticò con successo pure l’atletica leggera gareggiando per il “Celebes”. Una società fondata nel 1940 che al suo interno contava molti membri della Resistenza olandese. Nel “Celebes”, Stad, che sposerà la medaglia d’oro olimpica a Londra (1948) con la staffetta 4x100 Xenia De Jong, gareggiava sotto il falso cognome di Bouwens, e con questa identità ad Amsterdam, nel 1942, vinse il campionato nazionale sulla distanza dei 3000 metri. Entrato nella Resistenza, occupandosi di nascondere e rintracciare rifugi  per i ricercati, venne arrestato e imprigionato a Scheveningen nella primavera del 1944 e poi tradotto nel campo d’internamento di Vught. Il 3 giugno 1944 fu trasferito a Westerbork e da lì a Bergen-Belsen.  Infine, il 19 dicembre 1944 la sua deportazione proseguì nel Kl di Buchenwald. Meijer Isaac Stad si è spento a Wassénaar il 4 giugno 2005. 

Laszlo Sternberg (1905-1982) Nato in Ungheria, ma in possesso della doppia nazionalità magiara e tedesca, Laszlo Sternberg fu un calciatore (difensore) che, tra il 1928 e il ’36, totalizzò 19 presenze nella nazionale ungherese di cui ebbe anche la fascia di capitano. A livello di club giocò con l’Ekserez, in Italia nella Novese (1925-’26) e nell’Andrea Doria di Genova (1926-27), nell’Ujpest Budapest (1927-’28 e 1932-‘36) e poi, come molti altri atleti ebrei, si fece tentare dall’esperienza americana. Negli Stati Uniti militò nei New York Giants, (1928-’29), nel Brooklin Hakoah(1929-‘30), nell’Hakoah All Star (1930-’31), nel New York Americans (1932). Chiuse la carriera nel Red Star di Parigi (1936-‘37). In panchina allenò, nel 1937-’38, l’Ujpest. Con l’inaspirsi delle discriminazioni antisemite, Sternberg decise di lasciare l’Ungheria e, il 2 giugno 1938, ottenne il visto per gli Stati Uniti dove  morì il 4 agosto 1982.

Settimio Terracina (1917-1985) Nato a Roma nel 1917 da Alberto ed Elvira Frascati, Settimio Terracina all’età di quindici anni iniziò ad allenarsi nella palestra pugilistica della “Cristoforo Colombo” per poi proseguire la sua attività da super welter alla “Trastevere”.  Nel 1934 vinse il titolo laziale novizi, nel 1935 la “Cintura di Roma” e nel 1936 venne convocato a Senigallia tra i probabili olimpici. Il punto di svolta nella vicenda dilettantistica di Terracina, che complessivamente in questa serie disputò 63 mstch, si ebbe a Ferrara in un incontro, contro Faraoni, selettivo per i prossimi campionati europei. Il pugile romano si presentò sul ring ostentando orgogliosamente il simbolo sionista. Con  quell’attestazione della propria identità religiosa, Terracina, un anno prima delle leggi razziali, lanciava un guanto di sfida al fascismo. Colpiva, prima di essere colpito.Nel gennaio 1938 fu chiamato alle armi e assegnato al 47° Reggimento di fanteria a Martina Franca. Sperava in un trasferimento a qualche reparto stanziato a Roma per poter proseguire la sua attività sportiva, ma la legislazione razziale pose fine a ogni sua velleità venendo espulso dall’esercito e impedendogli di allenarsi nella sua palestra originaria. Così, nel marzo 1940, grazie ai documenti che gli aveva fornito il segretario della federazione pugilistica Edoardo Mazzia, riuscì a emigrare in America, a Chicago, sfuggendo alla Shoah. Negli Stati Uniti passò professionista, sotto le cure di Don Hamill, debuttando con una vittoria su Frank Krizmis, il 17 maggio 1940, alla White City Arena di Chicago.  A questa affermazione, su 11 incontri complessivamente combattuti, ne seguirono altre 5: con Hank Thorson (Chicago, 24 maggio 1940); Luther Brent (Chicago, 28 giugno 1940); Al Tibbets (Chicago, 3 settembre 1940); Thorson (Milwaukee, 1° gennaio 1941); Johnny Martin (Chicago, 1° ottobre 1941). “Terry” Terracina, come lo chiamavano Oltreoceano, chiuse la sua breve carriera contro Johnny Colan, a Chicago, il 4 aprile 1941. Acquisita la cittadinanda statunitense, il “boxeur con la stella di David” tornò in Italia con la V Armata sbarcando ad Anzio nel gennaio 1944. Fece in tempo a rivedere Roma, la sua casa di via Tribuna Campitelli, e poi venne destinato a Napoli. Del suo nucleo familiare almeno una trentina furono le vittime della Shoah, “Terry” invece fece ritorno a Chicago dove sposò Marisa Monsacrati e aprì un ristorante-pizzeria. Si è spento il 17 febbraio 1985.

Abraham Tokazier (1909-1976) Nato a Helsinki il 29 novembre 1909, Abraham Tokazier è stato un atleta dell’Urheiluseura Maccabi (1906) della capitale finnica: la stessa società per cui gareggiò anche il campione olimpico Elias Katz. Il 21 giugno 1938, nelle gare organizzate per l’inaugurazione del nuovo stadio olimpico di Helsinki, Tokazier vinse in modo netto il campionato nazionale sui 100 metri, ma la giuria, incredibilmente, lo classificò 4°. Le ragioni d’un simile scandaloso comportamento debbono probabilmente essere ricondotte al fatto che alla manifestazione assisteva una delegazione nazista che non avrebbe gradito l’affermazione d’un atleta ebreo. Del resto, la Finlandia allora cercava protezione contro il potente vicino russo proprio nella Germania nazionalsocialista con la quale combattè contro l’Unione Sovietica dal 1941 al settembre 1944. L’antisemistismo che privò di quella vittoria Tokazier, uscito indenne dal periodo collaborazionista durante il secondo conflitto mondiale, è filtrato nel romanzo di Kjell Westo Hagring 38  e, solo il 18 settembre 2013, la federazione di atletica leggera finlandese ha riconosciuto il grave danno arrecatogli in tale circostanza.

Friedrich Torberg (1908-1979) Nato a Vienna, da una famiglia ebrea boemo-tedesca, il 16 settembre 1908 come Friedrich Ephraim Kantor-Berg, questo cognome venne presto sostituito da Friedrich con lo pseudonimo di Torberg col quale è più noto. Nel 1921 i Kantor-Berg si trasferirono a Praga dove Friedrich studiò prima filosofia e poi giurisprudenza, e nel 1924 ottenne la cittadinanza cecoslovacca continuando comunque a vivere e lavorare da giornalista e critico tra la capitale boema e l’austriaca. A Vienna fu un socio dell’Hakoah giocando nella sua squadra di pallanuoto, e altrettanto fece a Praga militando nella squadra ebraica dell’Hagiborg (l’”Eroe”) che, nel 1928, vinse il campionato nazionale (Schulz, i due Polakov, Getreur, Pick, Wollner i suoi compagni di squadra). E a segnare i due gol decisivi che decretarono quell’affermazione fu proprio Torberg.  Sempre a Praga lavorò per il giornale “Prager Mittag” alternando le cronache sportive a quelle teatrali.  A dargli il successo come romanziere, avendo per mentore Max Brod, fu il romanzo Der schuler gerber (1930). Un’opera autobiografica che si rifaceva alle sue esperienze scolastiche. Nel 1935 pubblicò invece Die mannshaft. Roman eines sport lebens (Il romanzo di una vita sportiva) nel quale raccontava del giovane Harry e della sua squadra di pallanuoto. Infine, nel 1959 licenziò un saggio di ricordi sull’Hakoah intitolato Warum ich darauf stolzbin (Perché ne sono orgoglioso). Con l’Anschluss, Torberg, i cui scritti erano stati posti nella prima lista di libri indesiderati  in Germania, il 20 giugno 1938 fuggì a Zurigo. Ma il 1° giugno 1939 dovette lasciare la Svizzera e allora cercò riparo a Parigi, arruolandosi nel mese di ottobre nell’esercito cecoslovacco in esilio. Con l’invasione nazista della Francia, il 12 giugno 1940 Torberg lasciò la capitale francese con Oskar Karlweiss e raggiunse appena in tempo, prima che i tedeschi sigillassero il confine, la Spagna. E dalla Spagna, via mare, raggiuse clandestinamente il Portogallo.  Quindi, dopo aver ricevuto un invito del Pen-Club di New York, che lo inserì tra i dieci scrittori anti-nazisti (con Heinrich Mann, Franza Erfel, Alfred Doblin, Leonard Frank, Alfred Polgar ecc.) da salvare, il 9 ottobre 1940 salpò per gli Stati Uniti. Qui ottenne un contratto da sceneggiatore dalla “Warner Brothers” scrivendo il film una voce del vento che ebbe una nomination agli Oscar (1944), e lavorò per l’edizione tedesca della rivista “Time Magazine”. Si arrangiò anche come traduttore, critico  e, sposata Maria Bellak nel novembre 1945, fece ritorno a Vienna nel 1951. Dei suoi familiari, la madre Therese Berg e la sorella maggiore Sidonie il 3 novembre 1941 vennero deportate nel lagerr di Litzmanstadt dove morirono. La sorella minore Ilse riuscì invece a salvarsi, emigrando in Palestina nel 1939.

Walter Volweiler (1912-1991) Nato a Ulm, in Germania, il 17 aprile 1912, Walter Volweiler fu un calciatore dell’Ulm che, con l’avvicinarsi al potere del nazismo, riuscì ad emigrare in tempo in Francia sottraendosi alla Shoah. Oltralpe giocò nel Sète (1932), nel Rennes (1932-‘34), finendo al 2° posto nella classifica dei migliori marcatori nel campionato del 1934, e nel Charleville (1936-’39). Quando i nazisti invasero la Francia nel 1940, sfuggì nuovamente alle persecuzioni razziali raggiungendo gli Stati Uniti dove, in Florida, divenne un famoso oculista.

Leisl Westreich (1903-1990) Nata a Jaegendorf, l’8 novembre 1903, Leisl Westreich discendeva da una famiglia che possedeva le distillerie Gessler: più segnatamente suo padre Leo le gestiva in società col cognato Siegfried Gessler. Sposatasi nel 1926 con David Herbst, dirigente dell’Hakoah di Vienna, Leisl fu una eccellente tennista che riportò i campionati d’Austria del 1930, e durante la sua carriera partecipò a vari tornei internazionali (15 vinti) in Jugoslavia, Italia, Polonia, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Svizzera, Ungheria, Egitto. Tra le altre, giocò contro l’americana Helen Hull Jacobs, la francese Simone Mathieu, la tedesca Hilde Krahwinkec. Dopo l’Anschluss del 1938, fuggì con la figlia Dorrit, di tredici anni, in Inghilterra dove nel 1939 riuscì a raggiungerla il marito. Buona tennista anche Dorrit, nel 1946 fece coppia con la madre a Wimbledon. Torneo a cui, da singolarista, prese parte nel 1946, ’47, ’48. Se Leisl riuscì a sottrarsi alla Shoah non così fu per molti suoi familiari. La madre e una sorella morirono a Terezin. L’altra sorella, Gertrude, venne uccisa col marito Rudolph Lowenbein e la figlia Anna - sedicenne - durante l’insurrezione di Banska Bystrica nel 1944. 

Ilse Weihermann (1893-1963) Nata a Francoforte sul Meno il 2 settembre 1893, Ilse Weihermann (Friedleben da coniugata) fu una sportiva multiforme. Con le sorelle Toni e Anna giocò a hockey su prato nello S.c. Frankfurt 1880 e a tennis nel T.c. Palmengarten. Proprio in questo sport divenne la piu forte tennista tedesca della prima metà degli anni ’20. In particolare, dal 1920 al ’26 si aggiudicò 6 titoli nazionali di singolo venendo sconfitta solo nel 1925 dall’altra giocatrice ebrea Nelly Neppach. In campo internazionale, nel singolare arrivò al 3° turno del “Roland Garros” nel 1927 e, nello stesso torneo, ai quarti di finale del doppio misto nel 1930. Ancora nel 1933 era classificata come numero 5 in Germania e nel 1935 vinse le Maccabiadi a squadre con la compagna Loni Guttmann. Con l’ascesa al potere del nazismo, la Weihermann lasciò subito, nell’aprile 1933, il paese riparando in Svizzera, e successivamente si trasferì a Londra dove morì nel dicembre 1963.

Vilmos Wilhelm (1895-1962) Nato a Budapest il 25 novembre 1895, Vilmos Wilhelm fu un calciatore del Ferencvaros (1917-’23 e 1924-’25), del Vicenza (1923-’24, sdoppiandosi nel ruolo anche di tecnico) e della Cremonese (1925-’27). Da allenatore guidò il Vicenza (1928-’31 e 1948-’50), il Foggia (1935-‘36) e il Padova (1936-’38 e 1947-’48). Quando allenava a Padova venne costretto dalle leggi razziali a lasciare l’Italia, trasferendosi allo Slavija Sarajevo (1939-40). 

Rudolf Wetzer (1901-1993) Nato a Timisoara il 17 marzo 1901, Rudolf Wetzer fu il primo calciatore romeno a prendere parte ai campionati mondiali di calcio, giocando gli incontri con il Perù e l’Uruguay nell’edizione inaugurale del 1930. Attaccante, nella nazionale romena disputò complessivamente 17 incontri con 13 reti: il primo, il 10 giugno 1923, con la Jugoslavia a Bucarest (2-1), l’ultimo, il 26 giugno 1932, con la la Bulgaria a Belgrado (0-2) nella Coppa dei Balcani. A livello di club giocò nel Chinezul Timisoara (1921-’22 e 1925-’28, vincendovi i campionati del 1926 e ’27), nel Torevkes (1921-’22), nell’Unirea Timisoara (1925-’28), nell’Ujpest Budapest (1921-’31), nel Ripensia Timisoara (1934-’35) e nell’Hyres (1932-’33). Da allenatore guidò la Dinamo Bucarest (1948-‘52) e la Dinamo Orasul Stalin (1952). Sfuggito alla Shoah, nel secondo dopoguerra venne accusato dal regime al potere di “ideologia borghese” e “revisionismo”e riuscì a riparare in Israele, dove morì il 13 aprile 1993 ad Haifa. 

Albert Wolf (1906-1989) Nato a Barr il 13 luglio 1906, Albert Wolff fu uno schermidore ebreo francese che conquistò l’oro a squadre, nella spada, ai mondiali di Parigi (1927) e Plestany (1938). In precedenza boicottò individualmente l’Olimpiade di Berlino (1936). Trasferitosi negli Stati Uniti vi  venne naturalizzato, partecipando con la nazionale americana alle Olimpiadi di Londra (1948) ed Helsinki (1952). Nei Giochi Panamericani di Buenos Aires (1951) vinse il fioretto a squadre e giunse 2° nella spada individuale. Wolf si spense a Scottsdale il 14 giugno 1989.    

Siegfried Wortmann (1907-1954) Nato A Vienna il 18 febbraio 1907, Siegfried Wortmann fu un calciatore - dal 1923 al ’27 - dell’Hakoah della capitale austriaca con la quale conquistò il campionato del 1925. Il 18 agosto 1926, contro la Cecoslovacchia, disputò la sua unica gara in nazionale segnando il 2-1 vincente. Al pari di diversi suoi compagni di squadra giocò nel calcio statunitense militando nel New York Giants (1927-’29, 26 presenze e 12 gol) e nell’Hakoah All Stars (1929-’31, 96 presenze e 28 gol). Maquando l’American soccer league entrò in crisi, Wortmann nel 1931 rientrò in Austria aggiudicandosi il titolo nazionale con il First Vienna. A salvarlo dalla Shoah sarebbe stato il suo ritorno in America per spendervi l’ultimo scampolo di carriera nel Brookhattan (1934-’36). Si spense a Manhattan il 21 dicembre 1954. 

Benjamin Normann Yakubowitz (1925-1987) Nato a Kiev il 19 maggio 1925, ma presto emigrato in Canada, Benjamin Norman Yakubowitz (detto “Baby Jack”) fu un pugile (peso gallo) di origini ebraiche che era stato selezionato dal Was e dal Canadian jewish congress per prendere parte all’Olympiada Popular barcellonese. Da professionista debuttò il 23 settembre 1936 contro Jimmy Young, e complessivamente disputò 37 incontri con 23 vittorie (4 per K.O.), 13 sconfitte (una per K.O) e un match pari. Yakubowitz morì l’11 gennaio 1987. 

Samuel Zauber (1901-1986) Nato a Timisoara il 10 giugno 1896, Samuel Zauber giocò da portiere nel Maccabi Bucarest (1924-’25), una polisportiva fondata il 15 maggio 1919 che assunse poi il nome di Ciocanul, nello Sportul Bucarest (1926-’26) e nuovamente nel Maccabi-Ciocanul (1928-’36). Figurando tra le riserve della nazionale romena, con l’altro ebreo Rudolf Hetzer prese parte ai primi campionati del mondo in Uruguay (1930), e fu inoltre impiegato nelle Balkan Cup del 1929 e 1931. Sopravvissuto nei primi anni ‘40 ai pogrom antiebraici del governo di Ion Antonescu, che sterminarono tra i 280.000 e i 380.000 ebrei di Bessarabia, Bukovina, Dorohoi,Transnistria, e poi a quelli della “Guardia di Ferro” del  gennaio 1941, nel 1964 Zaubersi trasferì in Israele spegnendosi a Gerusalemme il 10 giugno 1986.  


BERLINO 1936 

14 “BOCCONI AMARI” PER ADOLF HITLER                                                                                                                                                                                                                                                                                

Le Olimpiadi del 1936 sono passate alla storia come le Olimpiadi di Jesse Owens. L’atleta americano di colore che vincendovi col suo formidabile talento quattro ori (100 e 200 metri, staffetta 4x100, salto in lungo) smentì clamorosamente le teorie nazonialsocialiste sulla superiorità dell’uomo ariano.  A Berlino finì inequivocabilmente con un Owens batte Hitler 4-0. Un Fuhrer per il quale, in occasione della cerimonia inaugurale del 1° agosto, “La Gazzetta dello Sport” non aveva nascosto la propria supina ammirazione:

Quando il Fuhrer raggiunge col seguito la tribuna, gli si fa incontro il Principe di Piemonte: stretta di mano vigorosa e cordiale. Le note dell’inno germanico irrigidiscono tutti sull’attenti e fanno protendere il braccio nel saluto romano. Lo spettacolo offerto dalla folla in questo attimo di entusiasmo è imponente. Echeggiano ora le note dell’inno hitleriano, quello di Horst-Wessel martire della rivoluzione nazional-socialista. Terminato l’inno, Adolf Hitler viene salutato dall’”Heil!” dei tedeschi, dai magiari e dall’alalà degli italiani.     

Ma oltre a Owens, anche altri atleti statunitensi di colore (tra questi Tidye Pickett, nata a Chicago il 3 novembre 1914, prima afroamericana a prender parte ai Giochi olimpici venendo eliminata nella semifinale degli 80 ostacoli poi vinti Ondina Valla)  lasciarono il segno in quell’Olimpiade, spingendo Alfred Kerr, un influente saggista e critico teatrale ebreo soprannominato “Kulturpast”,  a comporre i versi polemici di “Nazi-Olimpyade”: <<Una razziale ondata di sdegno/ attraversa le orde brune:/tre negri erano più in forma/ e hanno stabilito dei record;/ ai nazisti è andata peggio (Risate olimpiche)./Il guardiano della razza con le sue fesserie razziali/ ha preso un colpo in testa./ Tre negri, che sfortuna incredibile; cosa dirà “mein Fuhrer”?/ Stanno zitti i nordici spadaccini. (Risate olimpiche)./ Il “Fuhrer” geme: “L’Olimpiade/ (come è già trapelato)/ sembra proprio come lo stato dei francesi/ ebreizzata e negrizzata”./ Si lamenta: “Dio perché sei giusto!”/ (Risate olimpiche)>>.   Per molti, i successi a ripetizione di Owens valsero più d’un eventuale ritiro politico dai Giochi degli Stati Uniti. Egli però non ebbe mai una matura cognizione di quanto quelle sue imprese sportive travalicassero il puro fatto agonistico. Il suo avvicinamento all’Olimpiade hitleriana non brillò ad esempio per impegno antirazzista: sottoscrisse infatti un manifesto contro il boicottaggio di Berlino propostogli da Avery Brundage. Il presidente del Comitato olimpico statunitense (Aoc) e futuro presidente del Cio, noto per le sue simpatie filo-naziste, che inviato nel settembre 1934 in Germania per verificarvi il rispetto della carta olimpica e dello stato di diritto, non si accorse di nulla e al ritorno in patria dichiarò senza il minimo dubbio che <<da un punto di vista sportivo, gli ebrei tedeschi sono soddisfatti  della propria situazione>>.   L’atteggiamento  di Owens venne stigmatizzato da Walter White: il segretario della National Association for the Advancement of Colored People (Naacp), il quale, in una lettera del 4 dicembre 1935, lo condannò severamente. Né, dopo le Olimpiadi, Owens percepì il clima che si respirava allora a Berlino e la strumentalizzazione che il nazismo al potere aveva compiuto della manifestazione sportiva. Addirittura spese delle parole d’apprezzamento per  Hitler, e nella campagna per le prossime elezioni presidenziali si schierò a fianco del candidato repubblicano Alf Landon contro il democratico Franklin Delano Roosevelt. Non deve stupire quindi se nel 1968 i due irriverenti contestatori dei Giochi olimpici di Città del Messico, gli afroamericani Tommie Smith e John Carlos, giunsero a definirlo uno “nero bianco”. Uno “zio Tom”. Detto ciò, se il mito owensiano malgrado le sue contraddizioni continua a resistere, alcune altre affermazioni “impure”, ossia non ariane, conseguite in quell’Olimpiade rivestirono un alto valore simbolico. Si allude alle 14 medaglie che furono allora appannaggio di meno noti atleti ebrei appartenenti a varie nazioni europee ed extraeuropee (Austria, Germania, Ungheria, Polonia, Stati Uniti, Canada): nove d’oro, tre d’argento, due di bronzo. Quattordici bocconi ancora più amari e difficili da digerire per Hitler e Hans von Tschammer und Osten, il capo dello sport nazista.  E avrebbero potuto essere ancora di più se, proprio Brundage, non avesse imposto il veto alla presenza nella 4x100 americana di due staffettisti ebrei: Marty Glickman (Syracuse University) e Sam Stoller (Michigan University) sostituiti all’ultimo momento dall’allenatore Lawson Robertson con Owens e Ralph Metcalfe. Un’esclusione che secondo Harry Edwards, colui che alle Olimpiadi messicane del 1968 promosse il “Movimento olimpico per i diritti umani”, ebbe queste ragioni:

Avery Brundage era già allora il presidente del Comitato olimpico statunitense, aveva tolto dalla staffetta 4x100 due corridori ebrei sostituendoli con Jesse Owens, che aveva già vinto tre medaglie d’oro, e con Ralph Metcalfe, che era arrivato secondo nei 100 metri. Ma perché questa mossa? La squadra di velocità americana era così superiore alle altre che avrebbe vinto la staffetta con qualunque quartetto avesse schierato. Quindi la sostituzione non era avvenuta per ottenere più chance di successo. Il team era insuperabile. Ma Avery Brundage e il coach misero fuori i due corridori ebrei […], e lui disse che il motivo di quella sostituzione era che “non voleva urtare la sensibilità di Hitler facendo correre due ebrei in una squadra che avrebbe certamente vinto con i tedeschi”. Ma questo non aveva senso […] mise fuori i due ebrei non perché pensasse alla pista, no. Lo fece perché aveva paura che potessero protestare sul podio olimpico di Berlino. Contro il nazismo e contro Hitler.    

Ecco dunque,  di seguito, i protagonisti della sottile vendetta ebraica andata in scena all’Olympiastadion berlinese: 

Samuel Balter (1909-1998) Nato a Detroit l’8 novembre 1909, Samuel Balter giocò da guardia nella squadra di basket della Ucla Bruins. Come uno dei sei ebrei americani presenti alle Olimpiadi di Berlino, fece parte della nazionale statunitense che vinse il torneo cestistico disputandovi due partite e segnando 7 punti contro l’Estonia (9 agosto) e 10 contro il Messico (13 agosto). Lasciato l’agonismo divenne un famoso giornalista sportivo scrivendo sull’”Herald Express” di Los Angeles. Da telecronista fu definito “la voce del football e del basket” della Ucla. Subito dopo quelle Olimpiadi curò un programma radiofonico a Philadelphia in cui attaccò il Comitato olimpico statunitense (Aoc) per avere taciuto sul razzismo tedesco. Per queste critiche, il segretario dell’Aoc Frederick Rubien scrisse di concordare <<sul fatto che sia fondamentale approntare un piano per escludere individui del genere di Balter dalle future squadre olimpiche, indipendentemente dalle abilità atletiche>>. 

Gerard Blitz (1901-1979) Nato ad Amsterdam il 1° agosto 1901, George Blitz conquistò la medaglia di bronzo sui 100 m. dorso (1’19”) nell’Olimpiade di Anversa (1920). Giochi nei quali, con il fratello Maurice, giunse pure 2° con la nazionale belga nel torneo di pallanuoto. Il 16 settembre 1921, in 5’59”2, stabilì un record mondiale sulla distanza spuria dei 400 dorso, e ai Giochi olimpici di Parigi (1924) riconquistò un argento nella pallanuoto. Ancora presente in questo sport alle Olimpiadi di Berlino, condusse il Belgio (Albert Castelnys, Pierre Coppieters, Joseph De Combe, Henru De Pauw, Henri Disy, Fernand Isselé, EdomondMichiels, Henri Stoelen) a un altro prestigioso 3° posto.  

Ibolka Csak (1915-2006) Nata a Budapest il 6 gennaio 1915, Ibolka Csak dal 1929 al 1932 praticò ginnastica per poi convertirsi all’atletica leggera, che le avrebbe procurato grande fama. Vincitrice di 9 titoli nazionali ungheresi, di cui due nel salto in lungo, la specialità che la vide eccellere a livello internazionale fu l’alto. Alle Olimpiadi Berlino (1936), oltre a lei si elevarono a pari merito fino all’altezza di m. 1,60 anche l’inglese Dorothy Odam e la tedesca Elfriede Kaun, e quindi la giuria decise di concedere un ulteriore barrage a m. 1,62. Misura-extra che superò soltanto la Csak conquistando così l’oro. Nel 1938 si aggiudicò anche i campionati europei di Parigi, dopo che la vincitrice germanica, Dora Rajten, si rivelò in realtà un uomo: il signor Hermann Rajten. Una mistificazione nota al nazismo, che l’avallò e coprì sperando potesse portare alla Germania altre medaglie e prestigio, fin dai Giochi berlinesi.La Csak, salvatasi dalle persecuzioni razziali che in Ungheria portarono alla deportazione di 437.402 cittadini ebrei, si spense a Budapest il 9 febbraio 2006.

Gyorgy Brody (1908-1967) Nato a Budapest il 21 luglio 1908, Gyorgy Brody era già stato portiere di riserva della nazionale ungherese di pallanuoto alle Olimpiadi del 1928. Giocò due partite in quelle di Los Angeles del 1932, vincendo la medaglia d’oro, e ai Giochi di Berlino ne disputò sei, riportando nuovamente il massimo alloro olimpico. Fu anche campione d’Europa nel 1931 e 1934. Durante la seconda guerra mondiale venne deportato e costretto ai lavori forzati sul fronte orientale. 

Ilona Elek (1907-1988) Nata a Budapest il 17 maggio 1907, Ilona Elek, diplomata al conservatorio e donna elegante ed emancipata che lontano dalle pedane amava passeggiare con un lungo bocchino fra le labbra, è stata una delle schermitrici più titolate nella storia della scherma. Sport in cui hanno particolarmente primeggiato campioni e campionesse di origine ebraica. Dal 1924, quando venne introdotto il fioretto femminile ai Giochi olimpici con una vittoria della danese Ellen Osiier, sino al 1948, l’oro venne ad esempio sempre conquistato da atlete ebree. La prima a interrompere una simile egemonia fu l’italiana Irene Camber, a Helsinki, nel 1952. La Elek, cresciuta in una famiglia di sette fratelli e sorelle tra cui Margit (1910-1986), anch’essa schermitrice plurititolata, vinse i campionati mondiali individuali nel 1934 a Varsavia, davanti a Margit, nel ’35 (Losanna) e nel ’51 (Stoccolma), e quelli a squadre nel 1934, ’35, ’37 (Parigi), ’51, ’52 (Copenaghen), ’53 (Bruxelles), ’54 (Lussemburgo). Alle Olimpiadi s’impose individualmente a Berlino (1936), Londra (1948) e a Helsinki (1952) finì seconda. Dato oltremodo significativo, l’intero podio dell’edizione berlinese fu occupato da fiorettiste ebree: lei, la tedesca Helene Mayer e l’austriaca Ellen Preiss. Prima ungherese ad aggiudicarsi un titolo olimpico, durante il periodo delle persecuzioni razziali a Ilona Elek venne totalmente impedito di proseguire la sua attività sportiva. 

Robert Fein (1907-1975) Nato a Vienna il 9 dicembre 1907, Robert Fein fu un ex ginnasta e nuotatore che nel 1928 optò definitivamente per il sollevamento pesi gareggiando per il club viennese “Ursus”. Nella nuova disciplina colse subito una vittoria - tra i leggeri - nei campionati europei del 1929 e nelle Olimpiadi del 1936 fu vittima di un sopruso razziale da parte dei giudici tedeschi che cercarono così di penalizzare un concorrente ebreo. Fein sollevò 342,5 kg. come l’egiziano Mohammed Ahmed Mesbah, ma la giuria gli negò la vittoria a pari merito sostenendo che il suo peso era superiore a quello dell’avversario. Contro questa decisione Fein fece ricorso, e il Ciò assicurò che si sarebbe rimediato al maltolto recapitandogli una medaglia d’oro. Premio che però non ricevette mai. Piuttosto, con l’Anschluss del 1938 fu costretto a darsi alla macchia per sfuggire alle persecuzioni antisemite. 

Endre Kabos (1906-1944) Nato a Nagyvarad il 5 novembre 1906, Endre Kabos ebbe per maestro l’italiano Italo Santelli e tirò di scherma per il Vac e, dal 1930, l’IstvanTisza di Budapest. Campione europeo a squadre con l’Ungheria nel 1931, ’33, ’34 e ’35 e individuale nel ’33 e ’34, dopo quest’ultimo successo aprì un suo negozio di generi alimentari e poté riprendere a gareggiare solo grazie all’intervento di un mecenate. Alle Olimpiadi vinse l’oro a squadre e un bronzo individuale a Los Angeles (1932) nella sciabola, mentre in quelle di Berlino doppiò vittoriosamente le due competizioni - sempre da sciabolatore -  aggiudicandosi sia la prova collettiva che singola. Durante la seconda guerra mondiale venne internato per cinque mesi in un campo di lavoro forzato a Vax in Ungheria, e nel giugno 1944 fu deportato nel lager per soli ebrei ungheresi di Felsohangony. Sulla sua fine, il 4 novembre 1944, esistono due versioni distinte e contrastanti. Per la prima sarebbe morto accidentalmente transitando sul ponte Margherita di Budapest, fatto saltare dai tedeschi. Per la seconda sarebbe fuggito dal campo in cui era costretto, si sarebbe unito alla Resistenza e il suo decesso avvenne in un conflitto a fuoco con gli occupanti per la difesa del ponte Margherita.

Karoly Kellner (1906-1996) Nato a Eger il 2 luglio 1906, Karoly Kellner, più noto come Karoly Karpati, fu un grande lottatore della “libera” nella categoria pesi leggeri. Nel 1925 vinse il suo primo titolo nazionale ungherese fra gli juniores, cui fece seguire altri 10 titoli nazionali assoluti. A livello internazionale si aggiudicò i campionati europei del 1927, ’29, ’30 e ’35 e, soprattutto, si distinse in tre diverse edizioni dei Giochi Olimpici. In quella di Amsterdam (1928) si classificò 4°, a Los Angeles 2°, battuto solamente dal francese Charles Pacome, e a Berlino, il 4 agosto 1936, riportò la medaglia d’oro sconfiggendo il lottatore tedesco Wolfgang Ehrl. Con le persecuzioni razziali che investirono anche l’Ungheria, Kellner-Karpaty venne deportato a Davidovka, in Ucraina, dove fu testimone della brutale uccisione dello schermidore Attila Petschauer. Sopravvissuto alla Shoah, morì a Budapest il 23 settembre 1996.  

Helene Mayer (1910-1953) Nata a Offenbach am Main il 10 dicembre 1910 e allenata dall’italiano Arturo Gazzera, Helene Mayer fu una grande schermitrice dagli straordinari mezzi fisici, definita da Nedo Nadi <<alta come un granatiere di Pomerania>>,  che vinse le Olimpiadi di fioretto del 1928 ad Amsterdam, i campionati europei del 1929 e ’31 e finì quinta ai Giochi olimpici del 1932. Suo padre Ludwig era uno stimato medico, presidente della comunità ebraica di Offenbach. In prossimità dell’Olimpiade di Los Angeles la Mayer si trasferì negli Stati Uniti per studiare lingue presso lo “Scripps College” di Claremont, e laureatasi le venne offerto d’insegnare tedesco al “Mills College” di Oakland. Lì venne colta dalle Leggi di Norimberga e, quasi negli stessi giorni, il 27 settembre 1935, sul “New York Times” apparve un articolo dal titolo: “Il Reich chiama due ebree nella squadra olimpica Helene Mayer e la saltatrice in alto Gretel Bergmann”. Si trattava d’una “merce di scambio”, d’una minima concessione volta ad ammorbidire l’intransigenza degli Stati Uniti che minacciavano di boicottare i Giochi berlinesi, e sulla base di queste promesse la Mayer, il 13 febbraio 1936, s’imbarcò per la Germania divenendo così l’unica ebrea tedesca cui il nazionalsocialismo - un atto di “buona volontà” di Hitler secondo il membro americano del Cio Charles Scherril - permise strumentalmente di gareggiare in quelle Olimpiadi. In tal modo la Mayer - allenata al suo rientro in patria daun altro italiano: il maestro Francesco Tagliabo -si prestò a un compromesso di basso profilo, giunse oltretutto seconda nella finale olimpica battuta dall’altra atleta ebrea Ilona Elek, e a coronamento di questo maquillage di regime sul podio ringraziò la folla col saluto hitleriano. Un’umiliazione che non bastò a Reinhard Heydrich - il coordinatore della riunione di Wannsee sulla “soluzione finale”, nonchè presidente della federazione schermistica tedesca -, il quale al termine della cerimonia di premiazione la accusò, da “maledetta ebrea”, di aver fatto perdere alla Germania una medaglia d’oro. Ottenuto quanto più o meno si prefiggevano, i nazisti nel 1938 irruppero nella casa della madre ariana minacciandola, i suoi due fratelli sopravvissero alla Shoah soltanto riuscendo a nascondersi in alcuni sperduti villaggi della Foresta Nera, mentre lo zio Georg August Mayer morì nel Kl di Terezin. Cercando di spiegare il comportamento tenuto dalla Mayer, Richard Cohen ha scritto: <<Quanto le sue azioni furono motivate dal timore di rappresaglie contro la sua famiglia? Pare ben poche, anche se questo fu senz’altro uno dei fattori. E’ più probabile che il suo tenace attaccamento a tutto ciò che era tedesco e le sue ambizioni come schermitrice abbiano giocato una parte più importante. Forse Helene Mayer è stata la più grande fiorettista di tutti i tempi, ma di certo non la persona giusta per l’epoca e per le decisioni eccezionali che fu costretta a prendere>>. 

Irving Meretsky (1912-2006) Nato a Windsor il 17 maggio 1912, Irving Meretski fu, oltreché quarterback del Windsor Patterson Collegiate, soprattutto un giocatore di basket dello stesso college (1933-’35), del Windsor Ford V-8 (1935-’38), col quale vinse il titolo nazionale canadese nel 1935-’36, del Windsor Alumni (1938-’39) e del Port Alberno (1939-41). Membro della nazionale canadese, partecipò (con i compagni della Ford V-8 Aitchison, Allison, Chapman A. e C., Dawson E. e N., Gray, Nantais, Osborne, Peden, Pendlebury, Stewart, Wiseman; coach Gordon Fuller) alle Olimpiadi di Berlino giocando due partite del torneo di pallacanestro, perso 19-8, il 14 agosto 1936, nella finale contro gli Stati Uniti. Lasciato l’agonismo, nel 1952-’53 allenò lo Shaar Hashomay Synagogue dell’Ontario basketball association (Oba).

Ellen Preiss (1912-2007) Nata a Charlottenburg, in Germania, il 6 maggio 1912, il padre di Ellen Preiss era ebreo e la madre un’”ariana” tedesca. Quando aveva diciotto anni la famiglia si trasferì a Vienna, e lì iniziò a essere allenata nella scherma dallo zio. Vincitrice di 17 titoli austriaci, gareggiando per la Fechtsaal Werdnick e l’Union fecthclub di Vienna, disputò tutte le Olimpiadi di fioretto dal 1932 al 1956. A Los Angeles (1932), avendo la doppia cittadinanza austro-tedesca, intendeva parteciparvi per la Germania, ma quella federazione respinse la sua richiesta. E così l’austriaca Ellen Preiss vinse i Giochi olimpici americani battendo l’inglese Heather (“Judy”) Guiness, erede della famiglia produttrice della famosa di birra. All’Olimpiade di Berlino Ellen conquistò una medaglia di bronzo, un altro bronzo se lo aggiudicò in quella di Londra (1948) e fu ancora settima a Melbourne nel 1956. Individualmente, vinse anche i campionati del mondo di Lisbona (1947), Il Cairo (1949), Montecarlo (1950). Lasciato l’agonismo divenne professore emerito della Universitat fur Musik Darstenllende Kunst di Vienna.

Miklos Sarkany (1908-1998) Nato a Szamaranemeti il 12 agosto 1908, Miklos Sarkany vinse i campionati europei di pallanuoto del 1931 (Parigi) e del 1934 (Magdeburgo). Nell’Olimpiade del 1932 (Los Angeles) che laureò l’Ungheria, disputò una partita e fu pure titolare in tre incontri che videro nuovamente trionfare, su Germania e Belgio, la nazionale magiara (Gyorgy Brody, Mihali Bozsi, Jeno Brandi, Oliver Halassi, Kalman Hazai, Marton Homonnai, Gyorgu Kutasi, Isvan Molnar, Janos Nemeth, SandorTarics).

Jadwiga Wajs (1912-1990) Nata a Pabianice, nell’ex impero russo, il 30 gennaio 1912, Jadwiga Wajs prese ad allenarsi presso il “Sokol” (21 ginnaste aderenti a questa organizzazione sportiva furono uccise nel Kl di Mauthausen) della sua città sotto le cure di Wladislaw Marciniak avendo per modello la lanciatrice Halina Konopacka. Nel 1931 si diplomò alla scuola di commercio di Lodz e quell’anno, l’8 settembre 1931, a Kroslewska Huta esordì nella nazionale polacca contro l’Italia lanciando nel disco m. 36,72. Fu anche l’ultima volta in cui perse un confronto diretto con la grande Konopacka. Alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 giunse terza con m. 38,74 e nei Giochi di Berlino seconda, alle spalle della tedesca Gisela Mauermayer (m. 47,63), con m. 46,22. Nel 1943 fu arrestata dalla Gestapo e tradotta col marito, l’ingegnere Franciszek Gretkeiwicz, nella prigione di Aleja Suzcha. Scampata alla Shoah, dopo l’insurrezione di Varsavia tornò a vivere a Pabianice e, nel 1945, riprese a gareggiare vincendo peso e disco ai campionati polacchi. Nel 1946 fu ancora terza nel disco (m. 39,37) dei campionati europei di Oslo, e nel 1948 si piazzò quarta nei Giochi olimpici di Londra (m. 39,30).


HAKOAH VIENNA: 

UNA GRANDE STORIA PER NON DIMENTICARE                                            

Come scrisse George L. Mosse i <<ginnasti austriaci aggiunsero nel 1880 una pregiudiziale ariana ai loro regolamenti e la loro Lega era vicina alle posizioni pangermaniste di Georg Von Schonerer>>.  Un antisemita, punto di riferimento giovanile per l’austriaco Adolf Hitler, che con le sue posizioni spinse nel 1899 alla costituzione della prima società ginnastica viennese composta esclusivamente da ebrei. Dieci anni dopo, il 26 settembre 1909, sempre nella capitale dell’impero austro-ungarico nasceva l’Hakoah (Forza): il più importante club sportivo ebraico, per storia e titoli, d’Europa.  Vienna d’altronde era una città in cui la presenza della comunità ebraica era assai forte - nel 1910 raggiungeva l’8,6% (175.294 cittadini) su una popolazione complessiva di 2.031.420 abitanti e nel 1923 crebbe fino al 10,1% (202.513) su 1.865.780 -, e quindi antisemitismo da una parte e svilupparsi del sionismo all’interno d’un gruppo sociale assai numeroso e intraprendente dall’altro, non potevano che avere un significativo sbocco anche sportivo. Senza dimenticare, inoltre, che tutti e tre gli austriaci iscritti alle prime Olimpiadi moderne di Atene (1896) erano ebrei (Paul Neumann: oro nei 500 m. di nuoto; Otto Hershmann: argento nei 100 m. di nuoto; Adolf Schmal :oro nella 12 ore e bronzo nella prova a cronometro e nella 10 km. di ciclismo), e che, su 52 medaglie olimpiche conquistate dall’Austria tra il 1896 e il 1936, 18 (24,6%) erano state opera di ebrei: <<undici volte più di quante ne avrebbero vinte - ha notato Franklin Foer - se avessero gareggiato proporzionalmente alla loro popolazione>>.  Lo scrittore Friedrich Torberg affermò che l’Hakoah aveva insegnato ai suoi avversari a dire “Signor ebreo”, e pare che per la sua squadra calcistica simpatizzasse persino Franz Kafka. L’Hakoah, insomma, rappresentò l’esempio più mirabile di“Muskelijudentum” e divenne un simbolo d’orgogliosa appartenenza ebraica. Su posizioni sioniste, giunse a contare durante gli anni ’20 e ’30 quasi 7000 associati, scelse per colori il bianco e il blu del movimento nazionale e sulle  maglie dei suoi atleti campeggiava una grande stella di David. L’idea di dare vita a un sodalizio sportivo con queste caratteristiche prese corpo a seguito dell’incontro calcistico amichevole tenuto a Vienna, il 23 maggio 1909, fra la squadra ebraica del Vivo es atletikaiclub (Vac) di Budapest e quella locale del Cricket football klub. Leopold Lipot del Vac propose di creare una squadra simile anche nella capitale austriaca e, il 16 settembre 1909, a cura di David Weinberger, nella sala di lettura degli studenti ebrei di Horlgasse si ritrovarono in una riunione preparatoria i soci-fondatori che, oltre a Weinberger, comprendevano Fritz Lohner, Weisz, Rufeisen, Benedikt, Ullmann. Così, ufficialmente, l’Hakoah vide la luce a distanza di dieci giorni, eleggendo primo presidente Fritz Lohner e potendo contare tra i  cofondatori anche Robert Stricker, che nel primo dopoguerra siederà nelle aule del Parlamento austriaco. Lohner rimase in carica sino al 1919, quando gli subentrò Ignaz Hermann Korner (con vicepresidente Eugen Felix), e dal 1928 al 1938 la presidenza fu ricoperta da David Herbst. Nel 1913 l’Hakoah fissò la sede e i propri campi d’allenamento nella “Birnerplatz” di Florisdorf. Un sito dimostratosi presto inadeguato alle sue esigenze, e dopo la guerra si trasferì in un’area, tra Krieau e Praterkai, nel secondo distretto viennese di Leopoldstadt. Qui, su una superficie di 37.000 mq., sorgevano impianti per la pallamano e l’hockey, 6 campi da tennis, una pista di 400 m. e uno stadio - progettato da Hanns Rosenberg - con tribune in legno e una capienza di 18.000 spettatori. Stadio inaugurato con un torneo promosso durante le festività pasquali del 1922. Su questo terreno da gioco si sviluppò la gloriosa epopea calcistica - con dirigenti della sezione Korner e Arthur Baar - dell’Hakoah: la squadra dei sionisti, mentre il rivale Wiener Amateur era considerato quello degli ebrei assimilati.  Le origini della sezione calcistica dell’Hakoah risalgono al 1909, allorché si affiliò alla federazione calcistica austriaca, nel 1910 confluirono al suo interno numerosi calciatori anch’essi ebrei del Florisdofer Columbia e nel 1910-‘11 una sua squadra (Freund, Bader, Dukes, Straussler, Fritz, Weinberger, Jeno Gansl, Robert Spitzer, Ali Schonfeld, Mahl, Heidi Rosenthal) prese per la prima volta parte al campionato di quarta divisione. Salita in terza, nel 1911-‘12 si classificò terza dietro F.k. Sturm e Rennweger, e trascorsi pochi anni il suo portiere Wilhelm Halpern, il 15 luglio 1917, scese in campo con la nazionale austriaca opposta all’ungherese. Egli fu il primo di una lunga serie, poiché anche questi altri giocatori dell’Hakoah furono nel tempo chiamati a vestire le maglie di varie nazionali europee: Friedrich Donnenfeld, Leopold Drucker, Otto Fischer, Maximilian Gold, Max Grunwald, Moses Hausler, Norbert Katz, Alexander Neufeld, Egon Pollak, Max Scheuer, Siegfried Wortmann (Austria); Béla Guttmann, Jozsef Eisenhoffer, Sandor Nemes, Rudolph Nikolsburger, Deszo Grosz, Erno Schwarz (Ungheria); Isidor Gansl (Romania); Edmond Weiskopf (Francia). Nel 1919-‘20 l’Hakoah - allenato da Gusti Huber - conquistò la promozione in prima divisione, e già nel 1920-‘21 vi finì 4°. Nel 1921-‘22 sfiorò il titolo dietro allo S.k. Wiener e nel 1922-‘23 si piazzò 7°. In quella stagione l’”11” ebraico (Halpern, Scheuer, Grunfeld, Kerr, Guttmann, Pollak, Neufeld, Hausler, Gansl, Hess, Katz) fu però protagonista d’una impresa a suo modo storica. Il 19 maggio 1923, davanti a 40.000 spettatori, ospitò allo stadio Hohe Warte di Vienna gli inglesi del West Ham pareggiando la partita 1-1 (Hausler 25’, Watson 36’). Un risultato estremamente onorevole e, il 3 settembre 1923, restituì la visita recandosi per l’incontro di ritorno a Londra. Un match che, a Hupton Park,  i “biancoazzurri” (Halpern, Scheuer, Gold, Kerr, Guttmann, Pollak, Neufeld, Hausler, Grunwald, Lajos Hess, Katz) vinsero clamorosamente - con reti Neufeld 24’, 31’, 48’, Hess 36’, Katz 61’ - 5-0. Per il superbo football britannico si trattò di una delle più pesanti dèbacle mai subite, mentre l’Hakoah accrebbe la sua fama internazionale che la portò a compiere in quegli anni svariate trasferte all’estero.  Nel 1924 e nel ’25 sconfisse 2-1, con una doppietta dell’ala destra Neufeld, lo Slavia Praga imbattuto in casa da un decennio, e poi 6-5 in rimonta a Vienna. Sempre in quel biennio giocò in Egitto e in Palestina (al Cairo, Alessandria, Port Said, Gerusalemme, Tel Aviv) e nel 1926 intraprese una lunga tournèe transoceanica. Partito da Vienna il 6 aprile, l’8 aprile a Parigi umiliò il Racing 10-4, e imbarcatosi per l’America vi giunse il 17. Negli Stati Uniti Korner e due altri dirigenti dell’Hakoah furono ricevuti alla Casa Bianca dal presidente Calvin Coolidge, e il sindaco di New York, Jimmy Walker, consegnò alla squadra le chiavi della città. Proprio a New York avvenne il debutto, il 20 aprile 1926, contro i Brooklin Wandereres battuti 3-0, e successivamente, macinando gare a ritmo frenetico, l’Hakoahaffrontò questi avversari: Lavenders 0-0 (New York, 21 aprile); Kombination Isl 4-0 (New York, 25 aprile); New York Giants 0-3 (New York, 1° maggio); Providence Clamdiggers 2-2 (Providence, 2 maggio); Sparta Aba 6-1 (Chicago, 9 maggio); St. Louis Stars 4-2 (St. Louis, 15 maggio); Chicago Stars 2-3 (Chicago, 16 maggio); Brooklin Wandereres 6-4 (Brooklin, 22 maggio); Newark Skeeters 3-3 (Jersey City, 23 maggio); New York Giants 2-1 (New York, 29 maggio); Philadelphia Field Club 3-0 (Philadelphia, 31 maggio). L’Hakoah si era rivelato un autentico rullo compressore con 7 vittorie, 2 sconfitte e 3 pareggi; 35 gol realizzati e 20 incassati. Numeri-record che indussero l’American Soccer League (Asl) fondata nel 1922 ad avanzare delle offerte economiche vantaggiosissime a molti elementi (nel caso di Béla Guttmann gli venne garantito un bpnus d’ingresso di 500 dollari e un salario mentile di 350) della squadra ebraica viennese, che si vide privata di ben 10 suoi titolari. Guttmann, Max Grunwald, Moses (Moritz) Hausler, Erno Schwarz,  Gustav (Egon) Pollak firmarono un contratto che li legava ai New York Giants; AlexanderNeufeld, Jozsef Esienhoffer, Heinrich Schonfeld, Leo Drucker, Lajos Fischer ai Brooklin Wanderes. A compiere questa razzia furono i due presidenti ebrei di Giants e Wanderers, rispettivamente Maurice Vandewehhe e Nathan Agar, i quali contavano di sfruttare il grande bacino di tifosi ebrei dello stato di New York. Il successo della prima passerella in nord-America ne assicurò una seconda nel 1927, toccando stavolta anche Toronto e Montreal. Un nuovò viaggio che indebolì ulteriormente l’Hakoah viennese, poiché stavolta ad accettare le allettanti prospettive statunitensi furono Alexander Fabian, Max Gold, Siegfried Wortmann e Rudolph Nikolsburger. La trasferta, in aggiunta, non diede neppure gli introiti sperati. Alle tredici gare disputate assistette la metà degli spettatori raccolti nel 1926, e si concluse con un passivo di 30.000 dollari e le dimissioni da presidente della società di Ignaz Hermann Korner. Nella fugace stagione del soccer ebraico i calciatori dell’Hakoah fermatisi negli Stati Uniti rimasero anch’essi invischiati nel duro scontro tra Asl e United states football association (Usfa), l’organismo ufficiale del calcio americano. Tuttavia nel 1928-’29 il New York Hakoah, una nuova creatura di Vandewehle nella quale erano confluiti molti di loro, giunse secondo alle spalle del Bethelem Steel nella Eastern League dell’Usfa, e vinse la United states open cup (1929). Nella semifinale della Divisione est l’Hakoah newyorkese batté il New York Portuguese e nella finale si trovò di fronte il New York Giants, superato grazie a un gol di Eisenhoffer. Approdata così alla finalissima dell’Open cup contro i vincitori dell’altra Divisione, i Saint Louis Madison Kennel, la squadra capitanata da Guttmann prevalse in trasferta e, il 7 aprile 1929, si ripetè nel ritorno per 3-0 con reti di Schwarz, Grunwald e Hausler. Infine, l’ultimo atto di questa vicenda portò nel 1929 alla fusione tra New York Hakoah e Brooklin Hakoah dando vita all’Hakoahall Stars, un’esperienza che ebbe però una durata limitata per la profonda crisi che nel 1933, con la Grande Depressione, investì il soccer.  Intanto, prima che la rovinosa emorragia americana rovinasse tutto, l’Haokah originale aveva continuato la sua regolare ascesa nel campionato austriaco. Classificatosi nel 1923-’24 6°, nel 1924-‘25, all’atto dell’introduzione del professionismo nel paese, s’aggiudicò il titolo nazionale precedendo l’Austria Vienna. Successo ottenuto da questo organico allenato dallo scozzese William Brown Hunter: Alexander Fabian, Scheuer, Joszef e Max Grunfeld, Gold, Richard Fried, Guttmann, Pollak, Neufeld, Schwarz, Hausler, Eisenhoffer, Katz, Grunwald, Karl Duldig, Jacob Wegener, Heinrich Foss. La sicurezza del titolo giunse alla terz’ultima giornata, il 6 giugno 1925, nella partita esterna col Wiener Sport-Club. Verso la fine della gara il risultato era bloccato sul 2-2 e il portiere dell’Hakoah Fabian, infortunatosi gravemente, era stato sostituito in porta da un compagno restando però in campo in un altro ruolo. L’incontro sembrava ormai destinato al pareggio, ma proprio Fabian con un tiro deviato da un avversario all’81’ siglò il 3-2 del successo. Un risultato storico, che non ebbe seguito. Settima nel 1925-’26, e ormai decimata dalle defezioni dei suoi migliori talenti attirati dagli ingaggi statunitensi, nel 1927-’28 retrocesse in seconda divisione. Una breve permanenza nella serie inferiore,  giacché nel 1928-‘29 ritornò immediatamente nell’élite del calcio austriaco inanellando 24 partite vinte su 24, 104 reti fatte e 13 subite. Da qui in avanti l’Hakoah iniziò un’altalena fra A e B.  Nel 1929-‘30 finì nuovamente tra i “cadetti”, e nel 1930-’31 risalì in prima divisione giungendo seconda alle spalle del Brigittenauer. In questa serie rimase sino al 1934-’35, stagione in cui raggiunse pure la semifinale di Coppa d’Austria, per ricadere in B nel 1937 con un’unica vittoria in 21 partite. Il suo penultimo anno di attività in quanto con l’Anschluss del 1938 (quando stava per risalire in A e fra i papabili che avrebbero potuto allenarla era stato fatto nuovamente il nome di Béla Guttmann, che già vi aveva seduto in panchina) la squadra ebraica viennese fu estromessa dai campionati.  Oltre che nel calcio, la polisportiva Hakoah si distinse in diverse in altre discipline conseguendo delle prestigiose affermazioni grazie alla competenza di allenatori quali Erich Friedmann e Karl Koller (atletica leggera); Ernst Wengraf e Hugo Neumann (hockey su ghiaccio); Hugo Kohn (sport invernali); Oskar Gunser e Paul Rudolfer (lotta); Moshe Harnik, Samu e Zsigo Wertheimer (nuoto). Soprattutto Zisgo Wertheimer (16 gennaio 1897 - 18 marzo 1965) divenne uno dei tecnici austriaci di maggior notorietà, operando nella sezione natatoria (fondata nell’inverno del 1910-’11 da Sigmund Deutsch) che inizialmente si allenava presso la “Beatrixbad” e, dopo la Grande Guerra, nella piscina scoperta Hakoah di Kuchelau. In gioventù Wertheimer praticò atletica, calcio, hockey, sport acquatici, e specializzatosi in questi ultimi d’estate gestiva dei corsi di nuoto nello “Strand-un Sportbad Werzer” a Portschacham Worthersee e negli altri mesi presso la “Dianabad” di Vienna. Dalla sua scuola uscirono molte campionesse austriache, che emersero anche a livello internazionale specie nella rassegna europea del 1927. Fritzi Lowy vinse 25 titoli nazionali, i 100 e 300 crawl (e nei nei 200 rana finì seconda in 3’27”4) alle Maccabiadi del 1932, nelle quali tutte le gare femminili in programma e la 4x100 furono appannaggio delle nuotatrici dell’Hakoah, e i 400 in quelle del 1935, dove terminò anche seconda nei 100. Hedy Bienenfeld dominò a lungo i 200 rana in Austria, collezionando tempi di 3’38” nel 1925, 3’34” nel ’26, 3’25”3 nel ’27, 3’27”4 nel ’28, 3’15”8 nel ’29, 3’19”2 nel ’30, 3’15”6 nel ’31, e alle Maccabiadi riportò i 100 dorso e i 200 rana nel 1932 (oltre a un 2° posto in 1’27”8 sui 100 crawl e un terzo sui 300) e i 200 rana nell’edizione del ’35. Idy Kohn - classe 1908 - partecipò ai 100 rana degli europei del 1927, vinse il campionato d’Austria del 1930 in 1’34”8 e nel 1938, col marito Harold Maresh, riuscì a lasciare in tempo il paese emigrando negli Stati Uniti. Hansi Brattman - campionessa austriaca dei 100 rana nel 1931 in 1’37” - arrivò seconda nei 100 dorso (1’35”2) e terza nei 200 rana (3’56”6) nelle Maccabiadi del ’32. Lucie Goldner si piazzò seconda nei 100 dorso (1’35”7) nelle Maccabiadi del 1935 e, con le compagne Ruth Langher (terza nei 200 rana in 3’43”6 alle Maccabiadi del 1935) e Judith Deutsch, boicottò le Olimpiadi del 1936 per cui era stata selezionata. Le “ondine” dell’Hakoah riportarono altresì ripetutamente la vittoria nella Traversata a nuoto di Vienna: la “Querc dur Wien” di cui scriveva nei suoi diari Robert Musil. Gara in acque libere che la Bienenfeld fece sua nel 1925 (49’42”), la Lowy nel 1926, ’27, ’30 (53’23”; 49’46”; 48’32”) e la Deutsch nel 1935 (54’45”).  Un altro campione Hakoah degli sport acquatici fu il tuffatore Walter Arnold, che s’aggiudicò il titolo austriaco del trampolino nel 1924. Ancora: la squadra di pallanuoto (Hugo e Maggi Rosenblatt, Flesh, Haftl, Reiser, Landesmann, Klein, Mondschein, Guth, Haftl, Weigler) riportò i campionati nazionali dal 1926 al ’28. Pallanuoto che tra i suoi giocatori annoverò anche lo scrittore Torberg e in specie George-Gyuri Flesh, attaccante con 33 presenze in nazionale e componente della rappresentativa classificatasi terza negli europei di Parigi del 1931. Per quanto riguarda l’atletica leggera, Arpad Blody (2° e 3°,in 4’10”2e 4’25”4, sui 1500 m. nelle Maccabiadi del 1932 e del 1935, e ancora 2° nella staffetta 3x1000 - con Leopold Pollak e Fritz Deutscher, 8’42”6 - e 4° sui 5000 nell’edizione del ’35) riuscì campione d’Austria dei 5000 nel 1927, degli 800 nel 1929, dei 1500 nel 1930, ’31, ’32. Un altro atleta dell’Hakoah che ben si comportò alle Maccabiadi (2° sui 10 km. su strada, 5° nei 5000 e 6° nei 1500, in 4’16”4, nel 1932) e si fregiò di titoli austriaci fu Walter Frankl, impostosi sui 5000 nei campionati nazionali del 1928 e ‘29 e nei 10.000 su strada nel 1929; e lo stesso fece, sugli 800 Fritz Deutscher nel 1932. Detscher il quale vinse inoltre i 400 nelle Maccabiadi del 1932 e, in quelle del 1935, s’affermò con la 4x400, giunse 2° nei 400 ostacoli (63”7) e 5° nei 400. Alfred Konig (Vienna, 2 ottobre 1913), con personali di 22”0 sui 200 (1936) e di 49”1 sui 400 (1936), prevalse nei 200 e finì 2° nei 400 (53”0) e 4° nei 100 nella Maccabiade del 1935, oltre a vincere il campionato austriaco dei 400 nel 1936. Quell’anno partecipò altresì alle Olimpiadi di Berlino in cui, nelle batterie dei 200 e 400, giunse 6° e 4° (49”4). Passando alla lotta, questa sezione venne creata nel 1912 da Sigmund Deutsch e all’inizio i suoi adepti si allenavano in una scuola Talmud Thorah di Vienna. Ad attestare la loro eccellenza valgono i risultati conseguiti da Nikolaus “Micki” Hirschl, che si affermò nell’europeo del 1932 e riportò due medaglie di bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles (1932). Hirschl centrò la vittoria anche nella Maccabiadi del 1932, così come Israel Birnbaum ed Erich Fincsus che, nato il 22 dicembre 1912, si ripeté pure nelle seconde Maccabiadi (1935) e nel ’36 gareggiò tra i pesi piuma nei Giochi olimpici di Berlino combattendo contro il finnico Aarne Eeemel Rieni e il greco Biris. I lottatori dell’Hakoah risultarono importanti pure come nuclei di difesa per le altre sezioni e collaborarono attivamente con i “gruppi Haganah” (formazioni paramilitari presenti anche in Palestina durante il mandato inglese), che agivano a protezione dei quartieri ebraici fatti oggetto di attacchi antisemiti. Nel tennis spiccano le figure di Leisl Westreich Herbst, campionessa austriaca di singolare nel 1930, e di Willi Ehrenreich (1906-2011) che nel 1926 ebbe l’onore di giocare con il re di Svezia Gustavo V. Svezia nella quale, con l’Anschluss, riparò con la moglie Martha sfuggendo alla Shoah. Nel tennis tavolo il pongista dell’Hakoah più rappresentativo fu Karl Duldig, vincitore dei campionati nazionali di singolo nel 1923 e ’24. Infine, a cogliere l’ampiezza dell’intervento sportivo dispiegato dall’Hakoah nella Vienna pre-Anschluss, occorre dire che essa curò anche scherma, boxe, hockey su ghiaccio e su prato, pallamano e pallacanestro, escursionismo e sport della neve. Con l’annessione dell’Austria da parte della Germania (12 marzo 1938) il sodalizio venne sciolto, anche dopo aver apportato delle modifiche allo Statuto che si dava ora per scopo esclusivamente <<l’educazione fisica e culturale ebraica degli iscritti per l’emigrazione in Palestina o in altri paesi>>; i suoi  dirigenti furono rimossi e le strutture confiscate, assegnandole allo Sturmabteilung-Standarte 90. Provvedimenti presi con estrema tempestività, tanto che il 14 marzo 1938 le misure antiebraiche assunte in Austria si ripercossero subito sul medesimo sport non ariano. Il Reichsportfuhrer Hans Von Tschammer und Osten fissò in quattro punti il nuovo ordine: <<1. Nomina alla guida del “Fronte dello sport e della ginnastica” di Freidrich Rainer, segretario politico del Partito nazionalsocialista austriaco. 2. La Federazione cristiana di ginnastica veniva sciolta e tutti gli sportivi ebrei dovevano essere espulsi dalle società austro-tedesche. I sodalizi sportivi ebraici non potevano aderire al Fronte dello sport e della ginnastica. 3. Attraverso uno specifico accordo, veniva sancita la collaborazione tra SA e SS col Fronte dello sport e della ginnastica. 4. Il Fronte dello sport e della ginnastica austriaco sarebbe stato incorporato nella Lega dello sport tedesco>>. Riassumendo: dei veri e propri pogrom e un’Anschluss pure sul piano sportivo. Conseguentemente, già il 27 marzo 1938, titolando “Nessun ebreo nella Federazione atletica”, il “Wiener Zeitung” scriveva: <<Tutte le associazioni in cui risultino soci-atleti ebrei sono tenute ad espellerli senza indugio. Allo stesso modo i dirigenti o funzionari ebrei delle società sportive debbono dimettersi o essere licenziati>>. Anche la stampa italiana diede notizia dello scioglimento dell’Hakoah, e su “Il Calcio illustrato” scriveva Leone Boccali:

Il grandioso avvenimento storico registrato il 13 marzo […] ha avuto ripercussioni nel mondo calcistico. Non vi sarà, d’ora in avanti, che un’unica nazionale Germanica […] e quindi scomparirà come unità autonoma la Nazionale austriaca […]. Ma il meglio dell’elemento del calcio austriaco - l’allontanamento degli ebrei è già in atto per i dirigenti Gero e Schwarz ed è stata sciolta la società israelità Hakoah - gioverà a rendere ancora più forte quella Nazionale germanica i cui progressi sono stati costantemente seguiti e segnalati anche su queste colonne. 

L’Hakoah cancellata dall’antisemitismo austro-tedesco rinacque il 10 giugno 1945, e soltanto in virtù degli accordi di Washington del 2001, coi quali si riconobbe agli ebrei austriaci il diritto di tornare in possesso delle proprietà depredate dal nazismo, essa ha potuto ottenere dal municipio di Vienna un terreno su cui edificare la sua nuova sede. L’11 aprile 2008, su un’area di 19.000 mq., è stato così inaugurato vicino allo stadio “Ernst Happel” il centro sportivo e ricreativo “Hakoak Karl Haber”. E nel 2009, per il centesimo anniversario di fondazione, in Wehlistrasse nel distretto di Leopoldstadt ha aperto i battenti l’”Hakoak Leopold Bohm-Museum”. Finanziato dal Fondo statale per le vittime del nazionalsocialismo e allestito in collaborazione col Museo ebraico di Vienna, esso conserva il patrimonio storico dell’Hakoah e la memoria dei suoi37 dirigenti e atleti - i soli con sicurezza accertati - scomparsi nel “buco nero”della Shoah:  Otto Aschkenasi (nuoto); Josef Berger (dirigente); Siegmund Birnholz (lotta; morto a Buchenwald l’11 novembre 1939); Philip Brukner (tennis tavolo); Robert Brunner (pallamano; deportato a Dachau il 6 giugno 1942, morto ad Auschwitz il 1° novembre 1943); Oskar Eisner (dirigente; deportato a Litzmannstadt il 19 novembre 1941); Otto Ferry (pallamano); Otto Fischer (football); Richard Friedmann (atletica leggera); Lisl Goldner (nuoto; deportata a Mechelen il 31 luglio 1943, morta ad Auschwitz); Alexander Gottlieb (lotta; deportato a Zasavica bel Sabac il 12 ottobre 1941); Oskar Grasgruen (football; deportato a Terezin il 9 ottobre 1941); Trude Gratzer (nuoto; morta a Sobibor il 13 marzo 1943); Ernst Horowitz (football; deportato a Nisko il 20 ottobre 1939); Willy Kaiser (atletica leggera); Franz Kettner (hockey; deportato ad Auschwitz il 30 giugno 1944); Josef Kolisch (football, morto a Mauthausen); Nikolaus Kramer (nuoto; morto a Zasavica bel Sabac il 12 ottobre 1941); Oskar Kramer (dirigente; deportato a Maly Trostinec il 27 maggio 1942, morto a Maly Trostinec il 1° giugno 1942); Fritz Lohner (dirigente); Anton Lowy (nuoto); Erwin Lustig (football; deportato a Terezin il 1° ottobre 1942); Rudolf Morberger (nuoto); Ruth Nebenzahl (nuoto); Walter Neumann (dirigente; deportato a Terezin il 10 settembre 1942); Hertha Platt (nuoto); Franza Plautus (sci; deportato a Mauthausen il 20 febbraio 1945, morto a Solvay il 5 marzo 1945); Oskar Pollak (football; morto a Buchenwald il 4 luglio 1941); Moritz Porjes (lotta; morto a Dorohusk il 30 novembre 1943); Max Scheuer (football); Ali Schonfeld (football; deportato a Minsk il 28 novembre 1941); Josef Skall (nuoto; deportato a Maly Trostinec il 31 agosto 1942, morto a Maly Trostinec il 4 settembre 1942); Mortitz Stein (pallamano); Ernst Stern (lotta e nuoto; deportato a Terezin il 9 ottobre 1942, morto a Dachau il 21 marzo 1945); Karl-Haim Sterzer (dirigente; deportato a Terezin il 1° ottobre 1942); Friedrich Weinberger (football); Magda Weiss (nuoto; deportata a Kovno il 23 novembre 1941, morta a Kovno il 29 novembre 1941); Ernst Wengraf (hockey); Julius Zwicker (football).




LE MACCABIADI EUROPEE E MONDIALI 

TRA LE DUE GUERRE                                                                                             

Il XII Congresso sionista ebbe luogo a Karlsbad, in Cecoslovacchia, dal primo al 14 settembre 1921. Fu un Congresso estremamente importante: il primo, usciti dalla Grande Guerra, dopo la dichiarazione di Arthur James Balfour del 1917 e il trattato di Sanremo (19-26 aprile 1920), che confermava il mandato inglese sulla Palestina. Nel centro termale cecoslovacco convennero 512 delegati in rappresentanza di 855.590 aderenti: un numero raddoppiato rispetto a quello della precedente assise (1913), quando i sionisti organizzati nelle diverse aree del mondo risultavano 217.231. L’importanza di quanto emerso a Karlsbad si può riassumere in questi punti: venne deciso di acquistare la terra della valle di Jezreel, di appoggiare le associazioni di pionieri e sostenere tutte le scuole operanti in Palestina, purché avessero accettato le linee dell’organismo sionista. Si stabilì di accordare eguali diritti alle donne, che avrebbero potuto essere elette a tutte le cariche, e sul piano economico di aumentare il capitale della Banca Anglo-palestinese sino a un milione di sterline. Da un punto di vista culturale, d’inviare un invito ai più rappresentativi scrittori e studiosi ebrei affinché si impegnassero nello sviluppo della lingua e della letteratura semitica. Di concerto si deliberò di pubblicare in ebreo anche il giornale “Die Welt” fondato da Herzl. Non bastasse, durante i lavori di Karlasbad si diede mandato di fondare, quale più rappresentativo organo sportivo internazionale ebraico, l’Unione mondiale Maccabi (Mwu). Nelle sue prime fasi la Mwu ebbe per presidenti Henry Loewe, Herman Lelewer e Zelig Brodetski. E dal 1931, l’inglese lord Henry Ludwig Mond secondo barone di Melchett, funse da presidente onorario. Nato a Londra il 10 maggio 1898, lord Melchett fu deputato liberale per l’isola di Ely nel 1923 e in seguito passò ai conservatori, venendo eletto nel collegio di Liverpool East Toxfeth nel 1929. Appartenente alla Chiesa anglicana, negli anni ’30 Melchett tornò alle origini ebraiche diventando un fervente sostenitore del sionismo e facendosi fautore dell’emigrazione degli ebrei dalla Germania verso la Palestina. Territorio che avrebbe voluto trasformare in uno stato indipendente membro del Commonwealth britannico. All’interno di questo impegno sionistico si situa la sua presidenza onoraria del Mwu, che già nel 1929 in Cecoslovacchia, a Ostrava, in occasione del Congresso mondiale Maccabi, il 29-30 giugno organizzò un proprio campionato europeo circoscritto ad atletica leggera - con in gara il campione olimpico della 3x3000 e medaglia d’argento nei 3000 siepi a Parigi (1924) Elias Katz -, ginnastica, calcio e hockey prato. Nelle 13 prove - solo maschili - dell’atletica si imposero Felix Simmenauer (Germania) nei 100 m. in 11”6; Polak (Cecoslovacchia) nei 200 in 23”9; Fritz Deutscher (Austria) nei 400 in 52”6; Arpad Blod (Hakoah Vienna) negli 800 in 2’06”1; Katz (Germania) nei 1500 e 5000 in 4’20” e 16”21; nel salto in alto Zander (Cecoslovacchia) m. 1,65; nel lungo Kammerling (Germania) m. 6,61; nel peso Klempfner (Cecoslovacchia) m. 11,95; nel giavellotto Feher (Cecoslovacchia) m. 44,70; nella staffetta 4x100 e 3x1000 l’Hakoah Vienna in 46”1 e 8’32”9; nella 10 x 225 m. la Germania. Nella Ginnastica si disputarono un decathlon maschile, e un triathlon ed un eptathlon femminili riportati rispettivamente da Bela Weiss (Cecoslovacchia, p. 150) e da Ella Berglas e Lotte Kochmann, mentre nel calcio prevalse per 1-0 il Maccabi Probnitz (Cecoslovacchia) sull’Hagiborg Praga, e nell’hockey su prato finì 1-1 tra Maccabi Mahrisch Ostrava e Hakoah Vienna. Il secondo campionato d’Europa del Maccabi, cui presero parte rappresentative di Germania, Belgio, Inghilterra, Cecoslovacchia, Francia, ebbe luogo ad Anversa dal 4 al 6 luglio 1930. Rispetto all’edizione precedente il programma-gare subì poche variazioni. Nell’atletica leggera maschile riuscirono vincitori Kurz (Germania) sui 100 (10”9); Rosenthal (Germania) sui 400 (53”8); Bergmann (Germania) sugli 800 (2’04”6); Windau (Germania) sui 1500 (4’30”0); Katz (Germania) sui 3000 (9’18”0); Zander (Cecoslovacchia) nell’alto e nel lungo (m. 1,67 e m. 6,33); Koffler (Germania) nel peso (m. 11,73); la squadra di Berlino nella 4x100 (44’9) e nella staffetta svedese. Il medesimo dominio tedesco si registrò nell’atletica femminile, nella quale si affermarono la Lowenstein nei 100 (13”8); la Bachrach nel lungo (m. 4,53); la Lewy nell’alto e nel disco (m. 1,35 e m. 22,84); il quartetto berlinese nella staffetta veloce (55”8). Nel football, a livello di semifinali, il Bar Kochba di Berlino superò 6-1 quello di Londra e il Maccabi Anversa quello di Parigi 5-0. Poi, in finale, la formazione di Berlino batté gli olandesi 2-1.  Nel tennis, invece, il Bar Kochba londinese superò nettamente il Maccabi della città ospitante. Tennis cui fu affidata la chiusura della manifestazione con una partita di esibizione in cui si produsse il campione ebreo tedesco Daniel Prenn. Un forte impulso in senso sionista fu dato al Mwu da Yosef Yekutieli: l’artefice della prima Maccabiade ospitata in Palestina. Questi nacque in Bielorussia, a Karutz Bereza, il 12 marzo 1897, e a dodici anni emigrò con la famiglia nelle antiche terre degli avi. Ultimati gli studi a Tel Aviv, fece ritorno a Jaffa dove lavorò all’Ufficio Eretz Israel e in parallelo si dedicò al calcio nei ranghi del Maccabi di Tel Aviv. Nel 1914, allo scoppio della Grande Guerra, fu arruolato nell’esercito turco e nominato istruttore d’educazione fisica presso la scuola di Nablus. Alla fine del conflitto riprese il suo impiego alla Eretz Israel presso la Commissione sionista, e successivamente fu al servizio della Palestine Development Company e della Israel Electric Corporation. In campo sportivo nel 1928 concorse alla fondazione della federazione calcistica, nel 1931 di quella d’atletica leggera e nel 1933 del Comitato olimpico israeliano. Oltre al Maccabi, di lì a breve sorse un altro movimento sportivo ebraico con delle solide basi. Ci si riferisce all’“Hapoel”, emanazione dell’Unione sindacale del lavoro (“Histredut”), che ebbe il suo primo nucleo nel club calcistico di Haifa (1923). Dall’esperienza di Haifa derivò, il 15 maggio 1926, un’organismo nazionale ben ramificato che adottò lo slogan “Sport per il popolo e per i campioni” e successivamente avrebbe stabilito degli stretti rapporti con l’Internazionale sportiva socialista di Lucerna (Isl) aderendovi nel 1927. Globalmente, nel 1931, l’Hapoel raggiungeva in Palestina la cifra di 4250 iscritti.  Intanto, nel giugno 1929, al Congresso mondiale Maccabi di Ostrava venne lanciata l’idea di una Maccabiade internazionale che, trascorso un triennio, si tenne a Tel Aviv e Haifa (nuoto e pallanuoto) dal 28 marzo al 6 aprile 1932.  A essa intervennero 390 atleti di 14 stati, e per l’inaugurazione del nuovo stadio - al cospetto del sindaco Meir Dizengoff- si diede vita a un cerimoniale altamente solenne e simbolico. Vennero librati in volo 120 piccioni, 10 per ognuna delle antiche tribù d’Israele.  Da un punto di vista agonistico la classifica finale per stati vide primeggiare la Polonia con 308 punti davanti a USA 285, Austria 254, Eretz Israel (Terra d’Israele) 222, Cecoslovacchia 210, Egitto 122, Germania 120, Danimarca 44, Regno Unito 20, Romania 14, Yugoslavia 9, Siria 6 e Grecia 5, mentre individualmente e negli sport di squadra la prima Maccabiade fu vinta dai seguenti atleti e rappresentative nazionali: 

Atletica leggera maschile: 100 m. Gus Heymann (USA) 10”7; 400 Fritz Deutscher (Austria) 50”9; 1500 Leslie Flaksman (USA) 4’09”42; 5000 Harry Werbin (USA) 15’17”4; corsa su strada 10 km. Max Rayne (Regno Unito) 36’27”0; salto in alto Martin Feiden (USA) m. 1,85; lungo David White (USA) 6,79; getto del peso David Adelman (USA) m. 14,42; disco Harry Snyder (USA) 48,30; giavellotto Snyder 52,65; triathlon (100, alto, peso) Herbert Loew (Cecoslovacchia) p. 1481,80; 4x100 Germania (Fritz Gerber, Felix Simmenauer, Georg Kurz, Lazar Dunner) 43”2; staffetta 3x1000 Cecoslovacchia (Goldschmidt, Schwarz, Frankl) 8’37”4.

Atletica leggera femminile: 100 m. Sibil Koff (USA) 13”0; alto Koff m. 1,47; lungo Kof 5,25; peso Eva Levy (Germania) m. 10,79; disco Frejda Berson (Polonia) 34,45; giavellotto Eva Levy (Germania) 33,59; triathlon Koff; 4x100 Polonia 56”8. 

Nuoto maschile: 100 crawl Pavel Stenier (Cecoslovacchia) 60”8; 400 Harold Craemer (USA) 5’37”8; 1500 Alfred Guth (Austria) 22’56”8; 100 dorso Hey (Cecoslovacchia) 1’13”8; 200 dorso Arzi Wilhelm (Cecoslovacchia) 3’05”8; 4x200 crawl Cecoslovacchia (Polakov, Hey, Wilhelm, Steiner) 11’22”0;  3x100 mista Cecoslovacchia (Wilhelm, Hey, Steiner) 3’47”6;  Immersione Abu Duma (Egitto) p. 87,74. 

Nuoto femminile: 100 crawl Fritzi Lowy (Austria) 1’17”4; 300 crawl Lowy 4’36”; 100 dorso Heidi Bienenfeld (Austria) 1’34”8; 200 rana Bienenfeld 3’24”; 4x100 crawl Austria.

Pallanuoto maschile: Polonia.

Ginnastica artistica maschile: decathlon Nathan Gruenberg (Polonia) p. 180.

Ginnastica artistica femminile: eptathlon Ella Bobek (Cecoslovacchia) p. 117.

Pugilato: pesi mosca Kosef Urkewicz (Polonia); gallo Andreas Bornstein (Polonia); piuma Nypussi (Egitto); leggeri Birnzwaig (Polonia); welter Hadjass (Egitto); medi Jean Schmidt (Egitto); medio massimi Gustav Laub (Austria).

Lotta greco romana: pesi gallo Hermann Leiserowitz (Danimarca); piuma Erich Fincsus (Austria); leggeri Abraham Kurland (Danimarca); medi Josef Silbermann (Danimarca); medio massimi Israel Birbaum (Austria); massimi Nikolaus Hirschl (Austria). 

Scherma maschile: fioretto, spada, sciabola Shaul Moyal (Egitto).

Scherma femminile: fioretto Meushara Scherer (Eretz Israel).

Tennis maschile a squadre: Cecoslovacchia (Hecht - Klein).

Tiro a segno maschile: Harry Snyder (USA). 

Pallamano maschile: Germania (Karl Bernstein, Max Brimann, Fritz Lewinson, Kurt Marx, Max Schorr, Kurt Seifmann, Adolf Treiser).

Hockey su prato maschile: Germania (Heinz Bersky, Fritz Gelsner, Sigi Gross, Herbert Kindermann, Walter Loewy, Shlomo Mautner, Egon Meyer, Sammi Scheinberg, Max Sonnenreich).

Football maschile: Eretz Israel (Moshe Back, Mordechai Bleiberg, Pinchas Fiedler, Shimon Goldberg, Braun, Itzchak Guzzini, Menachem Hersch, Hoffmann, Israel Kroll, Amiel Maimon, Mordechai Peznovsky, Abraham Reznick, Zvi Sarenkin, Jaakov Slivansky, David Weinberg, Zwiebner).

La seconda Maccabiade andò in scena a Tel Aviv e ad Haifa dal 2 al 10 aprile 1935. Il nazismo era ormai saldamente al potere in Germania e acclarata era la sua accanita persecuzione degli ebrei tedeschi. In questi termini quella Maccabiade rivestì un valore ancora più importante della precedente. Svolta un anno prima dei Giochi nazisti del 1936, ne rappresentò in qualche modo la risposta ebraica e una sfida aperta. Le gare previste aumentarono notevolmente, così come il numero degli stati presenti, in tutto 27 (con in testa alla classifica finale a punti l’Austria con 399,5 seguita da Germania 374; Eretz Israel 359,5; Polonia 341; USA 337; Cecoslovacchia 314; Sudafrica 135; Egitto 125; Yugoslavia106; Regno Unito 75; Francia 71; Romania 63,5; Olanda 34; Danimarca 13; Citta libera di Danzica 10; Grecia 9; Belgio 8; Marocco 6; Estonia, Libia italiana - la rappresentativa guidata da Arbib che andò a punteggio solo nella pallanuoto classificandovisi sesta dietro Cecoslovacchia, Austria, Eretz Israel, Marocco, Polonia - e Lituania 2), e dei partecipanti vicini ai 1700. Tra i quali l’americana Lilian Copeland (New York 25 novembre 1904 - Los Angeles 7 maggio 1964), l’autentica stella (con 3 ori) di quella Maccabiade. Lanciatrice dell’atletica leggera, figlia di emigrati ebrei polacchi, nella sua prestigiosa carriera la Copeland conquistò 9 titoli Aau (5 di peso, 2 di disco e giavellotto), classificandosi seconda nel lancio del disco (m. 37,08) nelle Olimpiadi di Amsterdam (1928) alle spalle della polacca Halina Konopacka (m. 39,62) e vincendo - con m. 40,58 - i Giochi di Los Angeles (1932) sull’altra statunitense Ruth Osburn (m. 40,12) e la polacca Jadwiga Wajs (m. 38,74).  Anche di questa edizione forniamo un puntuale computo dei vincitori e, laddove possibile, delle prestazioni ottenute:

Atletica leggera maschile: 100 m. Smith (Sudafrica) 11”2; 200 Alfred Konig (Austria) 23”2; 400 Harry Hoffmann (USA) 53”0; 800 Abraham Rosenkranz (USA) 2’02”4; 1500 Rosenkranz 4’19”2; 5000 Joseph Hurwitz (Sudafrica) 16’09”8; 10.000 Hurwitz 33’01”1; maratona William Steiner (USA); 110 ostacoli Philip Smith (Sudafrica) 17”0; 400 ostacoli Rosenkranz 61”6; salto in alto James Sandler (USA) m. 1,81; asta Alfred Schipper (Cecoslovacchia) 6,44; triplo Leopold Bermann (Francia) 12,54; getto del peso Filkenstein (USA) m. 13,30; disco Dov Still (Polonia) 38,11; giavellotto Dov Rabinovitz (Eretz Israel) 50,50; martello Bela Weib (Cecoslovacchia) 32,95; decathlon Willi Petschau (Cecoslovacchia) p. 4606; 4x100 Sudafrica (Smith, Lotzoff, Hyman, Philip Smith) 45”6; 4x400 Austria 3’36”4.

Atletica leggera femminile: 60 m. Sibil Koff (USA) 8”3; 100 Ellen Kendziora (Germania) 13”2; 200 Koff 27”6; 800 Hornstein (Polonia) 2’49”4; 80 ostacoli Miriam Freiwald (Polonia) 14”1); salto in alto Gerda Gottlieb (Austria) m. 1,35; lungo Freiwald 4,91; getto del peso Lilian Copeland (USA) m. 12,32; disco Copeland 37,38; giavellotto Copeland 36,92; pentathlon Freiwald p. 166; 4x100 Germania (Reich, Bukofzer, Meyer, Kendziora) 55”8.

Nuoto maschile: 100 crawl Pavel Steiner (Cecoslovacchia) 62”6; 400 Franz Greteuer (Cecoslovacchia) 5’18”0; 1500 Greteuer 21”33; 100 dorso dorso George Sheinberg (USA) 1’15”; 200 rana Schreibmann (Polonia) 3’01”8; 4x200 crawl Cecoslovacchia 10’22”.

Nuoto femminile: 100 crawl Janice Lifson (USA) 1’14”4; 400 crawl Fritzi Lowi (Austria) 6’17”0; 100 dorso Lifson 1’30”3; 200 rana Hedy Bienenfeld (Austria) 3’18”0; 4x100 crawl Austria 5’34”6.

Pallanuoto maschile: Cecoslovacchia. 

Tuffi maschili: trampolino Julius Balasz (Cecoslovacchia) p. 148; piattaforma Ernst Billig (Eretz Israel). 

Tuffi femminili: trampolino Janice Lifson (USA) p. 88,9; piattaforma Else Modern (Austria).

Canottaggio maschile: quattro con Eretz Israel.

Ginnastica maschile: decathlon Chaim Rosenberg (Polonia) p. 189.

Ginnastica femminile: eptathlon Anna Mendle (Germania) p. 118.

Pugilato: pesi mosca David Katzen (Sudafrica); gallo Hermann Noschkes (Germania); piuma Albert Nefoussi (Egitto); leggeri Abraham De Vries (Olanda); medi Barend Brill (Olanda); medio massimi Hyman Da Costa (Regno Unito); massimi Luntz (Regno Unito).

Lotta greco romana: pesi gallo Hermann Leiserowitz (Danimarca); piuma Erich Fincsus (Austria); leggeri Wilhelm Schlanger (Austria); welter Eugen Fleishmann (Cecoslovacchia); medi Karl Gottlieb (Austria); medio massimi Schmuel Rosenberg (Cecoslovacchia); massimi Zalman Unreich (Cecoslovacchia). 

Lotta libera: pesi gallo Hermann Leiserowitz (Danimarca); piuma Alexander Reichenberger (Cecoslovacchia); leggeri Lew Corsen (Sudafrica); welter Weintraub (USA); medi Joseph Golding (Sudafrica).

Sollevamento pesi: pesi mosca Michael Silberbaum (Polonia) kg. 223,5; leggeri Rubin Teitelbaulm (Estonia) kg. 287; medi Jehuda Muenz (Eretz Israel) kg. 302; massimi Zoltan Pecsi (Romania) 

Jiu-Jitsu maschile: categoria unica Paul Schwarzschild (Germania).

Judo maschile: categoria unica Schwarzschild.

Pentathlon moderno maschile: Auerbach (Eretz Israel).

Scherma maschile: fioretto Shaul Moyal (Egitto); spada André Bermann (Francia); sciabola Josip Stein (Yugoslavia); fioretto a squadre Egitto; spada a squadre Egitto; sciabola a squadre Yugoslavia.

Scherma femminile: fioretto Lisl Falk (Germania).

Tennis tavolo maschile: Marcus Finbergs (Estonia).

Tennis tavolo femminile: Salomon (Romania).

Tennis tavolo misto: Austria (Altman, Fischer, Horn, Spieler,Weib).

Tennis maschile a squadre: Sudafrica (Lourie, Katzen).

Tennis femminile a squadre:  Germania (Ilse Friedleben - Loni Guttmann).

Vela maschile: Germania.

Scacchi maschile: Blass (Eretz Israel)

Ciclismo maschile: 50 km su strada Alsalka (Eretz Israel) 1h.27’45”2. 

Basket maschile: Egitto (Abdal Vaava Banova, Jean Bialobos, David Harary, Maurice Harary, CisarJarmi, Maurice Kalief, Samuel Pharchi, Victor Salama, Hubert Salama).

Basket femminile: Polonia (Lucie Deutscher, Ada Idelson, DovraLipfeld, DovraRosenblum).

Pallamano maschile: Germania.

Hockey su prato maschile: Austria (Alois Barras, Ernst Engl, Fritz Golding, Bernhard Haspel, Wilhelm Jellinek, Leo Kessler, Franz Kettner, Leopold Liban, Hans Rosenfeld, Kurt Ullmann, Hans Wald, Ferdinand Weib, Ernst Wengraf, Egon Winter).

Football maschile: Romania (Leon Altbuch, Gustav Barash, Paul Berl, Ernst Chidali, Marcus Kohn, Willi Leibovicz, Maurice Marcus, Leonard Marcovicz, Ladislav Szcekelly, Salomon Segall, Andrei Simon).

Le terze Maccabiadi erano state previste per la primavera del 1938, ma l’aggravarsi della situazione politica e militare in Europa ne impedì lo svolgimento, che riprese regolarmente solo nel 1950. Viceversa negli anni ’30 si disputarono due Maccabiadi invernali. La prima, dal 2 al 5 febbraio 1933, venne allestita a Zakopane in Polonia. Vi gareggiarono circa 400 atleti polacchi, jugoslavi, austriaci, tedeschi, ungheresi, norvegesi, romeni, cecoslovacchi, della Libera città di Danzica e i rapporti ufficiali indicano anche una presenza italiana sulla quale, però, non si è in grado né di confermarla nè di fornire ulteriori notizie. La manifestazione venne ostacolata da delle condizioni climatiche avverse, e per la pioggia costante non si poterono tenere le prove di pattinaggio artistico e di velocità. Inoltre, una valanga si abbatté sulla collina in cui era posto l’impianto per il salto con gli sci che venne soppresso. Questi, i vittoriosi di quell’edizione:

Bob: Polonia.

Hockey su ghiaccio: Austria (Max Kettner-Flus, Wittmann-Donath, Pelzmann, Spira, Rosenfeld, Grunbaul, Perger).

Sci alpino maschile: discesa libera Muckenbrunn (Polonia) e Ali Shapira (Austria) primi a pari merito.

Sci alpino femminile: discesa libera Schwarzstein (Austria). 

Sci nordico maschile: 25 km. Warenhaupt (Polonia) 2h. 08’49”; staffetta 5x10 km. Polonia.

Sci nordico femminile: 8 km. Enker (Polonia); staffetta 3x5 km. Polonia. 

La seconda Maccabiade della neve fu assegnata a Banska Bystrica, in Cecoslovacchia, e si dipanò   dal 18 al 24 febbraio 1936, praticamente in concomitanza con l’Olimpiade invernale nazista di Garmish-Partenkirchen (6-16 febbraio 1936). Da un lato, dei Giochi olimpici invernali tenuti in una delle regioni più antisemite della Germania, tanto che dovettero intervenire le stesse autorità nazionalsocialiste per temperare l’acuto razzismo delle popolazioni locali; dall’altro, l’ultima Olimpiade ebraica prima che la Shoah si scatenasse in tutta la sua incontenibile violenza. Rispetto a Zakopane, il livello tecnico delle gare disputate a Banska Bystrica, anch’esse private del pattinaggio artistico a causa delle cattive condizioni atmosferiche, crebbe decisamente e relativamente ai vincitori diede questi responsi:

Hockey su ghiaccio: Cecoslovacchia (Lagus, Freund, Lauffer, Robitschek, Margo I, Borger, Pollak, Stiastny, Perschau II).

Slittino maschile: singolo Blum (Germania) 4’15”; doppio Blum-Mayer (Germania) 6’20”.

Slittino femminile: doppio Liesl Falk - Fee Laufer (Germania) 8’20”.

Slittino misto: Schlesinger - Schebek (Cecoslovacchia) 4’03.

Sci alpino maschile: discesa libera Ali Shapira (Austria) 4’06”; slalom Shapira 2’00”1.

Sci alpino femminile: discesa libera Gertrud Raubitschek (Austria) 2’29”1.

Sci nordico maschile: 18 km. Kuerti (Cecoslovacchia) 59’13”; 30 km. Warenhaupt (Polonia) 2h. 12’58”; staffetta 4x10 km. Austria (Shapira, Lowy, Neuwe, Meder) 3h. 06’0.

Sci nordico femminile: 7 km. Singer (Cecoslovaccia) 21’10”.

Salto con gli sci: Kuerti (Cecoslovacchia) p. 199,7.

Combinata nordica: Kuerti p. 439,7.

Le Maccabiadi, pur subendo una inevitabile interruzione temporale, superarono anche il trauma spaventoso della Shoah e ripresero (presenti 800 atleti di 20 nazioni) con la terza edizione tenuta a Ramat Gan dal 27 luglio al 9 agosto 1950. Con esse il sionismo declinato in sport rafforzò la propria presenza nel mondo ebraico della diaspora, attualizzando e realizzando nelle forme contemporanee della società di massa il“giudaismo muscolare” propugnato fra Otto e Novecento da Max Nordau.


CONCLUSIONI

E’ passato non molto tempo ma forse qualcuno se n’è già scordato. Ricordiamo sinteticamente un episodio che resta una tra le pagine più nere nella storia dello sport italiano. Una profanazione blasfema, una vergogna per il nostro Paese. L’ennesima conferma del fatto che non ci si libera mai completamente dalla “banalità del male”. Il 23 ottobre 2017 dei “tifosi” laziali, non nuovi a simili gesta, all’indomani di Lazio-Cagliari affissero nello stadio Olimpico della capitale, più precisamente nella Curva Sud abitualmente occupata dagli ultrà romanisti, degli adesivi antisemiti raffiguranti Anna Frank con indosso (come una di quelle figurine “Panini” scambiate una volta e  tuttora tra ragazzi) una casacca giallorossa. I colori dell’odiata squadra nemica. Contro questo sfregio, la Figc, d’intesa col ministero allo sport,  decise che nella giornata di campionato successiva, su tutti i campi, prima dell’inizio degli incontri si leggesse un brano del Diario di Anna Frank, seguito da un minuto di raccoglimento. Inoltre, che ai bambini che accompagnavano i giocatori sul terreno di gioco venisse donata una copia di Se questo è un uomo di Primo Levi.  Tutto buono e giusto, in apparenza. In realtà, ci sia consentito, quel pentimento sapeva tanto di “banalizzazione”. Di atto semplicemente dovuto più che consapevolmente sentito. Ogni domenica la vetrina della serie A fa esibire ai suoi attori una diversa maglietta, con frasi o logo in bella mostra, dedicati a qualunque causa più o meno giusta. E’ un ripetersi seriale e omologante di buoni sentimenti che si compiono nel disinteresse generale delle curve sugli spalti e dei telespettatori in poltrona, ansiosi solo del fischio d’inizio.  Perché, allora, ripetere anche con in gioco il simbolo unico e inestimabile di Anna Frank un simile cerimoniale così falso? Perché ridurre la Shoah a una delle tante magliette domenicali? Secondo dubbio: che senso ebbe leggere nel sottofondo frastornante e disinteressato d’uno stadio qualche passo di uno dei testi più drammatici e dolorosi del Novecento? Quali messaggi potranno averne tratto le migliaia di tifosi raccolti per ascoltare ben altre invocazioni: la richiesta di un gol ai propri beniamini, l’urlo cantilenato e scrurrile in segno di dileggio verso i rivali. E ancora: come può un bambino d’oggi, diciamo pure un nativo digitale con tutto ciò che “culturalmente” ne consegue (fake news incluse), apprezzare la complessità di Se questo è un uomo? Domande che nessuno, in quei giorni, si pose o a cui si cercò di dare delle risposte. Bastava e avanzava, probabilmente, essersi ripuliti la coscienza con un bagno di folla chiamata a partecipare a un rito non suo, imposto e compreso nel prezzo del biglietto. Il processo di colpevole banalizzazione era però solo ai suoi inizi: non vi è mai limite al peggio. La comunità ebraica romana, il 24 ottobre 2017, organizzò una cerimonia alla Sinagoga e, per emendarsi della colpa, il presidente della Lazio Claudio Lotito vi si recò per deporvi una corona di fiori. Senonché, poche ore prima del gesto riparatorio, parlando al telefonino e venendo udito da qualche vicino, si lasciò scappare in un romanesco improvvido: <<Famo ‘sta sceneggiata>>.  Parole inpronunciabili, subito amplificate da stampa, tv e social. Insomma, il volto di Anna Frank vigliaccamente strumentalizzato provocò nel Paese un vero e proprio corto circuito da cui emerse la sua complessiva immaturità verso un tema, quale la Shoah, che meriterebbe unicamente rispetto e riflessione. Ma quanto accaduto in quell’occasione è solo una parte del problema. La stampa sportiva, il mondo del calcio e non solo, hanno sempre portato avanti la linea del considerare gli episodi di antisemitismo, razzismo, discriminazione territoriale che popolano la quotidianità dei nostri stadi, della A ai tornei amatoriali, come un problema, appunto “minimo”. Riguardante al massimo quattro imbecilli, ignoranti, delinquenti cui non dare eccessivo rilievo per non fare il loro gioco. Ma senza accorgersene pure questo è un latente “negazionismo”.  Quasi mai  gli ululati razzisti indirizzati verso i giocatori di colore vengono uditi dalle autorità preposte a sospendere gli incontri. Né, spesso, steward, club, Digos, polizia, riescono a prevenire l’ingresso negli impianti di striscioni infami che inneggiano ai “forni” e allo “sterminio degli ebrei”,  a Napoli “colerosa e terremotata”. Ci voleva una tremenda pandemia, il Covid19, per avere stadi vuoti, silenti e quindi anche non più sentine di razzismo e antisemitismo. I legami sinergici tra tifo organizzato ed estremismo filo-fascista o filo-nazista solo da poco sono stati riconosciuti come qualcosa di reale ed estremamente pericoloso, pur imperversando da decenni in Italia e in Europa una “internazionale nera” del tifo. Sottovalutando e minimizzando si è così giunti sino ad oggi. Lo sport è uno specchio della società, e l’antisemitismo mai morto e sepolto è tornato a colpire senza freni: da Anna Frank, allo stadio e fuori, alla senatrice a vita Liliana Segre, costretta a vivere sotto la protezione delle forze dell’ordine. Dai tanti gesti di intimidazione e violenza di cui sono oggetto simboli o discendenti di vittime della Shoah, fino agli insulti social, nel luglio 2020, nei confronti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per aver nominato Cavaliere di Gran Croce Sami Modiano. A una tale deriva occorre reagire con forza applicando la Costituzione. Usando le misure di legge che proibiscono l’apologia del fascismo, la ricostituzione del disciolto partito fascista e perseguono il razzismo. Nelle scuole e nelle università attraverso l’insegnamento della storia; individualmente con l’impegno civile di ogni cittadino che rifiuta l’odio, l’intolleranza, e non vuole precipitare in un’altra “barbarie di ritorno”. Raccontando le vicende dolenti della Shoah dello Sport, confidiamo di aver portato il nostro piccolo contributo a questo sforzo assolutamente inderogabile e necessario.


27 gennaio 2023

© Sergio Giuntini

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